La Stampa, 10 settembre 2023
Terremomoto a Marrakech
L’Apocalisse è arrivata quando ancora la gente di Marrakech e i turisti tiravano tardi, nella calda notte di tarda estate. I locali si stavano svuotando, qualcuno andava a dormire, altri continuavano a chiacchierare. «Eravamo al ristorante dell’hotel, quando tutto ha cominciato a tremare. Era il panico totale. Siamo corsi fuori, nella strada, si sentivano urla, terrore, un rumore che non so ancora se erano i crolli, o il terremoto stesso. Ci siamo salvati, è incredibile, ma attorno era un cimitero». Jean-Luc è un francese che vive nella vecchia Medina, patrimonio dell’Unesco. Un centro storico medievale, sopravvissuto quasi intatto alla violenza della Storia e della natura, ma che questa volta ha visto «le case crollare come castelli di carta», e un boato sordo, «come una bomba», o come lo «schianto di un aereo».
Sotto le macerie decine di morti, centinaia di feriti e chissà quanti dispersi. Un cimitero. Ma l’ecatombe si è consumata con una forza ancora peggiore nei villaggi sui vicini monti dell’Atlante, dove interi villaggi sono stati «polverizzati». Come non fossero mai esistiti.
Ieri sera il bilancio in tutto il Paese era salito a oltre mille morti, settecento i feriti gravi, migliaia i dispersi. Il re ha dichiarato tre giorni di lutto nazionale. Come giù in Turchia, all’inizio dell’anno, si teme che alla fine le vittime saranno molte di più. Un timore che ha già l’orribile peso della certezza.
El Haouz è la regione che ha il numero più alto di morti, perché è qui l’epicentro del sisma.
Sono stati sufficienti 35 eterni secondi, tanto è durata la scossa, perché interi villaggi siano semplicemente scomparsi dalla carta geografica di una delle regioni più belle – e difficili – del Paese. «È una zona montagnosa, in cui molti villaggi sono isolati. I bambini, soprattutto le bambine, abbandonano la scuola, la popolazione manca di tutto, anche dei servizi di base, come gli ambulatori medici», spiega M. Omar Saadoun, dell’associazione Insaf. Negli anni era riuscito a far uscire decine di ragazzine dalle case in cui lavoravano come domestiche e a reinserirle nella scuola. Aggiunge, con grande emozione: «Ho passato tutta la giornata a cercare di raggiungere telefonicamente le mie figlie, ma non mi risponde nessuno. Inoltre, non posso nemmeno andare là perché la strada è bloccata a causa del crollo della montagna. Questo intralcia anche i soccorsi, che faticano a raggiungere i villaggi della regione». Erano isolati prima del terremoto, sono tagliati fuori dal mondo ora, sempre che esistano ancora.
A Ijoukak, Talat N’Yacoub, ma anche ad Aghbar, i danni sono considerevoli, tanto più che in grande maggioranza le case sono costruite in argilla o in pietra a secco, quindi, con una capacità debole di resistere a scosse di questa portata. «Ad Aghbar, la situazione è drammatica. Le persone sono ancora sotto le macerie – racconta aggiunge ancora M. Saadoun -. Il villaggio è lontano dalla strada principale ed è possibile accedervi solo percorrendo una strada accidentata. A Talat N’Yacoub l’ambulatorio è stato distrutto dal sisma. La situazione là è catastrofica». In quei villaggi, per nulla interessati dal turismo, la popolazione vive in povertà estrema. D’inverno le piste sono impraticabili e i trasporti quasi inesistenti.
Anche la provincia di Taroudant, a Sud-ovest di El Haouz, è stata gravemente colpita. Lo si sa solo grazie ad alcuni video che circolano in tere e traducono in immagini il disastro. Stessa sorte per la provincia di Chichaoua e di Imintanout che hanno registrato un gran numero di vittime. «A Chichaoua, Timidounit e a Mzouda si contano tantissime vittime, tra cui quattro insegnanti in una scuola primaria a Mzouda», dice Larbi, un attivista della regione di Chichaoua.
Anche a Casablanca, seppur lontana dall’epicentro, sui volti delle persone si legge disperazione totale. Se il bilancio dei morti nella capitale economica del Paese è “solo” di tre persone, le vittime nei villaggi remoti di questo “Marocco profondo” sono numerose. Ognuno ha qualcuno lontano da piangere o per cui preoccuparsi. Hafida, che lavora come domestica in un bel palazzo del centro, è in lacrime: «Quattro miei parenti sono morti e altri tre sono sotto le macerie», spiega. Vivevano tutti a Moulay Brahim, nella località di El Haouz, situata a circa 55 chilometri a Sud di Marrakech. Omar Bajjou, attore, spiega la vastità dei danni a Moulay Brahim, ma anche ad Asni, un altro villaggio della regione. «Ad Asni ci sono stati cinque morti e numerosi feriti, ma la situazione è peggiore a Moulay Brahim, dove regna la desolazione. Tutti i corpi dell’autorità pubblica sono presenti per prestare soccorso alla popolazione locale». Ogni sopravvissuto ha una storia da raccontare, un morto da piangere.
Il regno marocchino non è mai stato colpito da una scossa di magnitudo 6,8. Il bilancio che era di 1.305 morti e 1.832 feriti nel momento in cui si è andati in stampa, è molto provvisorio, considerate le regioni colpite: zone montagnose di difficile accesso.
Quasi 20 anni fa, il 24 febbraio 2004, la città di Al Hoceima e i suoi dintorni sono stati colpiti da un sisma di 6.3 gradi, che ha causato la morte di 628 perone. Ma, nella storia recente, il terremoto più micidiale è stato quello del 29 febbraio 1960, che ha distrutto completamente la città di Agadir. Anche se è stato di minore intensità (5,7 gradi), quel sisma, verificatosi quattro anni dopo l’indipendenza del Marocco, ha causato la morte di non meno di 12.000 persone e danni materiali considerevoli. —