Corriere della Sera, 15 settembre 2023
Intervista a Loris Karius
Il guscio di educata razionalità si rompe non appena parla della piccola Aria: «Quando l’ho vista per la prima volta non ho capito più niente. È stata una giornata pazza, che non dimenticherò mai». Il mondo di Loris Karius si è capovolto da quando, ottobre dello scorso anno, ha incontrato Diletta Leotta. L’amore, una figlia, la vita che cambia. In meglio. Anche se lui fa il calciatore in Inghilterra e lei la giornalista in Italia. Si collega da Newcastle, è al secondo anno nel club di proprietà saudita. Parla in inglese pesando ogni termine, si apre eppure un po’ si protegge, è attento. Da portiere prova a evitare passi falsi: «Nessuno può davvero capire cosa si prova a stare tra i pali, da solo. Se fai un errore diventi bersaglio di odio, tutti se la prendono con te. Se invece un attaccante fallisce cinque occasioni ma poi segna, viene trattato da eroe».
Come gestisce le critiche?
«Provo a non farmi toccare. Sbagliare è normale, capita a tutti. Ho uno spirito forte, ignoro tutti i rumori che arrivano dall’esterno. È l’unico modo, altrimenti non puoi reggere».
Il suo primo ricordo con un pallone?
«A sette anni, nel campetto vicino al mio villaggio in Germania. Mio padre da ragazzo faceva motocross e voleva che seguissi le sue orme, ma a me piaceva il calcio, il mio idolo era Oliver Kahn. Ho iniziato sulle moto, poi ho cambiato strada grazie a mia madre. Era felice che facessi uno sport meno pericoloso. Poi anche papà si è fatto conquistare».
Nell’intervista a «7» Diletta ha detto che appena l’ha vista ha pensato che sarebbe stato il padre dei suoi figli. Le è successo lo stesso?
«Non me lo ricordo (ride, ndr). Ma quella sera a Parigi ho capito di avere di fronte una persona speciale. Mi è piaciuta al primo sguardo. Tra noi c’è stata una connessione automatica, un’intesa particolare. È bello che abbia pensato subito ai bambini».
Il primo incontro?
«È stato naturale, siamo capitati casualmente nello stesso locale. Non sapevo chi fosse, lei non sapeva chi fossi. Ci siamo piaciuti senza etichette, così come siamo. Non è scontato in un’epoca in cui tra Internet e social le foto rimbalzano ovunque. A noi è successo».
Cosa le piace di Diletta?
«È sempre positiva, sorridente. Ha un carattere solare. Si prende cura di me: quando siamo insieme sto bene».
È un partner geloso?
«No, per niente. Siamo lontani per giorni, non potrei vivere una relazione a distanza se lo fossi. Bisogna avere fiducia l’uno nell’altro. La nostra è una storia sana, non c’è niente che mi preoccupa».
Mainz, Liverpool, ora di nuovo Premier al Newcastle.
«Una società in crescita, con tradizione e tifosi passionali. Lo scorso anno non ho giocato quanto avrei voluto, ma ho fatto parte del gruppo che ha riportato la squadra in Champions».
Girone F, quello del Milan. Martedì a San Siro la partita d’esordio.
«Dobbiamo iniziare col piede giusto. Il nostro è il gruppo più equilibrato, possiamo arrivare primi o quarti. Il Psg è favorito, ma con Dortmund e Milan ce la giochiamo. Ci aspettano sfide difficili, ma sono sicuro che i nostri avversari non siano stati contenti di pescarci al sorteggio».
La figlia Aria
Se la prendo in braccio tutto diventa bello Quando sono lontano la guardo con FaceTime
Le piacerebbe tornare ad avere un ruolo di primo piano, magari in serie A?
«È una soluzione possibile, che considero. In futuro potrà succedere. Da bambino seguivo in tv le partite di Inter, Milan e Juve. Ma non voglio muovermi solo in base ad Aria e Diletta. Aspetto una buona opportunità di lavoro».
Però ad oggi lei vive in Inghilterra, loro a Milano. Riesce ad essere presente?
«La maggior parte del tempo siamo distanti, per forza. Parliamo tanto al telefono, facciamo videochiamate con FaceTime. Diletta appena può mi viene a trovare, ma non è semplice».
Come è cambiata la sua vita dalla nascita di Aria?
«Mi piace pensare che c’è questo scricciolo che ha bisogno di me. Se ho una giornata stressante e lei è a casa, mi basta prenderla in braccio e tutto diventa bello. È un dono, con lei riesco a dare il giusto peso alle cose che prima mi sembravano importanti. Mi godo tutto il tempo insieme».
In che lingua le parla?
«In tedesco».
Come avete deciso il nome?
«Non abbiamo pensato a particolari significati. Aria piaceva a entrambi, si abbinava bene al mio cognome».
Quanti figli vorrebbe?
«Un passo alla volta. Ora tutte le nostre attenzioni sono per Aria, poi c’è il lavoro, trovare un equilibrio tra tutto. Mi piacerebbe averne ancora uno o due, ma in futuro».
Un maschietto, magari un calciatore in erba?
«Sarebbe bello».
Sulla clavicola ha un tatuaggio con la scritta «Dream chaser», cacciatore di sogni. È riuscito ad avverarli?
«Volevo diventare calciatore, e ci sono riuscito a 19 anni. Ho giocato in Bundesliga e in Premier, in grandi squadre. Ora ho una relazione di cui sono felice, una figlia, ma continuo a pormi nuovi obiettivi. E non ho rimpianti».
L’incontro con Leotta
È stato naturale. Non sapevo chi fosse, lei non sapeva chi fossi. Ci siamo piaciuti senza etichette
Diletta è la donna della sua vita?
«Sì, con lei ho scelto di fare una famiglia. Il nostro piano è stare insieme per il resto delle nostre vite».