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 2023  settembre 12 Martedì calendario

Intervista a Roberto Saviano. Parla di Caivano

Roberto Saviano, a dieci giorni dalla missione del governo a Caivano ieri la camorra è tornata a sparare impunita al Parco Verde. «Lo Stato c’è» è, come sempre, uno slogan?«Peggio di uno slogan. Dire “lo Stato c’è”, dove invece è assente, deresponsabilizza tutti. Se lo Stato c’è, perché dovrei esserci anch’io? Se lo Stato c’è, allora le cose si sistemeranno presto. Ieri notte una stesa, ma dirò di più: Giovanbattista Cutolo è stato assassinato il giorno in cui Meloni era attesa a Caivano per una visita annunciata. Ovviamente è una tristissima coincidenza che però ci dice tanto su come questo governo, ma in generale la politica e le istituzioni, vengono valutate dal mondo criminale».Come li vede?
«Il nulla, al più un’interferenza».
Quando ha visto il governo al Parco Verde cosa ha pensato?
«È la fine di tutto. È la fine di ogni racconto che alla base abbia almeno un brandello di verità. Tutto ciò che il populismo sovranista tocca diventa pura propaganda. È stato così per tutto, per lo stato dell’economia italiana, per l’immigrazione».
Veniamo al decreto baby gang. Più carcere e più repressione. Serve davvero? Lo Stato ci riuscirà o sono sole parole?
«Non serve a nulla. E magari – ribadisco: magari! – fossero solo parole. Intanto sono parole drammatiche, insensate e che con il sistema giudiziario e carcerario italiano (sovraccarico il primo, letteralmente al collasso il secondo) non hanno alcuna speranza di essere attuate. Il carcere oggi è una palestra di crimine nel nostro Paese, e la repressione ha senso solo quando ogni deterrente ha fallito. Ma se qui in Italia non si fa prevenzione, come si può pretendere di punire?».
Carcere anche per i genitori che non mandano figli a scuola. Fino ad ora questo provvedimento eccezionale è stato utilizzato solo per le famiglie mafiose. È d’accordo?
«Come potrei essere d’accordo con una misura tanto assurda! Quando studiai le “paranze” di Napoli, ormai dieci anni fa, e ne scrissi diffusamente, avvertii che erano un fenomeno in crescita. Sa cosa ha dato un impulso enorme? Le scuole chiuse durante il Covid».
La Campania ha il record.
«La giunta regionale guidata da De Luca ha giocato col fuoco e oggi ci stiamo bruciando. A partire dall’ottobre 2020, le scuole erano aperte pressoché ovunque in Italia, tranne nelle regioni del Sud, quelle dove già la dispersione scolastica raggiungeva percentuali drammatiche».
C’era da tutelare la salute in un’area con assistenza sanitaria inefficiente.
«Durante il Covid, aver tenuto centinaia di migliaia di ragazze e ragazzi lontani dai banchi è stato letale e oggi la collettività ne paga le conseguenze. Molti adolescenti, ma anche tante bambine e bambini delle elementari, che da ottobre 2020 ad aprile 2021 non sono andati a scuola per le misure straordinarie prese dalla Regione Campania, letteralmente abbandonati a se stessi, a scuola non sono più tornati. I genitori spesso vivono veri e propri drammi e sono soli».
Alcune famiglie però sono consapevoli.
«E dov’è lo Stato? Ed è davvero accettabile che dopo tanta assenza, dopo errori madornali, si palesi solo sotto forma di manette? Ma che credibilità può mai avere?».
C’è lo stop ai cellulari?
«Sì, come no... stop ai cellulari, stop alla pornografia. A volte ho come l’impressione di avere davanti persone del tutto inadeguate, che proprio non si rendono conto del mondo in cui vivono. Per quanto riguarda i cellulari, è ampiamente studiato che andrebbero dati a partire dai 14 anni».
Prima vanno vietati a tutti?
«Prima è presto per molti motivi. Primo la totale incapacità di valutare l’attendibilità delle fonti, l’ansia che provoca l’attesa di una risposta, ma anche la mancanza di fisicità che azzera spesso ogni empatia. Il problema non è togliere il cellulare, ma darlo a un’età congrua e pretendere che la scuola si faccia carico di un insegnamento al suo corretto utilizzo. Ma siamo in ritardo di 40 anni sull’introduzione dell’educazione sessuale a scuola. Ma mi sa che pensare a corsi strutturali, obbligatori e non demandati alla sensibilità dei dirigenti scolastici, per un corretto uso dei cellulari sia fantascienza».
Il governo promette più sicurezza ma i sindacati di polizia si lamentano che non hanno le divise e il ministro Piantedosi ha già protestato con Giorgetti per i tagli in manovra.
«Sono questioni che lascio volentieri dirimere ai sindacati di polizia con il loro ministro di riferimento: che avessero creduto alle promesse di investimenti fatte in campagna elettorale è un problema loro».
È un problema di tutti.
«La verità è che questi ministri sono alla disperata ricerca di nemici perché non hanno un soldo per mantenere le enormi promesse fatte».
Torniamo al Parco Verde. Un’altra frase fatta, in questi casi utilizzata da chi non vuole una risposta securitaria, è «serve un esercito di insegnanti», come disse Gesualdo Bufalino.
«Serve cura. Serve studio, serve cultura. Saranno anche frasi fatte, ma se non sono attuate conservano tuttora il sapore della novità. E dell’utopia».
Come per le Vele di Scampia l’unica soluzione alla fine sarà abbattere?
«Anche qui, come per le Vele, abbattere sarebbe una sconfitta. Resto sempre perplesso da come riescano a celebrare le loro sconfitte come fossero vittorie. Le Vele andavano riqualificate. Il Parco Verde va curato».
Tra pochi giorni ci sarà una nuova udienza in tribunale nel procedimento che la vede imputato per diffamazione al premier Meloni. Cosa si aspetta?
«Più che imputato ormai ostaggio. In questo Paese puoi dire ciò che vuoi, basta che le tue parole restino in un perimetro circoscritto. Se, invece, quel perimetro lo oltrepassano, in quel caso il potere politico (che usa lo schermo dell’immunità per sé) usa l’arma della querela, costringendoti ad anni e anni di processo. I pavidi diranno che te la sei andata a cercare».
Come le ragazze in minigonna.
«Sono tutti un po’ Giambruno».
Si sente già condannato?
«C’è un clima bruttissimo e, francamente, non so cosa aspettarmi. Mi metto nei panni di chi dovrà decidere se è possibile criticare e in che modo la premier, e non posso non cogliere la pressione di un atto di forza da parte dell’esecutivo. A oggi questa vicenda ha portato alla cancellazione di una trasmissione in Rai che era già stata collocata e presentata in palinsesto dallo stesso Roberto Sergio».
Siamo addirittura alle condanne preventive?
«La cosa drammatica è che a distanza di mesi nessuno – e dico nessuno – si è preoccupato di chiarire le ragioni di questa decisione. I media al servizio del Governo parlano di violazione del Codice Etico dell’Azienda, ma qualche settimana fa Sergio ha, in un’intervista, escluso questa ipotesi. Faccio un appello: esiste qualche giornalista particolarmente coraggioso che gli chiederà un’intervista per chiarire le ragioni precise della mia esclusione? Sino a oggi Sergio ha detto che non è per violazione del codice etico che ha cancellato Insider, ma perché lui ha troppo rispetto per le istituzioni. Che significherà mai?».
Non lo so, ma glielo chiederemo.