il Fatto Quotidiano, 14 settembre 2023
Intervista a Matteo Garrone
Più di un centinaio di sbarchi, oltre settemila persone a Lampedusa, e Matteo Garrone non si sorprende: “Ma lei pensa che abbia mai potuto credere che questo fenomeno s’interrompesse? Che potessero finire le morti in mare di innocenti?”.
Leone d’Argento per la regia e il premio Mastroianni all’interprete emergente per il protagonista Seydou Sarr alla 80esima Mostra del Cinema di Venezia, Io capitano da oggi aumenta le copie in sala: 256. Il regista non vuole entrare in discussioni politiche, “non è il mio terreno”, e nella cronaca non ravvisa un’eccezionalità: “Da quanti anni queste immagini ci colpiscono?”.
Nondimeno, Garrone, il film è un atto politico.
Cerco di dare a questi personaggi una identità: da anni ormai siamo abituati a considerarli soltanto numeri. Voglio cambiare prospettiva, che ci sono i morti lo dico, lo racconto nel film: è un viaggio di morte, un’ingiustizia profonda. Ma per quale motivo mi debbo sorprendere di una barca che affonda? Se sappiamo che milioni di persone sognano di venire qui, che i giovani che partono rischiano la vita: perché uno dovrebbe pensare che le cose cambieranno?
Su cosa si basa Io capitano?
È animato da racconti ancorati ai vissuti: io parlo di loro, di ragazzi che hanno vissuto quell’esperienza di viaggio. Fofana che a quindici anni ha pilotato in mare duecentocinquanta migranti, Mamadou che ha convinto a partire con sé il cugino che aveva paura.
Pinocchio, che ha già portato sullo schermo, è stato un’ispirazione?
Girando, mi sono reso conto incidentalmente che tornavano cose del mio film precedente, però mi ha sorpreso fino a un certo punto, perché anni addietro avevo pensato di attualizzare Pinocchio: partiva dall’Africa per arrivare al paese dei balocchi, ma il rischio era un eccesso simbolico. Ho rinunciato, ma il legame evidentemente è rimasto. È un romanzo di formazione, c’è un ragazzo che scappa di nascosto dalla madre, parte con Lucignolo accanto, e trova la violenza circostante.
Seydou e il compagno di avventura Moussa, chi sono?
Eroi contemporanei, oggi l’epica passa attraverso di loro.
Il film sta andando bene.
Grazie ai premi vinti a Venezia, grazie alla purezza di Seydou, alla sua umanità, Io capitano arriva dritto al cuore della gente: forse è il mio film più popolare. Sono in tour da giorni, e il pubblico che incontro è trasversale, di tutte le età. Gli spettatori entrano in empatia con Seydou e vivono il suo viaggio in soggettiva: soffrendo, sentendo i momenti catartici. Mi ha colpito l’accoglienza in sala, e penso che anche la scelta radicale di mantenere la lingua originale, il wolof, con i sottotitoli stia pagando, dà autenticità. E gli spettatori…
Gli spettatori?
Si accorgono che il film è diverso da come se lo potevano immaginare. Ci sono tanti pregiudizi – legittimi, anche io ne avrei – perché l’immigrazione è un argomento scivoloso, può essere trattato in maniera strumentale, retorica e pedissequa. Poi, c’è un regista italiano, che potrebbe speculare sul povero migrante dal punto di vista del borghese, benestante: insomma, mille trappole. L’unica vera forma di salvezza per il film sono stati i riconoscimenti veneziani che hanno avvicinato il pubblico e quindi reso possibile il passaparola. Così si capisce che l’angolazione di Io capitano è differente: dà forma visiva a un racconto che non ha immagini.
La candidatura italiana per l’Oscar, ci pensa?
Le giurie sono sempre imprevedibili. Le critiche negli Usa sono le migliori che abbia mai avuto, Io capitano è un film internazionale a tutti gli effetti: spero possa essere accolto bene anche lì. Poi, sarà quel che sarà.