La Stampa, 15 settembre 2023
Migranti prigionieri
La paura è il primo sentimento evocato nella Divina commedia, dopo appena sei versi. E «ogni viltà convien che qui sia morta» è il primo suggerimento che dà Virgilio a Dante nel superare la porta dell’inferno, la condizione per procedere oltre. La paura prende diverse facce, viltà, pietà, vergogna. Noi italiani, europei, occidentali nella Apocalisse della Migrazione che dura da dodici anni non abbiamo ascoltato il consiglio di Dante, non aver paura, non essere vili. Invece paura e viltà hanno guidato ogni nostro decreto atto parola, sia di chi invocava esorcismi di una misericordia molto ipocrita perché condita di «ma…», e di coloro che astutamente urlavano, con eccitazione ed esclusivismo populista e xenofobo, alla catastrofe permanente e se ne facevano gradassi nel proporre soluzioni impotenti.
I migranti ci fanno paura. Sempre. Noi siamo cosmopoliti ma del benessere. Nel 2011 quando i barconi sbarcavano tunisini e nel 2013 quando a questa umanità formicolante si sono aggiunti i siriani; e poi un anno dopo l’altro quando hanno cominciato a scalare continenti e mari africani di tutte le latitudini e gli afghani. Fino ad oggi, nel 2023, quando i barchini hanno preso il posto dei barconi e hanno occupato il mare, innumerevoli, fragili scialuppe di popoli in fuga. La retorica di queste eterne circostanze, dodici anni per una sofferenza imposta e accettata è una eternità, è ormai una impertinenza.
Non facciamo più la vecchia domanda; da dove vieni? non c’è più tempo sui moli, e poi bisognerebbe ripassare una geografia composta di innumerevoli nomi di cui siamo ignoranti. Migranti semplici e astrusi come la natura, che hanno lasciato città morte, abbandonate come abiti usati, o come gusci d’ostrica a deperire nei loro deserti di fame di guerra di dittatura e fanatismo. La cruda realtà, non l’intelligenza o la ragione, ci ha costretti alla fine a dismettere il nostro vecchio gioco delle nazionalità come identità e appartenenza che serve a dividere a scegliere a privilegiare; e ammettiamo che sono un popolo nuovo del mondo. Superficiali e boriosi (la boria è un difetto europeo) abbiamo cercato vilmente di aggirare il faccia a faccia con il diverso da sé.
Ho passato giorni e giorni con i migranti, ho camminato e sono affondato al loro fianco, ho sentito il loro esclusivismo, la loro alterità, la loro solitudine. Forse per questo non ne ho paura. Sono il prodotto della Storia e della miseria. Possono ad ogni momento dire: è tutto finito, sono pronto. Noi abbiamo sempre bisogno di un rinvio, chiediamo tempo. La loro vita è divisa tra la nuova e la vecchia patria, le loro idee del mondo sono frammentarie, divise tra quello che è proprio e quello che è altrui.
La Migrazione era una fortuna che ci offriva la Storia. La sua volontà di catturarci, il metterci alla prova che esercitava in ognuno delle sue mille sfaccettature (perché la migrazione è cambiata in questi anni mille volte, solo noi siamo rimasti ottusamente eguali) perfino il suo carattere invasore ci chiedevano una risposta immediata, un soprassalto di volontà critica. Ci spingeva a non accettarci ingenuamente con le nostre bugie ma ci obbligava con la sua violenza a fronteggiarla. Era in questo senso una occasione rivoluzionaria.
Noi xenofobi per ignoranza e per utile, oppure pietosi ma con la regola di evitare gli scomodi e gli azzardi della pietà che altrimenti è mezzuccio e affare, ci siamo impegnati a aggirare quello che era diventato il punto morto del nostro mondo, l’anello che non teneva, il filo da sciogliere per essere davvero Diritto realizzato e vivente.
Sfogliamo le strategia per affrontare la Migrazione. Non era per viltà che illuminati ma realisti bizantineggiavano sulla distinzione tra migrante utile e migrante superfluo? il primo da accogliere, meglio da assumere, perché serve; il secondo da respingere o spazzare nel buio della clandestinità perché non ci aiuta a restare ricchi, oziosi e gaudenti. Mentre altri, i furbi che avevano capito tutto si arricchivano. Chi con i voti passando, con libelli arroganti, dall’irrilevanza al governo, chi con i soldi; perché il migrante rende. E non solo al trafficante di uomini, allo scafista che è solo anello della lunga catena di business e di violenza, stramaledetto, certo, perseguito a parole ma poi di fatto impalpabile, poliziescamente individuato nella manovalanza criminale.
È stata viltà e paura a muoverci in delegazioni di eccellenze continentali per andare a mendicare dall’altra sponda l’aiuto interessato e lucroso di canaglie e criminali, preventivamente assolte perché non si fanno accordi con chi non senti eguale. E anche qui i progressisti che rubano la parte agli altri, anticipano disinvoltamente i tempi, le napoleoniche missioni libiche, l’idea di affidare il migrante a carcerieri senza pietà, annullarlo nel suo mondo che sarebbe feroce per natura. E intanto continuare a proclamare la necessità e la virtù dell’accoglienza! E poi quando le maglie di quella rete si sono allentate, gli altri, i pugnodiferro, i mascelluti dei blocchi navali, dei porti sbarrati, dei decretissimi Cutro, anche loro, giù a rincorrere loschi individui, sempre di più, sempre più a Sud del mondo: raiss egiziani dai molti delitti, presidenti nigerini amici di Macron ma che fanno palanche con i migranti, e il ciglioso ducetto tunisino che non si contenta di soldi, pretende anche salamelecchi e riguardo. E adesso il Sudan, il Gabon, il Marocco, e chissà quanti altri dopo ogni nuova guerra, golpe, catastrofe naturale, ruzzolando su una china che non ha fine. Imiteremo l’Inghilterra che paga a buon prezzo il Rwanda perché faccia il samaritano al suo posto, spedendo aerei carichi di respinti. E forse è la faccia di un colonialismo al contrario; esseri umani in cambio di rame e coltan.
Si tira avanti all’infinito con una fanghiglia di decreti circolari fogli d’ordine piani patti che impasta e offusca i cervelli. La destra la definisce «emergenza» per giustificare il pugno di ferro il si salvi chi può e chiamare a colpevole l’Europa antipatica. La sinistra replica con il «fenomeno strutturale». Che ha una vernice sociologica ma che è qualcosa che assomiglia alla grandine per i contadini: ciclico inevitabile maledizione eterna. Migreranno sempre, non si fermeranno mai, un mondo si svuota un altro il nostro che è bellissimo si riempie... Trovo questo non solo errato storicamente, è una condanna per milioni di uomini. Fuggire non è una forma culturale di essere, è la conseguenza dello sfruttamento e della violenza. Che bisogna aiutare quegli uomini a rovesciare, con la forza se necessario. Allora non partiranno più. —