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 2023  settembre 10 Domenica calendario

Venezia, tutti i premi


VENEZIA Il cerchio magico dei premi si chiude con la vittoria del grande favorito che nel ringraziamento ricorda attori e sceneggiatori scioperanti a Hollywood, e nei film ci fa capire che non tutte le immagini e le storie sono state raccontate. È il greco impertinente, calvo ma scapigliato, Yorgos Lanthimos, con la sua versione al femminile di Frankenstein in Poor Things. Al Lido vinse il Gran premio della giuria nel 2018 con La favorita,tra due settimane compie 50 anni, un bel modo di festeggiare.
Rispettati quasi tutti i pronostici. Matteo Garrone con Io capitano, porta a casa il terzo premio, come migliore regista, e ha un grande applauso; un secondo riconoscimento per l’attore rivelazione va al suo giovane protagonista senegalese Seydou Sarr. Matteo, per la prima volta in gara a Venezia, veniva da sei partecipazioni a Cannes che, inspiegabilmente, stavolta gli aveva chiuso le porte in faccia. E ora ironicamente dice: «Perché, a Cannes c’è un festival? Del Lido ho ricordi splendidi, da quando avevo 18 anni e facevo il maestro di tennis, la mia allieva mi disse, guarda, laggiù c’è Nanni Moretti. Non vidi nemmeno un film. Tornai a 27 anni con degli amici su un furgone scassato, tre giorni dormivamo in pineta e tre giorni all’Excelsior».
A Evil Does Not Exist del giapponese Ryusuke Hamaguchi va il Gran premio della giuria: è il cortocircuito di un viaggio poetico e rarefatto nella natura, tra affarismo e speculazioni edilizie di gente senza scrupoli.
Nel derby sui migranti tra Garrone e Agnieszka Holland la spunta, come importanza di premio, Matteo: Premio speciale della giuria al suo Green Border, sui rifugiati bloccati al confine tra Polonia e Bielorussia: «Non è stato facile fare questo film per più ragioni, alcune le immaginate altre no. La gente si nasconde ancora nella foresta, in Europa abbiamo le risorse per averli ma non li vogliamo».
Migliore attrice, a sorpresa (vincendo contro Carey Mulligan per Maestro su Bernstein) è la 25enne Cailee Spaeny, per l’esangue Priscilla di Sofia Coppola, sulla giovane moglie di Elvis; come attore vince Peter Sarsgaard per Memory di Michel Franco, che legge un discorso lungo come un papiro egizio, tra intelligenza artificiale, umanitarismo e cattolicesimo, ma quest’anno quasi tutti si sono presentati con un foglietto soporifero, e sì che si tratta di ringraziare e basta.
La sceneggiatura a Pablo Larraín, in El Conde c’è Pinochet versione vampiro stanco, assediato dall’avidità dei figli eredi, più vampiri del padre. Affresco grottesco, al dittatore cileno si può dare dell’assassino, qual era, ma se lo si chiama ladro dà di matto. «Un uomo morto in libertà e ricco. L’impunità lo ha reso eterno e cosa c’è di meglio di un vampiro per rappresentarla?». A Micaela Ramazzotti (Felicità) il premio del pubblico a Orizzonti extra. L’Italia manca il Leone d’oro da 10 anni (Gianfranco Rosi). Tappeto rosso già arrotolato, alla prossima.