Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  settembre 12 Martedì calendario

intervista a Massimo Ranieri

«Io so chi sono, non voglio compassione, sono innocente». Massimo Ranieri, a vent’anni dalla sua ultima apparizione in una fiction, è protagonista della nuova serie La voce che hai dentro, prodotta da Lucky Red, su Canale 5 dal 14 settembre in quattro prime serate, con la regia di Eros Puglielli. La vicenda è ambientata a Napoli e, nella prima scena, Michele Ferrara, il personaggio da lui interpretato, esce dal carcere di Poggioreale, dopo aver scontato dieci anni con l’accusa di aver ucciso il padre Mimmo, noto cantante e fondatore della casa discografica Parthenope. «Michele si è sempre dichiarato non colpevole – continua Ranieri – ma non è stato creduto e, quando torna a casa, trova la sua famiglia distrutta. La moglie si è rifatta una vita sentimentale, ed è poco convinta della innocenza del marito; i due figli maggiori stanno brigando per vendere la casa discografica».
Nonostante la deriva familiare, Michele, cantante di talento, vuole salvare la Parthenope?
«Sì! È un uomo devastato dal dolore, ma contro il parere di tutti, si dà da fare per trovare nuovi cantanti giovani, per rilanciare la casa discografica, rinnovando il repertorio. Dopo dieci anni, passati dietro le sbarre, il mondo è cambiato, non si possono riproporre le canzoni neo-melodiche, c’è il rap, il trap e si imbatte in una ragazza che canta in una discoteca: è brava e vuole darle fiducia. Questa storia è anche un modo per dire ai giovani di oggi che non bisogna arrendersi».
Una storia di un ambiente musicale, che nasce da una sua idea e forse la riguarda personalmente?
«Nel mio percorso ho conosciuto ostacoli, saracinesche abbassate, sassi sotto i piedi... ma non mi sono mai abbattuto. Sono nato in una famiglia proletaria, ho fatto tanti mestieri, cantavo pure nelle osterie per ottenere preziose mance... E la mia prima grande avventura fu quando, a 13 anni, venni ingaggiato per fare da spalla al mitico Sergio Bruni, che doveva esibirsi a New York».
Parte per l’America?
«Ebbene sì. All’epoca non c’erano aerei, ma solo navi per andare oltreoceano. Ci imbarcammo sulla Cristoforo Colombo e, alla partenza, i miei genitori e i fratelli mi salutavano con i fazzoletti bianchi dalla banchina. Mia madre gridava: torna presto figlio mio!».
Come li aveva convinti?
«Li convinse l’organizzatore, e poi andavo a guadagnarmi il pane! Quindici giorni di navigazione: non sapevo nemmeno nuotare, ma era elettrizzante. La nave era enorme però, nello sconfinato Atlantico, sembrava una barchetta a remi. Arrivammo sani e salvi, ma a casa mia non c’era il telefono, non potevo rassicurare i miei: mamma andò dai carabinieri per avere mie notizie».
Sergio Bruni il suo primo maestro?

«Mi ha insegnato tutto, a cominciare dall’educazione di entrare in scena in punta di piedi, ringraziando il pubblico che lo idolatrava e gli dava la possibilità di poter mangiare. Avevo il compito di cantare qualche canzone, anticipando la sua esibizione e poi facevo il suo servo di scena...».
Una carriera iniziata prestissimo, con tanti successi canori. Perché a vent’anni decise di cambiare strada?
«Avevo fatto il Cantagiro, il Festival di Sanremo, Canzonissima... Non mi ci vedevo tutta la vita col microfono in mano, volevo imparare altro».
E si dedicò alla carriera d’attore...
«Non ho frequentato accademie, la mia scuola è stata la strada. Fu Patroni Griffi a dirmi: devi fare teatro. La svolta avvenne con Strehler, che cercava un interprete per L’anima buona di Sezuan: quando mi chiamò la sua segretaria per invitarmi a Milano, pensai a uno scherzo. Con lui fu un massacro, ma in 5 mesi di prove sono cresciuto professionalmente di 50 anni. Luchino Visconti mi voleva per impersonare Caruso nel film cui stava pensando: iniziammo il lavoro, ma purtroppo lui venne a mancare».
È vero che per Barnum il Musical imparò a fare il funambolo?
«Ho frequentato per 6 mesi il circo, imparando tutto da funamboli, pagliacci, acrobati... Per interpretare il pugile Marcel Cerdan, ultimo amore della Piaf, due mesi di allenamento con Patrizio Oliva: dimagrii 10 chili!».
Un rimpianto?
«Un dispiacere. Durante le prove con Strehler, venne a trovarci il grande Eduardo De Filippo, che mi disse: “Non capisco perché non vuoi lavorare con me”. Gli risposi: Maestro, chi le ha detto questa sciocchezza? e Lui: “Me l’hanno detta”, e se ne andò».