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 2023  settembre 10 Domenica calendario

In morte di Domenico De Masi

 Carlo Bordoni peril CdS
Domenico De Masi se n’è andato ieri a 85 anni, in seguito a una breve ma micidiale malattia. Con lui se ne va un pezzo della sociologia italiana, un pezzo solo in parte accademico (perché Mimmo, come lo chiamavano gli amici, aveva ricoperto tutti gli incarichi universitari, fino alla presidenza della facoltà di Scienze della Comunicazione alla Sapienza di Roma), poiché si era dedicato con generosità alle analisi sul campo, diventando il maggior esperto di sociologia del lavoro.
Sarà perché, come amava ricordare, era di umili origini (era nato a Rotello in provincia di Campobasso), ma la sua sociologia è sempre stata dalla parte dei più deboli. L’impegno per combattere le disuguaglianze lo aveva fatto avvicinare al Movimento Cinque Stelle, di cui è stato per un certo periodo l’eminenza grigia. Ma le espressioni di cordoglio per la sua scomparsa giungono da tutto l’arco delle forze politiche. Lo ricordano con affetto, tra gli altri, il leader del M5S Giuseppe Conte, la segretaria del Pd Elly Schlein, il vicepresidente della Camera Giorgio Mulè, il ministro Adolfo Urso. Anche il presidente del Brasile Lula lo saluta con un post su X (già Twitter).
Pur senza ammetterlo esplicitamente, De Masi è stato l’ispiratore del reddito di cittadinanza: dietro questa idea c’è la filosofia di André Gorz, i suoi studi sul lavoro immateriale e quel concetto – persino scandaloso per il secolo scorso – di «reddito di esistenza», un compenso che spetta a tutte le persone che fanno parte della società e contribuiscono, per il fatto di esistere, alla sua continuità.
L’influenza di Gorz e del suo innovativo spirito utopistico attraversa le pagine di uno dei suoi libri più significativi, Il lavoro nel XXI secolo (Einaudi, 2018), dove De Masi ripercorre la storia del lavoro dalle origini all’epoca post-industriale, mettendo in evidenza come spesso sia stato utilizzato quale strumento di oppressione e di controllo delle masse popolari. Qui De Masi evidenzia come il lavoro – tema irrinunciabile di ogni analisi sociologica – abbia costituito l’elemento fondamentale per realizzare l’identità umana.
Un’identità messa in crisi proprio a partire dagli anni Ottanta, in cui Jeremy Rifkin preconizza la «fine del lavoro». Soprattutto la fine del lavoro materiale è responsabile di molte delle criticità odierne e di un individualismo esasperato: succede infatti che la perdita di identità nella professione debba essere compensata da forti iniezioni di fiducia e consapevolezza di sé.
De Masi, da convinto ottimista, vede però nel lavoro immateriale non tanto una perdita, quanto un’occasione propizia per dare maggior spazio a quella straordinaria qualità umana finora repressa dal lavoro fisico: la creatività. È la grande sfida del terzo millennio, sviluppare il pensiero laterale, la creatività umana, forse la più grande ricchezza ancora non sfruttata appieno.
Ecco allora i voluminosi studi pubblicati da De Masi che ne dimostrano le possibilità concrete, da L’emozione e la regola (Laterza, 1990) a La fantasia e la concretezza (Rizzoli, 2003). Qui lo studioso mette in luce, con un lampo di genialità, l’opposto del lavoro: l’ozio (L’ozio creativo, Ediesse, 1995 e Una semplice rivoluzione, Rizzoli 2016).
L’otium latino come il contrario di negotium, l’attività pubblica, economicamente produttiva che si svolge fuori casa, non è, come si pensa, l’assenza di ogni attività, bensì la possibilità di dedicarsi a ciò che dà soddisfazione, a ciò che si crea per sé. Anche se l’otium è legato al privato, non significa che non abbia effetti sull’intera società. Così come la creatività produce effetti benefici di cui tutti possono godere.
