La Stampa, 14 settembre 2023
Studiare a Caivano
«Non voglio essere uccisa, togli il registratore. Non fare foto. Mio marito è un mostro. La droga li trasforma in animali. Un matrimonio di trent’anni che finirà in tragedia lo so. Per procurarsi le dosi è un burattino nelle loro mani». È il primo giorno di scuola anche all’Istituto Comprensivo IC3 di Parco Verde. Mamme, figlie e figli sono i protagonisti. La festa però è solo apparenza per molti. Siamo tornati a Caivano. Era iscritta in questa scuola anche la più grande delle due ragazzine stuprate. Sulle scale antincendio c’è un capannello di studenti delle medie. Tutti maschietti. La conoscevate? «Di vista. In classe però non veniva quasi mai». «Io conoscevo alcuni dei ragazzi indagati: sono innocenti». E lei è colpevole? «Lo sapevano tutti che faceva la zo****a». «È uno schifo, smettila. Non dire così. Non rappresenti nessuno di noi». La reazione del tredicenne coetaneo è un sollievo. L’anticorpo alla barbarie. Non ti concentrare su di lei, dimmi di te, chiedo. Qual è la tua idea del sesso? In dieci contro due? Ride, ma confesso non capisco la risposta in dialetto. Arriva una professoressa: «Deve andare via». Non scatto foto ne metto nomi e cognomi. «Nessuno di loro può parlare se non alla presenza di un genitore». Intanto nell’atrio la cerimonia ufficiale entra nel vivo alla presenza dello Stato: tutte le forze armate, generali, polizia, bersaglieri. In prima fila è seduto Fabio Ciciliano, il neo nominato Commissario straordinario designato dal governo Meloni, per l’individuazione di un piano straordinario di interventi infrastrutturali e di riqualificazione del territorio comunale. È la sua prima uscita pubblica. Si sottrae alle domande, dice soltanto: «È cruciale e fondamentale cominciare dalla scuola che fa nascere e fa crescere gli adulti di domani». Il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, martedì, alla guida della sua macchina, è arrivato a Parco Verde, si è seduto al tavolino di un bar a pochi passi dal luogo in cui è avvenuta l’ultima sparatoria e si è fermato a parlare con chi c’era. «Venire da solo a prendere un caffè a Caivano ha un gusto fantastico», dice nel video che ha poi pubblicato sui suoi social. Non c’era invece ieri mattina mentre Prefetti, Commissari, Preti, Procuratori e forze dell’ordine aprivano le danze dell’anno accademico 2023-2024. Dal palco allestito prende la parola la Procuratrice presso il Tribunale dei Minori: «Non dovete avere paura dell’intervento dei servizi sociali». Ma qui di interventi giurano di non averne visti granché. Chi vuole lavorare a Caivano da grande? Il presentatore spiazza persino i bambini. Sono pochissime le mani alzate. «Il mio terrore di mamma è la droga. Lo so che voi siete qui per lo stupro, tremendo. Ma il mio nemico è la droga. Quello che non gli posso dare io glielo possono dare quei bastardi. Soldi facili. Tentazioni. E poi le sparatorie. Qui sparano come niente. Se ne fregano della polizia. Chiudo gli occhi e sogno un figlio ammazzato da una pallottola volante». «Io ho una figlia di 11 anni, mi fa male ma ho chiesto a mia sorella se la posso mandare da lei per un anno. Lei abita a Salerno. Spero se la prenda. Io non me ne posso andare». Si vive così quando il tuo vicino è un capo clan. Si avvicina una ragazza di 15 anni. «Faccio il liceo a Frattamaggiore. Voglio scappare, ma all’estero. Che ti credi che fuori dal Parco Verde c’è il paradiso terrestre? Ovunque si vende droga sui motorini come le mozzarelle». Chiedo a Bruno Mazza dell’associazione “Un’infanzia da vivere” di Caivano se mi fa fare un giro. Mentre sono nella loro sede arrivano tre volanti della polizia, accerchiano un uomo su un monopattino. «Quello fa il palo, ma figurati se è uscito di casa con la droga con tutti ’sti posti di blocco». Poi entra un signore, 52 anni, si regge in piedi a malapena. Bruno lo fa sedere: «Che hai fatto, ancora? Basta ti buchi da vent’anni…». «Lo so, hai ragione, se solo avessi qualcosa da fare, un lavoretto, anche tagliare l’erba». Arriva una donna: «Bruno ci servono delle cesoie e la chiave della cassetta degli attrezzi». Che state facendo? «Stiamo sistemando l’esterno della scuola elementare. Dobbiamo tagliare dei ferri arrugginiti. Abbiamo già pulito le aiuole e potato gli alberi». Ma perché voi? «Non lo fa nessuno. Per le creature». Finalmente partiamo in macchina io, Mazza e Enzo, il professore lo chiamano in associazione, docente di scienze al liceo Braucci di Caivano. «Vieni ti mostro la vita fuori dal circo mediatico Parco Verde». Guida in direzione dei Regi Lagni la rete idrografica di canali per irreggimentare le acque piovane ampliate e completate dall’amministrazione borbonica. Pochi minuti e siamo davanti alla nuovissima stazione di Napoli Afragola, sempre però territorio Caivano. La macchina si infila in una strada sterrata, si ferma davanti a un cancello aperto.
