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 2023  settembre 12 Martedì calendario

I 12 dossiers che seprano l’Italia dall’Ue

Le tensioni tra governo italiano e Commissione Ue, che hanno preso la forma degli attacchi reiterati e a volte sorprendenti (il caso Ita) a Paolo Gentiloni, non vengono dal nulla: “Non voglio partecipare a polemiche che danneggiano l’Italia, ci tengo al mio Paese e per questo non voglio alimentare queste polemiche”, ha risposto ieri il commissario italiano agli Affari economici, mettendo così a verbale che secondo lui Giorgia Meloni, Matteo Salvini e soci stanno danneggiando l’Italia. Fosse vero non sarebbe una bella idea, perché la quantità di partite aperte a Bruxelles – a restare a quelle di importanza vitale per il sistema Italia – sono una quantità ormai davvero ragguardevole. Un kamasutra diplomatico e regolamentare da cui dipende un pezzo del futuro del Paese e, si parva licet, anche la vita dell’esecutivo. Ne elenchiamo qui una dozzina.
Poltrone.
Sta per terminare il mandato dell’ultimo italiano rimasto a capo di un organo di vertice della euro-burocrazia: Andrea Enria, presidente del Consiglio di vigilanza della Bce, scade a fine anno. Per questo diventa importante confermare il seggio italiano nel board della Banca centrale che verrà lasciato libero da Fabio Panetta, prossimo governatore di Bankitalia: ieri l’Eurogruppo avrebbe espresso un consenso di massima per la nomina di Piero Cipollone, oggi vice dg proprio a Palazzo Koch. Considerato scontato che l’Italia mantenga il suo posto nel board Bce, ancor più rilevante è la partita della Banca europea degli investimenti, a cui il ministro Giancarlo Giorgetti ha candidato il suo predecessore Daniele Franco, uomo di Bankitalia pure lui: non è il favorito (corre contro la socialista spagnola Nadia Calviño e la liberale danese Margrethe Vestager), ma Roma punta sul sostegno di Berlino anche grazie ai buoni uffici di Mario Draghi. Non è una poltrona, ma ha il suo peso anche la partita sulla futura sede dell’Autorità europea antiriciclaggio: l’Italia – che ad oggi ospita solo quella sulla sicurezza alimentare a Parma – ha candidato le torri dell’Eur a Roma.
Governance.
C’è la vexata quaestio della riforma del Mes, la cui ratifica è tornato a chiedere ieri – via agenzie – il solito, anonimo, funzionario Ue. Una riforma che per l’Italia si lega strettamente a quella delle regole fiscali europee: il nuovo Patto di Stabilità – proposto dalla Commissione e che Gentiloni giudica “una buona proposta nell’interesse dell’Italia” – è leggermente meno austero rispetto a quello in vigore, ma paradossalmente assai più efficace nell’imporre ai Paesi il consolidamento fiscale e un equilibrio di sotto-crescita. Com’è noto il governo vuole a qualche titolo almeno l’esclusione di alcune spese tipo difesa e transizione verde – se ne torna a discutere venerdì all’Ecofin – e ha più volte invocato “la logica di pacchetto” anche col completamento dell’unione bancaria e con l’introduzione di uno strumento di bilancio comunitario (Bicc).
Pnrr&Repower.
Ieri, se non altro, l’Ue ha dato finalmente il via libera alla terza rata del Pnrr da 18,5 miliardi e alla modifica degli obiettivi per chiedere la quarta (su questo si decide il 19 settembre). Quanto alla revisione del Piano di ripresa chiesta dall’Italia, invece, ci vorrà tempo: Roma chiede di modificare oltre metà dei progetti, compresa la cancellazione di investimenti per 16 miliardi. Con quei soldi Meloni vuol finanziare il RePowerEu (sgravi fiscali per le imprese e appalti delle grande partecipate): per farlo, però, serve il via libera di Bruxelles.
Imprese strategiche.
Meloni ha attaccato i (presunti) ritardi della Commissione nell’autorizzare l’ingresso di Lufthansa in Ita. Un’operazione che deve passare il vaglio sia delle regole contro gli aiuti di Stato sia di quelle sulla concorrenza, fattispecie che lega la partita della fu compagnia di bandiera con quella della rete unica delle Tlc: l’Antitrust europeo ha già informalmente bocciato la fusione di Tim e Open Fiber, almeno nella versione in cui l’ex monopolista prende tutto (cioè il piano dei governi Conte e Draghi). Va almeno citata qui, l’uscita dello Stato dal Montepaschi imposta dalle regole Ue: dovrebbe avvenire entro il 2024.
Insomma, mettersi a litigare con la Commissione pare non essere una grande idea.