Considerata la fine del lavoro o comunque la sua drastica riduzione, De Masi propone una società in cui l’otium abbia una precisa funzione sociale generativa di un valore aggiunto. Lo afferma provocatoriamente in Lavorare gratis, lavorare tutti. Perché il futuro è dei disoccupati (Rizzoli, 2017), andando a ipotizzare le conseguenze a medio termine: Lavoro 2025. Il futuro dell’occupazione (o della disoccupazione), Marsilio, 2017.
Al momento della pandemia De Masi ha agevolmente dimostrato la concretezza delle sue teorizzazioni sostenendo l’utilità del lavoro a distanza, pur con le dovute cautele (Smart working, Marsilio, 2020).
L’ultimo suo libro si intitola La felicità negata (Einaudi, 2022), dove si interroga sull’aumento delle disuguaglianze. De Masi mette sinteticamente a confronto la Scuola di Francoforte, che propone un marxismo sfrondato dal dominio dell’economia sulla sovrastruttura culturale, e la Scuola neoliberista di Vienna, osservando tristemente come abbia prevalso la seconda. Un moto di pessimismo in un sociologo che ha fatto dell’ottimismo, della creatività e del pensiero critico la sua ragione di vita.

Alessio Gemma per la RepubblicaNAPOLI – Amico di Lula, il presidente progressista del Brasile, e vicino al banchiere Alessandro Profumo, col quale ha ideato una associazione di imprese eccellenti. La vita di Domenico De Masi, 85 anni, sociologo, è stata l’unione di punti, persone, interessi, spesso distanti tra loro. A volte agli antipodi. Il professore dell’ “ozio creativo”, teorico convinto della “riduzione delle ore di lavoro”, era attratto dalla politica non meno di quanto la politica – e i partiti, in testa – fossero folgorati da lui. C’è stato De Masi al centro dell’ultima crisi di governo che il Paese ricordi, nell’estate folle del 2022. Con le sue rivelazioni sulle presunte telefonate tra Beppe Grillo e Mario Draghi, nelle quali l’ex premier avrebbe chiesto al fondatore dei pentastellati di isolare nel movimento il leader Giuseppe Conte, si era alimentata la sfiducia al governo Draghi.
Quanto abbia pesato realmente la discovery di quelle conversazioni difficile ora dirlo. Di sicuro le idee di De Masi avevano già fatto breccia nella mente di Grillo e del M5S, tant’è che il professore era considerato l’ispiratore del Reddito di cittadinanza, il cavallo di battaglia dei grillini al governo. Dei pentastellati è stato direttore della scuola di formazione, al punto da mandarli in tilt quando haammesso alle ultime primarie del Pd di aver votato per Elly Schlein. Perché De Masi era così: politicamente non collocabile in una forma partito. O forse la prova vivente di quell’ircocervo che la politica ritiene impossibile da troppi anni dove Sinistra, Verdi, Pd, 5S diventano una cosa sola. E così ieri il cordoglio trasversale passa dal «ti abbiamo voluto bene in tanti» di Grillo al «riferimento progressista mondiale», copyright dell’ex ministro Alfonso Pecoraro Scanio, fino all’”amicizia” rivelata dal centrista Clemente Mastella. Era stato uno degli enfant terrible degli anni Sessanta-Settanta quando i movimenti picconavano il muro dell’Accademia e lui, che aveva respirato l’atmosfera francese a casa del filosofo Jean Paul Sartre, riusciva a entrare nei ranghi dell’università: dalla Federico II al Centro Iri per lo studio delle funzioni direttive aziendali, fino all’università La Sapienza, dove ha ricoperto l’incarico di preside di Scienze della Comunicazione. «Una intelligenza aggressiva – lo ricorda il sociologo Alberto Abruzzese – uno dei primi ad accorgersi che eravamo in una società industriale di massa».