Entriamo, facendoci largo tra le erbacce altissime. Ci sono le attrezzature in legno per allenarsi all’aperto; lo scheletro di un’altalena e altri giochini. Stai attenta a dove metti i piedi, è pieno di chiodi e ferri arrugginiti. Guarda!». Entro in un campo da calcetto, subito dopo c’è una pista da skateboard, camminiamo sopra ciò che è rimasto di una struttura in legno in origine nata per essere adibita a spogliatoio. C’è anche un campo da basket. Lungo la ferrovia ciò che resta di due casali in cemento. «Erano i bagni. Fino a due anni fa in quest’area verde attrezzata ci venivo con i miei studenti. Era già in stato di abbandono ma non così. Potevamo fargli fare qualsiasi attività gratis. È un parco pubblico. Potevano allenarsi e usufruire di tutto gratis. Chi ha pagato per questo polmone oggi in malora? Perché è finito così?». All’abbandono delle istituzioni si unisce anche lo sciacallaggio di chi ha smontato le strutture pezzo pezzo: «Per sbarcare il lunario, ti vendi il ferro per esempio e guadagni la giornata». Ci sono ancora dei palloni qua e là. «Ci vengono i ragazzini, dove devono andare? Ormai però è pericolosissimo». Risaliamo in macchina. Campo Sportivo Faraone. «Chiuso anche questo, ci trovarono armi. Dovevano ristrutturarlo e adibirlo a struttura sportiva per le studentesse e gli studenti della scuola in cui insegno. Dico: vederlo così non è una sconfitta dello Stato?».
Usciamo da Caivano, entriamo a Crispano. Anche qui il rione delle case popolari Iacp sembra identico a tutti gli altri. Facciate degradate, immondizia ai lati delle strade, cemento, solo cemento. La strada che stiamo percorrendo a un certo punto è bloccata da due volanti della polizia. Escono e iniziano a perquisire due ragazzini. «Due pali, bassa manovalanza». Ci rimettiamo in macchina. Sbuchiamo in via Armando Diaz, a sinistra si torna a Caivano, a destra si prosegue per Crispano. «Qui giocano sui confini dei comuni per darsi le colpe a vicenda: la manutenzione è compito tuo, non è tua. E nel mentre non fa niente nessuno, così ti sembra di stare sempre nello stesso paese di merda». Arriviamo a Cardito. Accanto al liceo artistico c’è l’area in cui il martedì fanno il mercato: immondizia ovunque.
«Con ironia, le studentesse e gli studenti del liceo artistico hanno l’affaccio sulla fogna, fonte di ispirazione». Ultima destinazione, per oggi, Afragola. Rione Speranza: «Qui mettono i cancelli per agevolare lo spaccio di droga. Fanno i blitz, li rimuovono e poi li rimontano». C’è la Terra disegnata sulla facciata di un palazzo. «Noi siamo quel buco lì. Viviamo tra roghi, topi e immondizia» mi dice dalla macchina un uomo – l’unico a rivolgermi la parola – che per la paura di essere visto a dare confidenza a qualcuna non di zona, rallenta soltanto e non si ferma. Infine Rione Salicelle, molto più grande di Parco Verde. Per strada non c’è anima viva. Qualche ragazzino solo agli incroci. «I pali, sempre loro». Dai palazzi sono caduti pezzi di intonaco. Spunta il ferro arrugginito dal cemento. Ci avviciniamo alla piazzetta zona franca degli spacciatori. «Ehi, che vuoi. Vattene. Non ne vogliamo pubblicità qui. Stiamo bene, tornate al Parco Verde». Qualcuno si affaccia timidamente alla finestra e poi però richiude subito. Non ci sono asili, negozi, vie di passeggio. Solo punti di spaccio. Chissà perché il governo Meloni l’ha chiamato Decreto Caivano