ItaliaOggi, 9 settembre 2023
Giardinetti solo per ariani
Sono vittima di un doppio razzismo, non posso andare in un museo perché sono bianco, e non mi assegneranno a Berlino un Kleingarten, o Schrebengarten, letteralmente un giardinetto, non più di cento metri di proprietà comunale, dove coltivare fiori e, violando la legge, perfino insalata, pomodori e cetrioli. Il museo Zeche Zollern di Dortmund ha aperto la mostra Das ist Kolonial, questo è il colonialismo, ma in certe ore mi sarà vietato l’ingresso perché, benché siciliano, ho la pelle candida dei miei antenati normanni.
Per far sentire cosa prova chi è vittima dell’apartheid, spiegano i responsabili. Sono stati sommersi dalle critiche, e hanno parzialmente fatto marcia indietro: l’ingresso sarà precluso a me, e ai miei simili, solo al sabato dalle 10 alle 14. Una piccola discriminazione simbolica, quattro ore su 48 di apertura settimanale, si difende la portavoce del museo, e una piccola parte dell’esposizione sarà sempre off limits per i bianchi. E non si tratta di un Verbot, di un divieto, ma di una Bitte, una preghiera. Comunque, l’esclusione dei bianchi sia pure di un’ora, viola la Costituzione, e il museo è pubblico, dipende dalla regione della Nordrhein Westfalen, quindi sovvenzionato dalle tasse di tutti i contribuenti.
Non sarei mai andato fino a Dortmund, per vedere gli orrori commessi dai colonialisti europei. E dover badare a un giardinetto per me sarebbe un incubo. I Kleingarten sono un’istituzione tipicamente tedesca, anche se si trovano ovunque in Europa, ma non trovo statistiche su quanti siano in Italia, e quelle di Berlino e della Germania sono vecchie di una decina d’anni, temo che oggi siano di meno. Nella capitale nel 2013 erano 68mila su 3,5 milioni di abitanti, in nessuna altra regioni così tanti. In Germania 260mila, con 893mila soci, tutti con il pollice verde. La lista per ottenere una parcella è lunga, e si attendono anni. A Berlino hanno deciso che gli “Ausländische Mitbürger”, cioè io, i concittadini stranieri, non sono desiderati. Come a Dortmund, i responsabili adesso sostengono di essere stati fraintesi.
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A cominciare è stata una signora che ha messo un annuncio per cedere il Kleingarten del padre, ormai troppo anziano, ma non a stranieri. Non è l’unica, come denuncia il Tagesspiegel, quotidiano di Berlino. Il responsabile della colonia di giardinetti si è scusato: nello statuto non si prevedono divieti. Ma ammette che anche lui ha rifiutato un aspirante “non tedesco”, perché non parlava bene la lingua. I soci devono saper leggere le norme, diverse da colonia a colonia, che prescrivono quali fiori piantare, il divieto di trasformare i giardini in orti, in teoria sarebbe vietato abitare nei capanni per gli attrezzi, che in realtà vengono trasformati in villette. Sui tetti si notano le parabole per la tv, tra le dalie brillano i pomodori. Un mondo typisch deutsch, con nanetti da giardino, e l’asta della bandiera.
Gli Schrebengarten devono il nome al dottore Daniel Schreber di Lipsia (1801-1861), preoccupato per i contadini che andavano a vivere in città per lavorare nelle fabbriche. Rischiavano l’alienazione, la depressione, la follia. Era un ortopedico, ma finì per dirigere il manicomio a Lipsia, un medico dei pazzi, come si diceva, definizione proibita dal politically correct. Era un padre severo, e il figlio Daniel Paul fu sua vittima, si uccise a 38 anni, ed è l’autore di Memorie di un malato di nervi, pubblicato da Adelphi.
Gli Schrebengarten, nati come una piccola oasi di libertà, si sono trasformati in un mondo che esclude i diversi. Le riunioni dei giardinieri sembrano sedute di Parlamento, rissose e poco democratiche. Si stabiliscono multe per chi non taglia l’erba almeno una volta alla settimana, o crea aiuole troppo personali. L’ideale è un insieme di giardini tutti uguali. Una dittatura verde. Gli annunci non saranno esplicitamente razzisti, commenta Frau Ferda Ataman, responsabile del Bundestag, per l’antidiscriminazione, «ma ci sono molti indizi per constatare che gli Schrebengarten sono una società chiusa che esclude quanti non piacciono ai giardinieri tedeschi». Hanno ragione loro, io pianterei cactus e agavi perché nostalgico della mia Sicilia.