La musica di Wagner e le indagini statistiche, i suoi arnesi quotidiani. Aveva provato a consacrarli nell’esperienza di presidente della fondazione del Ravello festival, la perla della costiera a cui era legato dalla fine degli anni Ottanta e che guidò dal 2002 al 2020, nominato al vertice dall’ex presidente della Regione Antonio Bassolino. «Ricordo un viaggio che feci con lui in Brasile – racconta Bassolino – Incontrammo Lula e l’architetto Neimeyer, all’epoca erano in frizione tra loro, ma grazie a De Masi si rividero dopo tanto tempo e si strinsero la mano». Da Neimeyer ottenne il progetto dell’auditorium di Ravello al centro di polemiche, di cui l’architetto realizzò la prima copia con un disegno a carboncino.
A Napoli ricordano De Masi che faceva ricerca sulla Mensa dei bambini proletari e sui lavoratori dell’Italsider. Diventerà il grande consulente di aziende che con la sua S3 studium sfornerà caterve di manager. «Un amico sincero, verrà il tempo di riflettere sulla sua eredità culturale», ha detto Conte. A Ravello già vorrebbero dedicargli la piazza davanti all’auditorium

Massimiliano Panarari per la Stampa
A breve distanza dalla scomparsa di Francesco Alberoni, le scienze sociali perdono un altro dei loro protagonisti: Domenico De Masi. De Masi ha lasciato la sua impronta sugli studi sociologici di questi decenni, spesso all’insegna di un approccio e di elaborazioni originali, e al medesimo tempo è stato un intellettuale pubblico attivo sui media (come Il Fatto) e fortemente legato al Movimento 5 Stelle, che ha manifestato dolore per la sua scomparsa, a cui si è aggiunto quello trasversale dell’intero mondo politico.
Lo studioso di origini molisane (nato il primo febbraio del 1938), professore emerito di Sociologia del lavoro alla Sapienza, si è spento ieri a 85 anni a causa di una malattia invasiva fulminante diagnosticata pochissime settimane or sono. Interrompendo così improvvisamente la vita di un personaggio che continuava a essere molto attivo e presente nel discorso pubblico, e la cui esistenza in Italia si era organizzata nel tempo soprattutto lungo l’asse fra Roma e Ravello (dove è stato assessore a metà degli anni Novanta e, nei Duemila, presidente della Fondazione Ravello, nelle cui vesti ha dato impulso all’omonimo Festival e al progetto dell’Auditorium di Oscar Niemeyer).
La sociologia del lavoro ed economica è il settore disciplinare a cui aveva dedicato la parte principale dei suoi lavori, dai quali aveva tratto anche alcune proposte, lanciate nel dibattito pubblico, che identificavano l’ossatura del suo impegno politico. Il suo disegno complessivo di ricerca è stato indirizzato innanzitutto dal dottorato svolto a Parigi con Alain Touraine, uno dei fondatori della sociologia dell’azione e l’inventore dell’etichetta «postindustriale», che ha saputo analizzare in maniera preveggente la Grande trasformazione postfordista del lavoro e della produzione. Il suo magistero e, in particolare, l’attenzione per la dimensione applicata degli studi sociali e per le dinamiche di svolgimento dei processi reali (come il lavoro di fabbrica) segneranno in profondità la formazione e l’attività di ricerca di De Masi; e la lezione di Touraine si avverte nettamente negli studi sul lavoro industriale e le sue metamorfosi (come quello sulle organizzazioni sindacali dell’Italsider di Bagnoli quando era ricercatore presso il centro “Nord e Sud” dello storico meridionalista Giuseppe Galasso). Sulla scorta del maestro francese, lo studioso ha poi contribuito in maniera decisa a promuovere il paradigma del postindustrialismo in Italia, dentro e fuori l’accademia.
Un’altra tappa importante, da lui spesso ricordata, fu la breve esperienza lavorativa con Adriano Olivetti, figura fondamentale della «civiltà del lavoro» nazionale del secondo dopoguerra. Anche da incontri come questo – oltre che, in primis, dalla teoria sociale di Touraine – deriva l’idea, radicata nei suoi primi testi, della «doppia dialettica delle classi», che alla concezione marxiana classica della lotta per il dominio tra borghesia e proletariato affiancava la contrapposizione tra una classe imprenditoriale “illuminata” e una “conservatrice”.
