La Stampa, 9 settembre 2023
Stupro, un ragazzo su 5 dà la colpa alle ragazze
Hanno tra i 14 e 19 anni e nel loro cuore si annida l’orrore che alla fine sì, «un po’ te la cerchi», sì, «lo stupro è anche un po’ colpa della vittima». È questa la fotografia tra l’inaspettato e lo sconcertante scattata da una ricerca di ActionAid e Ipsos su un campione rappresentativo di 800 giovani tra maschi e femmine, secondo cui per 1 adolescente su 5 le ragazze possono provocare la violenza sessuale con un abbigliamento o un comportamento provocante. Un dato che fa più impressione nei giorni degli stupri di Palermo e Caivano e nelle ore di decreti bandiera per il governo quali “baby gang” e codice rosso.
Anche il principale sindacato studentesco ammette di fare i conti con questa cultura di vittimizzazione secondaria. E attende al varco il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara che promette l’educazione sessuale nelle scuole superiori. «Sarà concreta, laica, non binaria, come servirebbe?», si chiede l’Uds. Urge, perché, sotto il cielo della parità di genere, dove il “parental control” evocato dalla ministra Roccella sembra non esercitarlo nessuno, c’è una certa confusione.
Se i giovani censiti da Ipsos sono concordi su chi commette atti di violenza nel nostro paese – i ragazzi maschi, soprattutto se in gruppo, e gli uomini adulti – non hanno invece le idee chiare su quali comportamenti siano violenti e quali no: 1 su 5 non riconosce come violenza toccare parti intime altrui senza consenso mentre indica come atto violento l’aggressione fisica. Per il 78% anche fare foto e video in situazioni intime e diffonderle, soprattutto per le ragazze, è violenza. E non sempre poi i ragazzi e le ragazze che la subiscono la denunciano, chi per vergogna (62%), chi per paura (55%), chi perché lo ritiene inutile (48%).
Vittime sono specialmente ragazze della fascia d’età 17-19, che rischiano più spesso di ricevere molestie verbali mentre camminano per strada o di essere vittime di commenti a sfondo sessuale. Scandagliando i motivi per cui si diventa oggetto di violenza, i ragazzi indicano al primo posto le caratteristiche fisiche (50%), poi l’orientamento sessuale (40%) e l’appartenenza di genere (36%). E se le persone transgender rischiano di venire insultate, quasi 1 rispondente su 3 sostiene che molte persone che si identificano in questo modo stanno solo seguendo una moda.
«I dati – spiega Maria Sole Piccioli di ActionAid – confermano la necessità di occuparsi di violenza, non solo di bullismo e cyberbullismo». Si chiama Youth for Love il programma europeo che l’organizzazione porta avanti nelle scuole italiane da oltre quattro anni, con circa 2800 studenti coinvolti dalla Lombardia alla Sicilia. Per Piccioli la violenza tra adolescenti e la cultura dello stupro affondano ancora oggi le radici nella società patriarcale. Per questo «la proposta del ministro Valditara non può bastare: vanno introdotti codici anti-molestia, bagni neutri, Carriere Alias, fondi stabili per il supporto psicologico in ogni istituto».
Sono le studentesse a dettare l’agenda. Come Gaia, che frequenta il Liceo Cine TV Rossellini a Roma, ed è portavoce dello sportello di ascolto “Contatto” fondato per affrontare insieme le difficoltà quotidiane. Al Rossellini un bidello denunciato da una studentessa per averle toccato i glutei è stato assolto perché il gesto è durato «una manciata di secondi, senza alcun indugio», una manovra “maldestra”, scrisse il collegio. «La scuola dovrebbe attivare dei corsi anche per i professori e il personale Ata, altroché» pensa Gaia. Alessia, iscritta a un istituto di estetica professionale a Palermo, si arrabbia pensando a quello che è successo nella sua città e a quei commentini «continui» sussurrati o fischiati in mezzo alla strada che «possono fare sentire molto vulnerabili». Poi c’è chi come Arianna, 16 anni di Agrigento, si chiede cosa potrebbero pensare di lei i suoi genitori se mai si trovasse a subire una violenza sessuale. «Noi giovani – ragiona Gaia – abbiamo bisogno di riferimenti adulti che non troviamo e di una educazione all’equilibrio psicologico, che molti di noi non hanno». Il dl Caivano? «Ho paura che possa diventare indottrinamento».
Insomma, ai ragazzi, violenti e non, servono modelli educativi positivi più che il carcere. Ne è convinto anche don Dario Acquaroli, pedagogista e direttore della comunità don Milani di Bergamo che attualmente ospita 6 minori provenienti dal circuito penale minorile. Don Dario vede «adolescenti lasciati soli a crescere» e un inasprimento delle pene che «guarda agli effetti di un problema piuttosto che alle cause». Se gli effetti sono gli stupri, la causa è proprio l’abbandono dei ragazzi.
«C’è bisogno del coinvolgimento di tutte le agenzie educative, la famiglia, la scuola. In adolescenza capire che si è tutti preziosi e stupendi è un traguardo enorme: la bellezza è sempre un antidoto alla violenza». —