La Stampa, 15 settembre 2023
Gli attivisti per il clima arrivano in tribunale
Un processo senza precedenti. Per il clima, l’ambiente e il futuro. Sei ragazzi portoghesi tra gli 11 e i 24 anni hanno fatto causa a 32 Stati europei e li hanno portati davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Il processo inizierà il prossimo 27 settembre e verterà su un principio preciso: il cambiamento climatico causato dalle attività antropiche sta mettendo a rischio il presente e il futuro delle nuove generazioni. Un diritto inviolabile, che se negato priva i cittadini europei della possibilità di vivere un’esistenza sicura, sana e serena. La causa entra nel vivo dopo due anni di preparativi e potrebbe dare il via a uno dei più importanti processi climatici della storia.
Tra i querelanti c’è Catarina dos Santos Mota, 23 anni, proveniente dal distretto di Leiria. Insieme agli altri cinque giovani ha avviato la causa già nel 2020. «I governi di tutto il mondo hanno il potere di fermare il cambiamento climatico e i governi europei stanno scegliendo di non fermarlo», spiega la ragazza. «Quando i governi non riescono a proteggerci, è compito della Corte europea dei diritti dell’uomo intervenire».
Insieme a lei altri tre querelanti provengono da Leiria. Si tratta di tre fratelli, Cláudia, Martim e Mariana Duarte Agostinho (24, 20, 11 anni), che hanno scelto di partecipare dopo che gli incendi delle foreste portoghesi hanno devastato la regione. I roghi mettono già ora a rischio la loro salute, causando allergie e problemi di respirazione ulteriormente aggravati dall’aumento delle temperature medie. «Abbiamo aspettato a lungo questo momento, finalmente il processo inizia e vedremo il frutto del nostro lavoro», dice Martim. La loro voce è ferita, ma coraggiosa. Un grido disperato e allo stesso tempo carico di speranza.
Altri due querelanti, provenienti dalla zona di Lisbona, sostengono che il cambiamento climatico causi intense tempeste nelle stagioni più fredde infierendo su un territorio sempre più fragile. Per il quindicenne André dos Santos Oliveira «non è solo la nostra salute fisica a essere compromessa. La crisi climatica influisce sulla nostra salute mentale. Come potremmo non avere paura?».
Secondo i sei giovani, gli Stati non solo mettono a rischio le vite dei cittadini, ma non hanno mantenuto le promesse siglate con gli Accordi di Parigi del 2015, il più importante trattato internazionale sulla riduzione delle emissioni di gas serra, che avrebbe l’obiettivo di limitare il surriscaldamento globale a un aumento di 1,5 °C della temperatura media rispetto all’era pre-industriale (oggi il livello è di 1,2 °C e con le attuali proiezioni potrebbe sfondare entro la fine del secolo i +2 °C).
I sei giovani, assistiti dall’associazione legale Global legal action network, chiamano in causa la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e in particolare l’articolo 2, il diritto alla vita, e l’articolo 8, il rispetto della vita privata e familiare. Ma anche l’articolo 3, il divieto a trattamenti disumani, e l’articolo 14, il divieto alle discriminazioni, sostenendo che le conseguenze del cambiamento climatico colpiscono in maniera sproporzionata le nuove generazioni.
«Questo è davvero un caso di Davide contro Golia», spiega Gearóid Ó Cuinn, fondatore della Global legal action network. «È senza precedenti nella portata e nelle conseguenze. Mai prima d’ora così tanti Paesi hanno dovuto difendersi davanti a un tribunale in qualsiasi parte del mondo». Centinaia di avvocati dovranno difendere gli Stati (i membri Ue più Norvegia, Svizzera, Russia, Regno Unito e Turchia) da una sentenza che è a tutti gli effetti vincolante. È interessante osservare le strategie di difesa dei Paesi, c’è chi è sminuisce l’impatto del cambiamento climatico e chi vuole far sembrare non vincolanti gli Accordi di Parigi. Gerry Liston, avvocato dei ragazzi, crede che il processo sia un vero e proprio «game changer», un punto di svolta nella sfida per le politiche climatiche del continente e globali.
Proprio la settimana scorsa la Convenzione Onu dei diritti dell’infanzia ha sancito formalmente il diritto a un ambiente sano. Quest’estate 16 ragazzi in Montana, Usa, hanno fatto causa contro lo Stato, accusato di inadempienza sulle politiche climatiche (i 16 hanno vinto il primo grado). Nel mondo crescono le climate litigation, i contenziosi e i processi legati al clima. Anche in Italia ne troviamo due in corso: uno contro lo stato (la campagna «Giudizio universale») e uno contro l’Eni («Una giusta causa»). La lotta dei giovani per la giustizia climatica si è spostata dalle strade – dove gli studenti sfilavano guidati da Greta Thunberg – alle aule dei tribunali. Il processo dei sei portoghesi è uno dei più importanti eventi dell’anno per il movimento ambientalista. La sfida è diventata complessa e ambiziosa.