L’apertura concettuale all’evoluzione postfordista del mondo del lavoro, che lo pose in contrasto in alcune circostanze con la sociologia marxista (dalla quale pure lui proveniva), farà da filo conduttore di tutta la sua produzione intellettuale, ma anche dei suoi interventi di ricerca-azione e delle sue prese di posizione pubbliche – come la fondazione, insieme a Ermete Realacci e altri, di Symbola, il network della green economy circolare portatore di una visione forte dell’economia immateriale per il Belpaese.
Seguendo le mutazioni di una società ridisegnata dalla globalizzazione, dalla rivoluzione tecnologica e dalle reti comunicative, ha teorizzato l’ozio creativo, «sintesi hegeliana» di dovere e piacere; una categoria nella quale si ritrovava, come ricorda chi gli era più vicino, anche in virtù di un atteggiamento gaudente ed edonistico (in un senso “epicureo").
La smaterializzazione del lavoro – ovvero, per molti versi, la sua liberazione dalle pesantezze e dai fardelli del fordismo – si ripresenta pure nell’elogio dello smart working, ritenuto una soluzione da estendere anche all’indomani della pandemia.
La sua carriera universitaria è iniziata all’Università di Napoli Federico II da assistente ordinario di Sociologia e, passando per quella di Cagliari e L’Orientale, lo ha visto arrivare a ricoprire il ruolo di preside della facoltà di Sociologia e di Scienze della Comunicazione de La Sapienza. De Masi vantava un robusto legame con il Brasile, di tipo accademico e non solo, che contemplava anche un rapporto personale con il presidente Lula, il quale ha voluto infatti testimoniare pubblicamente con un messaggio il suo cordoglio, qualificandolo come «un amico».
Un fil rouge quello dell’analisi del mondo del lavoro (e, da ultimo, della sua flessibilizzazione e precarizzazione) che, negli ultimi anni, si è fatto “giallorosso”, rendendolo un punto di riferimento per il M5S. Definirlo intellettuale organico non è, forse, la formula più corretta, ma la sua elaborazione ha massicciamente influenzato la piattaforma programmatica del partito-movimento. Come nel caso della sua proposta più nota, quella del reddito di cittadinanza, divenuta una bandiera identitaria del grillismo e del M5S e concepita da De Masi nell’ottica anche della transizione verso una società postlavorista per attutire l’impatto delle disuguaglianze sociali.
Marco Travaglio per il Fatto
A luglio eravamo a Ravello, Mimmo De Masi, Cinzia Monteverdi e io, per presentare il mio libro. A Ravello sono vietate le auto. Cinzia e io arrancavamo come zombi sotto la canicola del mezzogiorno. Lui trotterellava e saltellava come un capriolo. Nulla era più lontano di lui dalla morte, che invece se l’è portato via in pochi giorni. E non bastano tutte le parole del vocabolario per descrivere chi era, cosa ha rappresentato per il nostro giornale con i suoi articoli e il progetto Scuola, e quanto ci mancherà. Era il nostro amico geniale. Il nostro nonno acquisito, arrivato troppo tardi e andato via troppo presto. Più giovane di tutti noi messi insieme: dovevate vederlo alle riunioni sulla Scuola del Fatto, l’ultima impresa in cui si gettò a capofitto con l’entusiasmo e l’energia di un ragazzino, occupandosi persino dell’erba del prato davanti alla sede prefabbricata nel giardino della nostra redazione.
