Corriere della Sera, 10 settembre 2023
Firma falsa per gli atti su Santanchè: avvocato indagato
Milano Depositare con una posta elettronica certificata in luglio alla Procura di Milano, nell’inchiesta sui bilanci di Visibilia, la propria nomina a presunto avvocato di Daniela Santanchè e presentare contemporanea istanza per conoscere in base all’articolo 335 del codice se esistessero a suo carico procedimenti penali, ma falsificando in maniera visibilmente grossolana la firma dell’apparente mandato della ministra: un gesto troppo sciocco per poter essere preso sul serio come spy-story. Tanto più che l’avvocato, del tutto sconosciuto (anche alla procuratrice aggiunta Laura Pedio e a uno dei veri difensori di Santanchè che pur come lui sono di Brindisi), nemmeno è un penalista, ma un civilista; che anche un bambino si sarebbe accorto dell’abissale differenza con le firme di Santanchè già agli atti da mesi; che il trucco sarebbe subito venuto a galla non appena i pm, che ben conoscevano i legali veri della ministra, li avessero rincontrati in tribunale; e che oltretutto al massimo il finto avvocato di Santanchè avrebbe appreso soltanto ciò che già da novembre 2022 stava sui giornali ed era ben noto ai legali veri, ossia che Santanchè fosse effettivamente indagata per falso in bilancio, oltretutto in giorni nei quali era già divenuto noto per quale disguido logistico la ministra non stesse ancora ricevendo da maggio la formale proroga delle indagini.
E tuttavia, pur nella irrazionalità della condotta, c’è un elemento oggettivo che sconsiglia di liquidare subito e solo con categorie psicologiche questo avvocato indicato ieri – nella notizia rivelata in prima pagina da Il Giornale neo diretto da Alessandro Sallusti – come membro di uno studio associato a pochi passi dal Palazzo di Giustizia, in realtà titolare di un piccolo e disordinato studio legale più in periferia diviso con una collega. Ed è il fatto che, insieme alla firma palesemente falsa, avesse però allegato una fotocopia della vera carta di identità di Santanchè: non che sia impresa titanica procurarsela sotto banco da un albergo o una agenzia viaggi o perfino magari a volte su Internet, ma richiede comunque un minimo in più di attivazione, o un qualche punto di contatto tra i due mondi, o un volantinaggio altrui.
Per questo i pm Pedio e Maria Giuseppina Gravina, non nella prima decade di luglio ma la sera di giovedì 27 luglio (due giorni dopo il no del Senato alla sfiducia alla ministra), in segreto da sole in una Procura deserta, avevano fatto venire Santanchè (accompagnata sulla soglia da uno dei suoi veri avvocati) per avere da lei come teste la conferma che la firma non fosse sua e che neppure conoscesse l’avvocato. Da allora le pm non erano uscite allo scoperto, evidentemente scegliendo un percorso investigativo che non contemplava una perquisizione dell’avvocato già quel 27 luglio né in agosto: perquisizione invece operata venerdì 8 settembre, all’indomani delle ricerche presso il vertice della Procura di conferme della storia da parte del quotidiano che ne era in possesso. Il legale, indagato per il reato di «sostituzione di persona» che vede Santanchè parte offesa, è apparso alquanto sfasato agli inquirenti della Gdf e alla pm Gravina, di fronte alla quale si è avvalso della facoltà di non rispondere.