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 2023  settembre 13 Mercoledì calendario

Intervista a Gianni Cervetti

Milano Gianni Cervetti, un compagno del secolo scorso, un pezzo di storia del Pci, compie novant’anni e quando si volta indietro cerca di non farsi travolgere dal pessimismo: «Alla mia età sarebbe facile, ma preferisco l’ottimismo della volontà». Guarda al passaggio d’epoca che segna una regressione della cultura politica che ha conosciuto, ma riconosce due fatti di grande rilievo, per le donne: una è premier, l’altra segretaria del Pd.
Un giudizio su Giorgia Meloni?
«Non credo che meriti giudizi di parte come i miei. Guardando alle radici delle persone e agli orientamenti internazionali vedo però scelte assai dubbie per i rapporti con alcune forze europee che guardano a un passato che non deve riemergere».
Ed Elly Schlein?
«Non amo le pagelle. Sarà valutata attraverso l’azione politica che riuscirà a realizzare».
Da riformista storico, come giudica il disagio e l’abbandono di esponenti di quest’area con il nuovo corso pd?
«Il destino di un partito non dipende da loro, o non solo da loro. Penso che oggi manchi un impegno sufficiente per affermare una vera forza riformista. La coerenza dovrebbe essere un punto fermo».
C’è troppa «volatilità nel bar Italia», ha detto Bersani. Ma anche nella sinistra ci sono troppi personalismi...
«L’incoerenza è un male della politica. Ma la coerenza non deve essere cieca, va adattata al mutamento dei tempi. Vedo crescere troppi egoismi».
Nella sua storia, come quadro del Pci negli anni di Mosca, la segreteria milanese e lombarda, il Parlamento e l’Europa, certi strappi non sono stati anche incoerenza?
«Se allude alla Nato e a Berlinguer, era giusto prendere le distanze dall’Urss e dall’involuzione brezneviana. Io ero a Mosca con il segretario del partito quando deflagrò lo strappo dopo l’intervista di Pansa al Corriere. Parlò al congresso del Pcus e nella sala si alzò un brusio. Uscimmo insieme: è giusto così, gli dissi. Berlinguer aveva ragione».
Un altro strappo fu quello dello stop ai finanziamenti, il flusso di denaro che da Mosca arrivava nelle casse del Pci e che lei in un libro ha chiamato l’oro di Mosca...
«Non era incoerenza, era la svolta per non subire più l’influenza sovietica nella politica del Pci. La riunione decisiva avvenne verso la fine del 1975. Eravamo in tre: Chiaromonte, Berlinguer ed io. Ci trovammo in segreto alla Camera per stare lontano da orecchie indiscrete. Proposi di chiudere quei rubinetti...».
Lei allora era l’uomo dei rubli, si diceva che pensava in russo e traduceva in italiano.
«Quella scelta resta un piccolissimo fatto storico, utile per avviare il partito verso l’Europa. Non a caso la visione europeista di Berlinguer portò alla candidatura nel Pci di Altiero Spinelli, uno dei padri degli Stati Uniti d’Europa».
Davanti all’azione aggressiva della Russia, l’Europa si è comportata come l’Unione che lei difende e sostiene?
«È stato giusto difendere l’Ucraina, i russi hanno le colpe maggiori. Ma anche gli ucraini hanno qualche responsabilità. Bisogna lavorare tutti per una conclusione positiva di questa guerra insensata».
Qual è l’errore che imputa alla sinistra, che ha perso voti e governo del Paese?
«Uno, fondamentale. Non essere stata coerente nell’organizzare un partito di massa. Espressione un po’ datata per dire che se una forza vuole essere democratica e riformista deve anche essere estesa come un guanto che aderisce alla mano. La mano è la società».
Nella società crescono le diseguaglianze: anche nella sua Milano aumenta il divario tra ricchi e poveri. Le piace la città di oggi?
«Non si può chiedere questo a un milanese che ha amato e ama la sua città, la sua cultura e la sua azione politica e sociale. Milano ce l’ho sempre nel cuore, dalle radici alle realtà che si sono succedute negli anni. È città nazionale e democratica. Non deve sentirsi trascurata da Roma, la trascuratezza è un obiettivo che va superato dai milanesi stessi».
Ieri sera ha festeggiato il compleanno con un concerto all’Auditorium Mahler. Ama la musica e i libri. È vero che colleziona Divine Commedie?
«Ne ho più di duecento, è una passione».
E nel mondo dantesco, dove sarebbe oggi l’Italia?
«Non so se collocarla nel Limbo o all’inizio del Purgatorio».