Di solito gli intellettuali di sinistra sono noiosi, verbosi, seriosi, faziosi, retorici, supponenti, tromboni: lui era tutto l’opposto. Brillante, sintetico, asciutto, spiritoso, ironico e dunque autoironico, mai settario e talmente colto da permettersi il lusso di dissimularlo. Il libro che ci lascia con i testi degli incontri al cinema romano Farnese su Destra e Sinistra ne sono un piccolo esempio: quando alzava il telefono per chiamare intellettuali e professori di idee antitetiche alle sue, quelli correvano perché li aveva convocati “Mimì”, ed era una garanzia di rispetto e imparzialità. Il che, quando prendeva la parola, non gli impediva di inquadrare i problemi con soave nettezza e poi di recidere i nodi col bisturi del suo sulfureo sense of humour. Era atipico anche come scienziato: i sociologi sono famosi per sforzarsi di non farsi mai capire e di riuscirci perfettamente. Lui invece riusciva a sminuzzare i problemi più complicati e i concetti più complessi con una semplicità e un candore di linguaggio che disarmavano.
I giornaloni e l’establishment tutto lo detestavano o perché osava denunciare la morte della Sinistra in nome del turboliberismo “riformista” e “blairiano”, dell’afrore dei banchieri e dei tecnici alla Monti e alla Draghi, e dare invece credito ai 5Stelle che avevano riempito quel vuoto. Persino la Meloni, in anni passati, gli aveva chiesto una mano per addentrarsi nei temi dell’economia e della sociologia in qualche serata privata.
E lui non si era sottratto, perché restava comunque un professore nel vero senso della parola, e sentiva il dovere di insegnare a tutti un poco del molto che sapeva. Uno dei tanti cretini di successo che scrivono in prima pagina l’aveva definito “il teorico del fancazzismo” perché aveva capito fra i primi gli spazi di “ozio creativo” e le voragini occupazionali in arrivo nel mondo del lavoro della società post-industriale (oggetto primario dei suoi studi) con l’intelligenza artificiale, il digitale e l’automazione. I suoi consigli a Grillo e Casaleggio e poi a Di Maio e a Conte hanno aiutato il movimento a diventare adulto e a riempire di contenuti i vuoti dovuti all’ingenuità e all’inesperienza (i milioni di poveri che per tre anni si sono sentiti protagonisti grazie al Reddito di cittadinanza lo devono anche a lui, così come i lavoratori che beneficiano del lavoro agile e in futuro, magari, otterranno anche un salario minimo e una riduzione dell’orario di lavoro). Il che non gli fruttò alcun incarico o sinecura, nel Paese dei raccomandati, e non gli impedì di criticare i 5Stelle quando sbagliavano, come fece per esempio con Grillo e Di Maio per la loro sbornia draghiana e con Conte per la sua renitenza a integrarsi con le altre opposizioni.
Poi c’era il Mimmo privato, il Mimmo delle cene in trattoria con l’adorata moglie Susi, il Mimmo che zompetta curioso nei corridoi del Fatto, il Mimmo dal calore umano trascinante, il Mimmo delle battute, dei sorrisi e delle risate tutte napoletane (anche se era nato in Molise). Il Mimmo che squaderna le sue mille vite e i suoi mille aneddoti sui suoi amici che solo a nominarli vengono i brividi: da Adriano Olivetti a Luiz Inácio Lula da Silva, il presidente brasiliano che lo chiamava per chiedergli consigli (Mimmo in Brasile è conosciutissimo e popolarissimo), dall’erede del patròn di Rede Globo Roberto Marinho (che se lo portava in barca nelle isole greche in vacanza a volte pure con Zuckerberg) a Lina Wertmüller e Pier Paolo Pasolini (che una sera, a cena con lui al ristorante, toccò il sedere a un cameriere e Mimmo raccontava che quella fu l’unica volta in cui gli toccò fare a botte e prenderle).
Ascoltando quell’omino piccolo piccolo, con quella vocetta di falsetto e ruggine tipica di molti napoletani, mi stupivo sempre delle mille cose che era riuscito e continuava a fare. Ma i vini migliori stanno nelle botti piccole. Lui non lo sapeva, perché non credeva: ma per noi del Fatto era un regalo del Cielo. E, come tutte le cose belle, è durato troppo poco.


