La Stampa, 9 settembre 2023
La politica del calcio
In un paese come il nostro non è stupefacente che l’Atalanta sia diventata un’accademia della filosofia politica. Si legge infatti un’intervista del terzino Joakim Mahele (ora ai tedeschi del Wolfsburg) in cui l’allenatore Gian Piero Gasperini è tratteggiato nelle fattezze di un tiranno, con piena disponibilità sui giocatori, persino se dovessero pernottare a casa o al centro sportivo. Non so se Gasperini sia un frequentatore di Elias Canetti, ma subito torna alla mente la sublime pagina in cui Canetti descrive nel direttore d’orchestra l’immagine del potere più drammatico: il direttore d’orchestra, come l’allenatore, esercita sugli orchestrali potere di vita e di morte, decide che una tromba tace e un violino suona, impartisce comandi indiscutibili. Non è con l’orchestra, è al di fuori come un allenatore è al di fuori del campo, guarda e dirige, piomba fulmineo su chi infrange la legge, e la legge è lui. “Vittoria e sconfitta – scrive Canetti – divengono le forme in cui si organizza il suo bilancio psichico”. Vittoria e sconfitta risiedono nelle sue scelte e nelle sue disposizioni: lui ne porterà la gloria o la colpa. È un’allegoria della responsabilità. E non la responsabilità di un dittatore, perché il potere del direttore d’orchestra e dell’allenatore è temporaneo e sempre in bilico. E non per niente poi arriva l’ex direttore sportivo dell’Atalanta, Pier Paolo Marino e, per dirimere la contesa, aggiunge: “Chi governa non può appoggiarsi sul consenso, altrimenti significa che sta governando male”. Non deve piacere ai governati, deve portare a casa il risultato. Va bene: Gasperini premier e Marino vice.