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 2023  settembre 12 Martedì calendario

La versione di Giorgia

In politica estera la visione è tutto. E, a costo di sembrare presuntuosa, credo che quello che fa la differenza, oggi, nella centralità italiana, sia proprio che essendo il nostro un governo politico ha una visione, chiara, che porta nei consessi internazionali un contributo di discussione importante. Veniamo ascoltati e rispettati perché abbiamo qualcosa da dire.
Abbiamo acceso i riflettori sull’importanza di coltivare con le nazioni africane una cooperazione paritaria, abbiamo sottolineato la centralità del Mediterraneo e più in generale del mare, con un’attenzione alle opportunità che possono arrivare dall’Indo-Pacifico, soprattutto per i nostri imprenditori. Per fare un esempio: ci rendiamo conto che con il raddoppio del Canale di Suez oggi è più facile che le merci arrivino prima in Italia dall’India che non dalla Norvegia? Ma anche il rapporto con l’America Latina va coltivato, e questo è il mio prossimo file, dove le enormi comunità di italiani all’estero hanno anticipato di molto la nostra diplomazia e i legami sono così forti che i nostri imprenditori dicono che a volte è più facile avere buoni rapporti con l’Uruguay, il Cile e il Messico che non con alcuni Stati europei. Servono visione e tanto lavoro, lavoro e visione.
Quella più nota è fare diventare l’Italia l’hub del Mediterraneo, lo snodo dell’energia per tutta l’Europa. Il Piano Mattei, un nome non a caso. Già, Enrico Mattei, partigiano bianco durante la Resistenza, nominato nel 1945 commissario liquidatore dell’Agip, la compagnia petrolifera fondata dal regime fascista. Invece che liquidarla la trasformò, sfidando il mondo intero, in Eni, con il quale diede benzina al miracolo italiano degli anni Sessanta. In sintesi è così. Ma il nome Mattei evoca altre due cose ancora attuali. La prima è che Mattei puntava all’indipendenza energetica e per questo sfidò le «Sette sorelle», cioè le sette grandi oil company del mondo che operavano sotto lo stretto controllo di Stati Uniti e Regno Unito, a proposito di autonomia. La seconda è che lui il petrolio e il gas se li andò a cercare in Africa ma, a differenza di altri, sempre con grande attenzione alle esigenze economiche e umane degli Stati e dei popoli con i quali concludeva accordi.
Dicono che per entrambe le cose qualcuno, ancora oggi ignoto, potrebbe averlo ucciso facendo precipitare alle porte di Milano, la sera del 27 ottobre 1962, il suo aereo personale di ritorno da un viaggio di lavoro in Sicilia. Spero che non succeda anche a me così (ride), ma sta di fatto che se diversi Stati africani lo considerano un eroe, gli hanno intitolato vie e targhe, che sono ancora lì oggi a distanza di sessant’anni, qualche cosa vorrà pur dire.
Pensa che ad Algeri c’è addirittura un giardino pubblico intitolato a Mattei. E non perché il fondatore dell’Eni lì ha scoperto i giacimenti di gas, ma perché aiutò gli algerini nella loro guerra di indipendenza coloniale. Mattei credeva nello sviluppo dell’Africa, nel diritto di quei popoli a vivere nel benessere grazie a ciò che il loro continente detiene. Perché l’Africa non è affatto povera, è soprattutto sfruttata. E vedi, ci sono due modi di concepire la cooperazione allo sviluppo. Ci sono quelli che quando manca l’acqua ti portano le bottiglie e ci sono quelli che ti portano un dissalatore per rendere potabile l’acqua del mare. C’è, insomma, chi con la cooperazione ti rende dipendente e chi con lo sviluppo ti rende indipendente. Io credo nel secondo modello di cooperazione allo sviluppo, e il Piano Mattei per l’Africa risponde esattamente a questa convinzione. L’obiettivo è investire in Africa sulla produzione di energia, per lo più pulita, che vuol dire sviluppo per loro ma anche autonomia energetica per entrambi. È abbastanza semplice da spiegare.
E allora spieghiamolo. Basta prendere una cartina geografica del Mediterraneo e guardarla. L’Italia è esattamente lì, in mezzo tra chi l’energia – sia quella tradizionale, che quella da rinnovabili avendo un clima di un certo genere – può estrarla o produrla e chi quell’energia non ce l’ha ma ne ha un disperato bisogno. Cioè siamo lì come un ponte tra l’Africa e l’Europa Nord-Centro-Orientale.
Ecco, il Piano Mattei vuole avvicinare questa domanda e questa offerta e l’Italia è la piattaforma ideale, direi naturale, per fare materialmente da centro di approvvigionamento e smistamento. Ho avuto modo di ricordarlo in tante occasione, penso al “Raisina Dialogue” in India e al “Wachau Forum” in Austria. È la nostra geografia a tracciare la nostra stessa missione: l’Italia è allo stesso tempo una nazione continentale e una nazione mediterranea, perché ha la testa in un pezzo di Mitteleuropa, i piedi bagnati nel Mare Nostrum e lo sguardo rivolto storicamente verso i Balcani e l’Europa Orientale.
Una scelta strategica per noi, che diventiamo lo snodo di tutto, per l’Africa, che si garantisce sviluppo e lavoro, e per l’Europa, che può così sganciarsi definitivamente dal problema della dipendenza dalla Russia e dall’incubo delle forniture future. Ma anche una scelta diplomatica, fondamentale, che può riportare l’Europa e l’Africa a essere partner naturali, allontanando le troppe influenze destabilizzatrici che stanno prendendo sempre più piede. A occhio non è che i Paesi africani siano molto più affidabili della Russia. Non sono d’accordo. Molti Stati africani non si fidano dell’Occidente, per le ragioni che dicevamo prima, ma non hanno tutti i torti. Poi sicuramente c’è e ci sarà il problema di Paesi instabili o governati da personalità che non dimostrano un grande interesse per lo sviluppo della loro collettività.
Così come ci sono e ci saranno sistemi che non sono esattamente democratici come i nostri. Ma anche per questo serve portare investimenti strategici: perché se è vero che la democrazia porta sviluppo, è vero anche il contrario, cioè che lo sviluppo avvicina la democrazia.
E in ogni caso ti assicuro che ci sono molti Stati che stanno facendo sforzi immani e chiedono solo una nostra maggiore presenza al loro fianco. Del resto se le strade a est si sono chiuse e tali resteranno a lungo, l’unica è quella di aprirne a sud dove, peraltro, questa strategia diventa anche lo strumento più duraturo di contrasto all’immigrazione illegale di massa.
E per garantire quel «diritto a non dover emigrare», sostenuto da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, e ricordato anche da papa Francesco