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 2023  settembre 09 Sabato calendario

La scommessa Shlein

Un gruppo di esponenti del Pd in Liguria che decidono all’unisono di lasciare il partito è una notizia che merita un po’ d’attenzione, certo non solo l’alzata di spalle con cui l’hanno commentata alcuni sostenitori della Schlein. Tipo: “Meno male che se ne vanno. Ci accusano di essere troppo di sinistra? Vuol dire che siamo sulla strada giusta. Di questi pseudo-riformisti non sappiamo che farcene”.
In qualche misura si riproduce l’ambiguità su cui è nata l’attuale segreteria. Da un lato i quadri locali, i dirigenti nelle Regioni e nei comuni, fino ai vertici politici: tutti più o meno insofferenti. D’altro il “popolo dei gazebo”, come si usa dire, i militanti entusiasti che non credono nel partito strutturato e sono convinti che la spontaneità di Elly sia quel che ci vuole per spingere la gente a votare il Pd e per tagliare un po’ d’erba sotto i piedi di Conte con i suoi 5S. Nulla è certo di qui alle elezioni europee.
La Schlein ha ancora le sue carte pressoché intatte da giocare. Perché è vero che finora le elezioni locali hanno dato esiti negativi, ma il voto per il Parlamento europeo ha un carattere particolare, aiuta a esprimere pulsioni imprevedibili.
La segretaria con ogni evidenza punta a essere percepita come colei che vendica la base vecchia e giovane – gli elettori tradizionali e quelli forse conquistati – per le delusioni subite a causa degli “apparati” e delle correnti. Questa almeno è la speranza.
Quindi coloro che sono affezionati al partito del passato devono adeguarsi oppure addio.
È una scommessa temeraria, il che non esclude che possa avere successo. Tuttavia si fonda su di una premessa discutibile: che gli apparati, o magari il potere regionale, da Bonaccini a De Luca, siano delle “tigri di carta”, come dicevano un tempo i maoisti.
Ossia che non dispongano più del consenso di un tempo, o almeno non abbastanza per minacciare la segreteria. Anche in questo caso, occorre la controprova. Certo, loro le “primarie” le hanno perse nelle piazze, tra i non iscritti, ed è arrivata la Schlein. Ma le circostanze cambiano e la segretaria sembra fin troppo assorbita dal confronto con Conte. Il che comporta una progressiva spinta radicale, o se si preferisce populista: ormai anche sulle spese militari in ambito Nato, quasi un modo per proporre una linea pacifista in concorrenza coi 5S, ma senza toccare il tabù dell’Ucraina, tema su cui vigila il presidente Mattarella.
In altre parole, il cammino della Schlein è accidentato. L’episodio, riferito dal Foglio, di uno Zingaretti che sprezzante, dietro i sorrisi di circostanza, prevede per il Pd un 17 per cento scarso alle Europee, è illuminante: soprattutto perché sembra riflettere uno scetticismo diffuso nella vecchia guardia, il cui impegno elettorale è invece essenziale.
Sarebbe diverso se la segreteria riuscisse a minare il rapporto tra Giorgia Meloni e l’opinione pubblica che la sostiene. Ma finora non è avvenuto. Semmai la prospettiva è di una progressiva radicalizzazione dello scontro in vista del voto in Europa. S’intende, un conflitto aspro è normale nei Paesi dove vige un sostanziale bipolarismo. Da noi tuttavia si carica subito della tentazione di delegittimare l’avversario.
Quando Salvini accusa il nostro uomo a Bruxelles, Gentiloni, di essere quasi un traditore della patria, fa un passo verso il punto di “non ritorno”. Prepara il terreno per una campagna all’insegna dell’anti-Europa, intesa come rifiuto dell’integrazione. Dando per scontato che su quel tavolo l’Italia sia soccombente. Al tempo stesso, la tiepida difesa del commissario da parte del Pd, fa capire quale visione stia prendendo il sopravvento anche nel centrosinistra. È un dettaglio, ma è singolare che Elly Schlein non sia mai citata nella lunga intervista di Prodi alla Stampa.