La Stampa, 10 settembre 2023
La Via della Seta e la via di Meloni
Lasciarsi e tentare di restare amici. Certe cose non si dicono per telefono, né con una videoconferenza. I leader di Italia e Cina si dovevano guardare in faccia per affrontare l’uscita dalla Via della Seta. L’occasione si è presentata ieri a Nuova Delhi, a margine della prima giornata di lavori del vertice dei leader del G20, con il colloquio tra Giorgia Meloni e il Li Qiang, il più alto in grado del regime, dopo Xi Jinping, assente in India. La premier in una conversazione faccia a faccia, durata circa mezz’ora, ha esposto la linea del governo: l’Italia vuole uscire dal memorandum firmato dal governo Conte nel 2019. Ma per farlo si è scelta la via più delicata possibile, sia nella forma che nella sostanza e questo è stato il senso del messaggio, che già aveva recapitato il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, nella visita a Pechino della scorsa settimana. Nel frattempo, però, l’Italia punta sull’iniziativa PGII (Partnership for Global Infrastructure and Investment) il “corridoio economico” India-Medio Oriente-Europa, che di fatto è rappresenta un’alternativa alla “Belt and Road”.
L’exit strategy si delinea così: per prima cosa evitare di dare l’impressione di umiliare i cinesi, «il piccolo non può mai umiliare il grande», ragiona una fonte diplomatica, e quindi si è chiesto agli alleati, vedi Matteo Salvini, di evitare toni ostili contro la Cina, che il leader della Lega utilizza spesso. La speranza di Palazzo Chigi e della Farnesina è che, almeno in questa fase, la consegna venga rispettata. Non «umiliare» vuol dire anche evitare di fare comunicazioni ufficiali, specie nelle prossime settimane, quando la Cina celebrerà i dieci anni della “Belt and road initiative” (il nome inglese della Via della Seta, ndr). L’altro messaggio che la premier ha voluto sottolineare è che la scelta non è dettata da richieste degli alleati, ovvero degli Stati Uniti. L’abbandono del memorandum è stato giustificato con motivi economici e non politici. La convinzione del governo, però, è che l’Italia non avrebbe potuto assumere la presidenza del G7 (nel 2024) senza aver rotto il memorandum con Pechino.
Poi, sempre per non spezzare un rapporto che resta importantissimo per l’economia italiana, è stata proposta un’alternativa: recuperare un vecchio accordo di partenariato strategico globale, siglato vent’anni fa dal governo Berlusconi con la Repubblica popolare cinese. Una soluzione già anticipata da Tajani al regime di Xi Jinping. La delegazione italiana a Nuova Delhi ieri sera si diceva soddisfatta: Li Qyang, dopo aver fatto un nuovo tentativo di convincere Meloni, non avrebbe posto obiezioni particolari al ritorno al partenariato e questo allontana il fantasma di possibili ritorsioni cinesi. Il rischio esiste, ovviamente, specie per il settore del lusso e della moda, anche visti i problemi interni di Xi Jinping, ma Farnesina e Palazzo Chigi ritengono che la reazione cinese per ora sia migliore del previsto. Resta in ballo la questione del viaggio a Pechino di Meloni: ieri è stato ribadito l’invito, ma la missione in oriente, secondo fonti diplomatiche, inizialmente prevista per gli ultimi mesi del 2023, potrebbe slittare all’inverno 2024.
Ma l’Asia non è soltanto Cina, anzi. Meloni ieri ha incontrato Narendra Modi, primo ministro indiano, padrone di casa del vertice. Come già nella visita del marzo scorso, la premier ha riconosciuto all’India il ruolo di ponte tra l’Occidente e il Sud globale che è il cuore ideologico di questo G20, «la gestione di Modi di questa Presidenza, che ha proposto un’agenda ambiziosa sulle sfide globali è stata un successo», ha dichiarato Meloni. Oggi, prima della chiusura del summit, si aggiungerà un altro tassello asiatico nel bilaterale con il presidente della Corea del Sud, Yoon Suk-yeol. Nessun colloquio, invece, con Paolo Gentiloni, il commissario europeo all’Economia finito nel mirino del governo per «non aver difeso l’Italia». I due si sono salutati, ma senza andare oltre, come confermano i rispettivi staff.
Nella prima sessione del vertice, Meloni ha parlato di clima, ribadendo il suo no al presunto approccio «ideologico» del green deal. L’Italia, poi, ha celebrato il probabile ingresso nel G20 dell’Unione Africana, e quindi di molti Paesi da coinvolgere con il “Piano Mattei”. Lo scopo, secondo la premier, è «promuovere partenariati reciprocamente vantaggiosi, rifiutando un approccio assertivo o paternalistico, per sostenere la sicurezza energetica delle nazioni africane e mediterranee e rafforzare le esportazioni di energia verde». L’Italia, ha detto Meloni, «destinerà all’Africa oltre il 70% suo Fondo Italiano per il clima, 3 miliardi di euro nei prossimi 5 anni». E, ha affermato davanti agli altri leader, «deve riguardare davvero tutti» la lotta per mitigare gli effetti «dei cambiamenti climatici, che impattano soprattutto sui Paesi del sud globale». —