Cinzia Monteverdi per il Fatto
Sono paralizzata dal dolore. La scomparsa di Domenico De Masi è una pugnalata al cuore. Mimmo era il nostro Mimmo. Era il mio Mimmo. Un anno fa ho avuto il privilegio di averlo come direttore della Scuola del Fatto. In questo anno abbiamo lavorato tantissimo. Ho condiviso con lui momenti unici. È stato per me non solo il direttore della Scuola: è stato un amico, uno psicologo, un motivatore che mi ha aiutato in un anno difficile. Abbiamo riso moltissimo insieme. Sapeva godersi il tempo con il cibo, con gli amici, con la cultura. Con la visione del mondo.
Posso dire che con grande serenità ci siamo amati. Eravamo proprio una bella coppia di amici, insieme. Era così felice della Scuola. Amava tutti i suoi studenti. Amava il suo lavoro. Mi diceva sempre: “Che gioia mi hai dato, Cinzia”. In questo anno di Scuola ho conosciuto Susi, sua moglie. La sua adorata Susi. A fine luglio siamo stati insieme al Giffoni Film Festival con il suo grande amico Claudio Gubitosi, e poi a Ravello, con Marco Travaglio. Abbiamo fatto incontri continui…
Stava benissimo. Poi due settimane fa una diagnosi terribile. E in un attimo non c’è più. Fino a tre giorni fa è stato vigile e al lavoro per la nostra Scuola. Mi ha detto tutto. Tutto quello che serve per il futuro. Mi sento così privilegiata ad averlo avuto a fianco; privilegiata per averci potuto parlare fino all’ultimo; privilegiata ad avere le sue lettere; privilegiata ad avere il suo affetto; privilegiata ad avere amica sua moglie; privilegiata ad avere avuto sue indicazioni sulla mia leadership; privilegiata a sentirlo parlare delle sue figlie; privilegiata ad averlo visto saggio anche nella fine-vita; privilegiata ad averlo visto preoccupato di provocare dolore per quello che gli stava accadendo.
Mimmo aveva 85 anni: scontato dire che a quell’età se si è vissuto bene con grande lucidità fino in fondo “ci si mette la firma”. Eh sì. Ma Mimmo non aveva età. Ce l’aveva solo all’anagrafe. Mimmo era sempre tuo coetaneo. Alla sua età proprio non ci pensavi. Sociologo incredibile; immensa cultura gestita con la modestia dei grandi; animo gentile; ironico e auto-ironico. Prima di ricevere la notizia finale: ieri mattina, proprio poco dopo l’incontro a cui doveva partecipare alla Festa del Fatto. Il suo grande amico Carlin Petrini ci ha aiutato a compensare la sua assenza. Siamo stati tutti invasi dal dolore.
Ci mancherà moltissimo. È insostituibile Mimmo. Lo abbiamo perso ma non lo perderemo mai, non lo perderò mai. Perché la sua visione del mondo e della vita non ci e non mi abbandonerà mai. La sua Scuola intanto sarà intitolata a lui. E questo ci pone un obiettivo alto. Perché con lui bisognava proprio stare alti. Sarà comunque la Scuola di cittadinanza di Domenico De Masi.
Con lui parlavo di tutto. Massima libertà. Era elegantissimo anche quando usava termini che potevano sembrare volgari. Lui era il teorico dell’ozio creativo. Che per i mediocri poteva sembrare il teorico del “fancazzismo”. E invece era molto più avanti di tutti. Mi diceva: “Cinzia, non puoi stare dieci ore in ufficio. Devi prendere da fuori per portare dentro. Proprio perché vuoi bene alla tua impresa e alle persone che ci lavorano”. E poi aggiungeva: “Non puoi scopare con il lavoro”. Può sembrare volgare: aveva semplicemente capito tutto.
Aveva una visione del lavoro, della creatività e della vita semplicemente giusta.
Voglio finire con delle parole, quelle della dedica che mi fece per il suo ultimo libro pubblicato dalla nostra casa editrice, prima del ricovero in ospedale. Parla di un amore, amore professionale, amore tra amici, amore tra due persone che si danno tanto: “Al mio amore, tardivo ma intenso, traditore ma tenace, felice, leggero, intonso… Insomma. Mimmo”.
Ciao Mimmo caro.