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 2023  settembre 12 Martedì calendario

Mancano le forze dell’ordine

Matteo Piantedosi, ultimo di una lunga serie di ministri che lamenta tagli alla sicurezza, ha detto esplicitamente qualche giorno fa al forum di Cerobbio: «I fattori di legalità non devono far parte della contrazione della spesa». Perché questa è la paura al Viminale: che i fondi vengano tagliati in maniera lineare a tutti i ministeri.
Chi si occupa delle forze di polizia, ricorda con angoscia ciò che accadde nel 2012. Anche all’epoca c’era una emergenza per le Casse dello Stato e arrivò la mannaia di Mario Monti. Addio assunzioni per diversi anni, riduzione del parco auto, dei presidi e di tutto il resto. I danni si vedono ancora. Quest’anno mancano all’appello almeno 11 mila carabinieri, il 9,5% della forza prevista. E rispetto alle piante organiche del 2012, la polizia è priva di ben 20 mila agenti.
«Il saldo negativo pesa molto sulla struttura organizzativa, condizionando in particolar modo l’operatività delle unità minori: le stazioni e le tenenze», ha detto qualche mese fa in Parlamento il comandante generale dei carabinieri Teo Luzi. I freddi numeri però dicono poco di quello che davvero accade sul campo. Ci parlano di quantità, non di qualità. Non raccontano fino in fondo quanto il personale abbia la lingua di fuori.
«Da dove vogliamo iniziare?», chiede retorico un sindacalista. Cominciamo con l’esplosione degli straordinari. Agli agenti e ai carabinieri viene richiesto di fare molte più ore dell’orario previsto. Ore che dallo Stato vengono pagate poco e addirittura con 18 mesi di ritardo. «Ma la vita delle nostre famiglie – racconta Pietro Colapietro, segretario del Silp-Cgil -, come immaginate, è un po’ particolare. In tanti piccoli centri, specie al Sud, i nostri sono “i figli del poliziotto”. I ragazzi sono molto soli. E noi padri non ci siamo mai perché dobbiamo fare i doppi turni. È un grosso problema di cui nessuno si cura». Se si ascolta un carabiniere, il tono non cambia: c’è sui social il video di un maresciallo dell’Arma, rappresentante del Cocer, che illustra i problemi a un sottosegretario. Ha già raggiunto un milione di visualizzazioni e picchi di commenti, specie quando il carabiniere dice: «Ci chiedete sacrificio. Ma il sacrificio non ci garantisce la dignità. Quando magari si hanno due figli e a fine mese bisogna scegliere se comprare i jeans all’uno o le scarpe all’altro. E si deve decidere perché ci sono le utenze e quant’altro... I colleghi che sono al Nord, poi, dove la vita costa di più, sono ridotti alla cessione del quinto dello stipendio. Questo grava sulla serenità». In gergo è detto «burn-out», quelli che scoppiano. Sintesi brutale di Colapietro: «La nostra gente non ce la fa più. Abbiamo numeri altissimi di suicidi».
Vista da fuori, poi, quella della sicurezza è una macchina che funziona a singhiozzo. In troppe stazioni dei carabinieri, dopo 6 ore si chiude la porta e c’è solo un citofono. Molti commissariati non ci sono più. Sono scomparsi tanti presidi della polizia stradale o della polizia ferroviaria. «Diciamola tutta: il controllo del territorio com’era una volta ormai ce lo sogniamo. Poco personale significa avere poche volanti», dice Felice Romano, segretario del Siulp.
A Bari, per fare un esempio, quindici anni fa, prima della grande sforbiciata, ogni notte uscivano 16 o 17 volanti con tre persone di equipaggio; attualmente è tanto se ce ne sono 5, con due soli agenti a bordo. E così è dappertutto.
Il problema è clamoroso con la Stradale: le pattuglie sono talmente poche, e quelle poche sono riservate alle autostrade per via di una convenzione non eludibile, che in sostanza la polizia ha smesso di presidiare la viabilità ordinaria. Arrivano solo su chiamata quando c’è qualche brutto incidente. Di controlli a campione, specie con etilometri, sempre meno.
E quando il ministro Piantedosi promette che riaprirà i posti fissi di polizia negli ospedali, c’è chi fa due conti e sa che non potrà succedere se non per casi eccezionalissimi. Questione di aritmetica.
La politica era stata avvertita per tempo. I capi della polizia e i comandanti dei carabinieri non hanno mai nascosto il problema. Il prefetto Franco Gabrielli, nel 2018: «Mi capita di vivere nel paese di Alice. Per un certo periodo si è immaginato che poliziotti, carabinieri e finanzieri fossero troppi e quindi si bloccava il turn-over. Improvvisamente ci si sveglia e ci si accorge che c’è qualcosa che non va». Il suo successore Lamberto Giannini, nel 2022: «La stagione che ci attende ci presenterà il conto del turn-over con tanti colleghi che andranno in pensione». Il comandante generale dei carabinieri Leonardo Gallitelli, nel 2013: «Il mancato turn-over del personale ha portato una progressiva carenza di effettivi, oggi pari a circa 6.400 unità». Il generale Giovanni Nistri, nel 2020: «Abbiamo una carenza di oltre 10 mila unità. Sul piano pratico equivale a ben 1.000 stazioni di media consistenza». Fino all’ultimo, Teo Luzi, che nell’aprile scorso parlava del progressivo invecchiamento del personale: «L’età media dei carabinieri oggi è di quasi 44 anni, di molto superiore alla media di dieci anni fa. Un’evidente criticità per una forza armata e di polizia che fonda la propria funzionalità anche sul requisito dell’efficienza e della prestanza fisica».
I risultati, in termini di arresti e di inchieste, sono sempre imponenti. Nei primi sette mesi dell’anno, sono 434.940 le persone denunciate dalle forze di polizia (erano 490.097 nello stesso periodo del 2022). Ma a prezzo di uno sforzo sempre più pesante per chi veste la divisa. E bisogna sapere che le cose peggioreranno.
Le statistiche, infatti, come i famosi polli di Trilussa, vanno lette bene. In polizia chi davvero manca sono i detective, ovvero gli ispettori. Sono la colonna portante, quelli che conducono le indagini: secondo organico, dovrebbero essere 24 mila e ce ne sono appena 12 mila. «Ma sono quelli più vicini alla pensione, perciò entro il 2032 si scenderà a 5 mila ispettori a meno di concorsi straordinari. Se non si corre ai ripari, la polizia va in tilt», dice amaramente Felice Romano. Un’ipotesi del Siulp è permettere, su base volontaria, agli ispettori – che come tutti in polizia vanno in pensione a 60 anni – di restare almeno un paio d’anni al lavoro. «Anche per garantire la trasmissione delle competenze».
Un problema analogo ce l’ha l’Arma, con i comandanti delle 4.500 stazioni, i mitici marescialli. Assumerli è il meno. Ciò che conta è formarli sul campo, lentamente, progressivamente, mettendoli alla prova. Devono avere capacità di investigazione, ma soprattutto di leadership. Perché lo Stato, specie nei piccoli Comuni, alla fine sono loro.