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 2023  settembre 11 Lunedì calendario

Gli affari di mamma Rai

Si sente spesso dire che la Rai è la più grande azienda culturale d’Italia. In realtà è al massimo la più grande azienda culturale di Roma: tutto si pensa e si decide (o non decide) a Roma, quasi tutto si produce a Roma (l’85-90% dei programmi secondo un calcolo a spanne di fonti interne) nonostante la tv pubblica disponga, oltre che di sedi in ogni Regione, anche di altri tre Centri di produzione a Milano, Napoli e Torino. Il tema è ormai antico e il torrente è da tempo diventato fiume, almeno da quando la Rai scelse di subappaltare all’esterno un bel pezzo dei suoi programmi e delle sue fiction: Roma – o meglio il demi-monde Rai di Roma, che fa una commedia umana a parte – domina l’impero pericolante della tv pubblica coi suoi 12mila dipendenti, i suoi 560 milioni di debiti e i 30 milioni di perdite annue. Questo in attesa che il canone (1,8 miliardi l’anno) esca dalla bolletta elettrica come chiede l’Ue, ammazzando quel che resta della Rai.
Per ragioni più politiche che editoriali, la più grande azienda culturale di Roma sa comunque di dover tenere in vita le colonie: è il motivo per cui succedono cose lunari, tipo il trasferimento a Napoli nel week end della trasmissione Agorà con ovvio gran spreco di trasferte. Unicuique suum, a ciascuno il suo, anche questo sanno bene nella capitale e dunque a Milano la Rai magari non fa più programmi, ma ha deciso di omaggiare lo zeitgeist della città partecipando all’ennesima speculazione immobiliare – “valorizzazione”, se siete del settore – a braccetto con la Fondazione Fiera: il duo costruirà da zero i nuovi studi Rai al Portello – più precisamente nel quartierino per ricchi detto City Life – e lo farà mentre il Centro di produzione meneghino continua a perdere importanza e programmi.
Da quest’autunno la Rai di Milano non avrà più l’ultima grande prima serata rimasta, Che tempo che fa di Fabio Fazio, emigrato altrove come Le parole di Massimo Gramellini, mentre Quelli che il calcio, chiuso nel 2021, non è stato più riproposto. Questo autunno tra corso Sempione e gli studi in affitto di via Mecenate restano Stasera c’è Cattelan, alcune puntate di Kilimangiaro, È sempre mezzogiorno (Antonella Clerici), Tv talk, La domenica sportiva, Ore 14 e – unica novità di rilievo – Affari tuoi con Amadeus (il conduttore si è trasferito a Milano, ma la sua squadra resta a Roma e lavorerà in trasferta e/o da remoto).
Il luogo che vide nascere il primo Telegiornale italiano, da anni non ha più nemmeno un capo struttura, né l’ufficio scritture (i contratti si firmato a Roma), mentre i produttori si contano ormai sulle dita di una mano: la Rai degli inizi produceva a Milano oltre l’80% dei programmi ed erano ancora il 40% circa negli anni Settanta a stare a un classico della storiografia sulla Rai come Il cavallo morente (moriva già allora), ri-editato da Franco Angeli. Oggi il Centro di produzione lombardo è un polo logistico per roba ideata altrove e per peso nell’azienda se la batte con Napoli davanti alla moribonda Torino.
Fortuna che c’è l’immobiliare, vera industria della nuova Milano del terziario avanzatissimo. La Rai ha un patrimonio immenso: secondo il bilancio 2022 occupa un totale di 762 mila metri quadrati lordi, una parte dei quali in affitto (per una spesa di circa 30 milioni). Il problema è che quel patrimonio è messo male e – secondo il piano confermato dall’attuale vertice Rai – ha bisogno di 465 milioni di euro di lavori da qui al 2031 per essere messo a posto (il palazzo di viale Mazzini a Roma, ad esempio, ha un noto problema di amianto, il che spiega forse perché il cavallo non se la passi bene).
Dalle dimissioni immobiliari decise dal cda dovrebbero arrivare 200 milioni e qui si torna a Milano: la tv pubblica venderà il palazzo in cui è nata, quello di Corso Sempione progettato da Giò Ponti, 55.000 mq nel centro di Milano da cui spera di ricavare cento milioni, e abbandonerà pure gli studi in affitto di via Mecenate (uno spreco che si trascina da anni) per tornare al Portello, il quartiere che fu dell’Alfa Romeo e già ospitò la tv pubblica decenni orsono.
Nel frattempo, però, l’operazione immobiliare è cambiata. Nel luglio 2022 il sindaco Beppe Sala festeggiava la decisione di adattare a studi tv parti inutilizzate della vecchia Fiera di Milano: “Nel primo semestre 2023 inizieranno i lavori e i nuovi studi saranno pronti per fine 2025, prima quindi del grande appuntamento delle Olimpiadi invernali”. Il term-sheet firmato da Rai e Fondazione Fiera questa primavera (ultimo regalo dell’ex amministradore delegato Carlo Fuortes) racconta però tutta un’altra storia: “Il ‘Campus Gattamelata’ concepito da Fondazione Fiera Milano – questo è il comunicato del cda di fine aprile – comprenderà diversi edifici, uno dei quali avrà dimensioni e caratteristiche tali da poter ospitare il Centro Rai. Gli altri edifici saranno destinati ad importanti centri di formazione con annesse infrastrutture ricettive”, che renderanno più ricca la Fondazione e ovviamente gli sviluppatori/gestori. Sala, ad ogni buon conto, ha festeggiato anche questo annuncio, come d’altronde il presidente regionale Attilio Fontana.
Tradotto: la Rai vende corso Sempione e partecipa alla nuova “riqualificazione” del Portello andando in affitto in un palazzo di cui, di fatto, finanzierà la costruzione. Il contratto vero e proprio dovrebbe essere firmato in ottobre, ha spiegato il Tesoro, dopo la verifica sul progetto preliminare, che è stato consegnato in estate. I dettagli economici non sono ufficiali: si dice che l’accordo, fino al 2050, preveda un canone annuo di circa 5,5 milioni (135 milioni circa in 25 anni), pagati i quali la tv pubblica non sarà proprietaria a Milano neanche di un garage. La consegna è prevista per il 2028 e tanti saluti a Milano Cortina 2026.
Un’operazione senza alcun senso industriale per la Rai, che stranamente vede tutti felici o almeno silenti. E d’altra parte se per la Rai la firma l’ha messa Fuortes, cioè un uomo indicato dall’ex ministro Dario Franceschini e benedetto dal premier Mario Draghi, Fondazione Fiera Milano è solidamente presidiata dal centrodestra. I due mondi hanno pure un punto di raccordo in carne ed ossa: il consigliere d’amministrazione Rai (in quota Lega) Igor De Biasio è, tra le altre cose, pure l’ad di Arexpo, azienda partecipata da Comune, Regione, Mef e Fondazione Fiera. Nessun problema, per carità: la Rai ci ha tenuto a spiegare che De Biasio “non ha partecipato al voto” sull’accordo per l’immobile del Portello.