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 2023  settembre 12 Martedì calendario

Intervista a Richard Powers


«Fu un filosofo francese mio grande amico, il teorico dell’actor-network Bruno Latour, ad aiutarmi a comprendere l’essenza del mio lavoro. Da differenti percorsi eravamo giunti a conclusioni simili: la separazione dell’uomo da natura e macchine è artificiale. La nostra esistenza è combinazione del tutto ed è di questo che scrivo. Provo a raccontare la storia della riunificazione fra gli esseri viventi con cui coesistiamo e le estensioni tecnologiche da noi create». Al telefono dalla sua casa di Townsend, Tennessee, fra quegli alberi alle pendici delle Smoky Mountains protagonisti del suo Il sussurro del mondo – il romanzo del 2019 premiato col Pulitzer – Richard Powers, 66 anni, t’incanta con la lucidità della sua visione mentre ti svela la fonte del suo immaginario: «Vivo ai margini di una foresta attraversata da un fiume. Molte delle mie storie nascono mentre nuoto o cammino». La Nave di Teseo, che ha già tradotto molti dei suoi 13 romanzi, pubblica Operazioni anime erranti del 1993. Storia d’amore e dolore in un reparto di pediatria per malati gravi.
Come guarda a quel romanzo scritto 30 anni fa?
«Lo scrissi rientrando in America dopo alcuni anni in Europa. S’ispira alle esperienze di mio fratello, all’epoca medico in un pronto soccorso di Los Angeles. Il mestiere lo stava cambiando e provai a raccontare il peso emotivo di un’esperienza violenta e catartica come quella. Lo considero un libro personale e un po’ folle».
Perché?
«Non ho mai più usato quello stile incendiario, fuochi d’artificio a ogni pagina. D’altronde avevo la metà degli anni che ho, ero diverso da chi sono oggi e quel libro è un reminder della non continuità del sé. Non lo rinnego, sono felice di averlo scritto. È quanto rimane di un momento, ci ritrovo paure e speranze di allora».
È ancora molto attuale...
«A renderlo tale è l’aver intuito la polarizzazione verso cui andavamo. Oggi negli Stati Uniti tutto è al limite. Quel romanzo anticipa la fragilità di un intero sistema».
Nei suoi libri parla di medicina, genetica, AI, ambiente e molto altro: la scienza è letteraria?
«Plasma le nostre esistenze e dunque non se ne può prescindere raccontando storie di persone. D’altronde la letteratura che indaga sul senso di essere umani ha da sempre fatto i conti coi cambiamenti portati da scienza e tecnologia».
Programmava computer: com’è diventato scrittore?
«Negli anni ’80 lavoravo a Boston come consulente tecnico di computer e il sabato andavo al Museum of Fine Arts perché era gratis. Visitando una retrospettiva del fotografo tedesco August Sander m’imbattei in un ritratto: Tre contadini vanno a ballare, 1914. Fui folgorato da immagine, titolo e data: alla vigilia della prima guerra mondiale quei tre andavano verso ben altra danza. Immaginai una storia dove passato e presente s’intrecciavano. Mi licenziai e iniziai il mio primo romanzo».
Cos’hanno in comune programmatore e scrittore?
«Entrambi catturano la realtà attraverso struttura e forma e la formazione di programmatore mi ha certo spinto a riflettere sulla natura del linguaggio. Ma ad influenzarmi è stato vivere nell’era della rivoluzione digitale, che permettendoci di manipolare spazio e tempo in maniera nuova ha ridisegnato il modo in cui interagiamo. Facciamo ricerche in un attimo, entriamo in luoghi inaccessibili, chiediamo a programmi di scrivere storie: tutto usando la stessa scatolina con cui io e lei in questo momento comunichiamo».
Intelligenza Artificiale a portata di smartphone...
«È uno dei miei temi cruciali. In Galatea 2.2, scritto negli anni ’90, immaginai una macchina tipo ChatGpt, che usava deep learning e networking. L’AI è pure nel racconto a cui lavoro ora. Cosa farà al mondo questa ennesima rivoluzione? Me lo chiedo da 35 anni».
La risposta?
«Dovremmo cercarla insieme. I primi computer hanno riscritto le regole della nostra vita quotidiana: ora l’AI mette in discussione privacy, proprietà intellettuale, creatività: il senso stesso delle nostre vite. Traevamo dignità e identità dal lavoro. E ora che lo svolgono creature non umane dobbiamo trovare nuovo senso a ciò che siamo. Ho giocato con ChatGpt e mi ha sorpreso. Più lo usi più si raffina, se lo spingi fuori dal suo pattern iniziano le sfumature. Affascinante e terrificante, nuovo incubo di ogni artista».
Davvero la fiction anticipa la realtà?
«Crea un luogo sperimentale dove esplorare, esasperare, svelare ramificazioni della realtà. Gli autori sensibili a quanto gli accade intorno scrivono ipotizzando risposte ai loro quesiti. C’è chi, come Gustave Flaubert, Jane Austen e tanti altri, ha anticipato cambiamenti sociali. Capaci di cogliere e narrare le conseguenze dell’instabilità prodotta da crisi epocali. Non predizioni “magiche” ma comprensione ed esasperazione del presente».
Che impatto ha avuto la pandemia sul suo lavoro?
«Smarrimento, pubblicato nel 2021, parla di ambiente e sindrome di Asperger ma descrive anche la disperazione dell’era pandemica in un’America dove il tessuto sociale si stava polarizzando. E poi nel nuovo romanzo affronto come la pandemia ha ristretto il nostro panorama mentale»
Ci anticipa qualcosa?
«Ha cambiato il nostro modo di essere creature sociali. Durante la pandemia abbiamo filtrato le relazioni attraverso piattaforme e interagendo attraverso macchine ci siamo dimenticati di avere a che fare con esseri umani, finendo per oggettivare il prossimo».
Più la scienza avanza, più aumentano i negazionisti: come lo spiega?
«La necessità di competenze sempre più complesse ha aumentato le specializzazioni, liquefacendo ogni aspetto della vita. Oggi pochi comprendono il funzionamento complessivo delle cose. Il risultato è che il vivere quotidiano è diventato atto di fede. Per dire, un tempo se si fermava la macchina sapevamo metterci mano. Ora solo uno specialista sa farlo costringendoci a fidarci di ciò che lo specialista-meccanico dice. Accettazione o negazione della scienza passano dunque per meccanismi psicologici simili: aver fede in ciò che ci dicono, perché gli strumenti di verifica sono deteriorati».
Per colpa di chi?
«La responsabilità è di tanti. Per dire, i giornali non fanno più il check alle notizie che si faceva un tempo: ma anche perché servono appunto competenze specifiche per verificare ogni cosa. Il risultato è che il pubblico “consuma” ciò che lo fa sentir bene. Se la narrazione piace, si prende per buona. Donald Trump lo ha capito benissimo e ha usato fin dall’inizio la retorica per validare il concetto del vale ciò che piace, sdoganando il fai-da-te della narrazione. Ecco perché, nell’America polarizzata, per alcuni deve finire in prigione, per altri è vittima di una montatura. Infangando il meccanismo sociale che garantiva il bilanciamento delle posizioni ha reso difficile distinguere realtà e finzione».
Come restare lucidi?
«Guardo alle connessioni con le altre creature viventi e con quelle da noi create. Funziona così anche il mio processo creativo: compongo storie all’aria aperta. Prendo appunti vocali o a mano e mi sforzo di coltivare la memoria. Poi perfeziono al computer, usandolo come strumento di completamento. La ricerca di equilibrio fra umanità, natura e tecnologia è il mio spiraglio di lucidità».