Corriere della Sera, 10 settembre 2023
La partita vista da Roncone
SKOPJE Lasciate stare Luciano Spalletti.
Sono questi i giocatori che abbiamo.
Li conoscete, li avete visti, no?
Se vogliamo restare dentro la speranza di andare ai prossimi Europei, dobbiamo essere consapevoli della loro sostanziale modestia tecnica. E non scandalizzarci perché la Macedonia del Nord, dopo averci sbattuto fuori dai Mondiali, ora ci mette in ginocchio con un pareggio assolutamente meritato.
Punto. Non ci sono altre riflessioni da fare, in questa ennesima notte mortificante per il calcio italiano. L’unica speranza da alimentare – ma dev’essere forte, fortissima – è che il nuovo c.t. riesca ad allestire presto qualcosa di simile a una squadra. Poi possiamo passare alla lettura degli appunti.
Il primo scarabocchio – così la prendiamo alla larga, e un po’ di amarezza magari evapora – è puro colore: stadio mezzo vuoto e rugginoso, sudicio, con la tribuna stampa allestita nel punto più alto, i tavoli pieni di ragnatele, le sedie sbilenche, e zanzare e strani calabroni che si buttano in picchiata sul prato – chiamiamolo così, anche se è molto spelacchiato: guardiamo la partita con i calciatori che, laggiù, sembrano i pupazzetti del Subbuteo.
Però una cosa s’intuisce, subito: gli azzurri, appena possono, verticalizzano. È la grande novità tattica, dopo anni di palleggio ostinato, e presuntuoso. Ma è chiaro che cercare questo tipo di giocata richiede prove quotidiane, addestramento ossessivo. Io so dove stai, ti cerco ad occhi chiusi, e se non trovo te, a destra o a sinistra sono sicuro di trovare un altro che aspetta il mio passaggio. I registi delle squadre allenate da Spalletti, di solito, hanno sempre almeno tre opzioni. Stasera per Cristante è più complicata. Il c.t. ha dovuto spiegare tutto a tutti in poche sedute. Così, adesso, è costretto a fare il vigile. Vai là, sali, entra, torna, spostati. Quando i suoi sbagliano, e sbagliano abbastanza, non ha un ciuffo da accarezzarsi con disgusto, come faceva quell’altro. Ma occhiate piene di brace viva, quelle sì.
Nessuna esultanza
Quando va in vantaggio non esulta, si porta addosso troppa vita per non sospettare
Palo di Tonali. È vero che poco fa i macedoni si sono mangiati un gol. Però siamo in partita. Proviamo a metterci ritmo, agonismo, convinzione. Molti tiri, molti rimpalli. Alessandro Bocci, seduto qui accanto: «Ricordati che questa partita l’abbiamo già vista a Palermo. Solo che, alla fine, segnarono loro». Si lavora dentro botte di notevole situazionismo. Un bambino macedone scavalca la balaustra e viene a chiedere una bottiglietta d’acqua. Poi arriva il padre, con una pancia gelatinosa, un Kalashnikov tatuato sull’avambraccio, e fa segno che ha fame, mimando un panino da addentare. Anche no, abbia pazienza.
Piuttosto: lì sotto c’è Spalletti che sta chiedendo a Barella e Tonali di buttarsi dentro con maggior convinzione. Dovrebbero farlo a turno. Un paio di volte vanno però insieme e, nella ripartenza, la Macedonia rischia di farci male, trovando a centrocampo trenta metri di zolle libere. Zolle non è una forma retorica: il campo, alla fine del primo tempo, è arato.
Nemmeno a scriverlo quanto e come i signori dell’Uefa dovrebbero vergognarsi. Meglio la cronaca battente. Anche perché gli azzurri, al secondo minuto della ripresa, segnano. Legnata da fuori area di Barella, traversa, e Immobile – il peggiore fin qui – che piomba e la butta dentro di testa. Dovrebbe essere andata, più o meno, proprio così: ci arrangiamo con un i-Pad collegato alla tv macedone, tipo zona di guerra.
E Spalletti?
Non ha esultato. Ha visto troppo calcio e si porta addosso troppa vita per sospettare che la partita si sia messa bene. A lui, per lui, niente è facile. Piccoli segnali lugubri: gli azzurri abbassano i giri. Le linee di passaggio sono diventate vaghe. Diventiamo fallosi. Il c.t. ha le mani in tasca. E china la testa. È la classica postura spallettiana, di quando ha i neuroni alla ricerca di una buona idea. Guarda l’orologio. Sa che deve giocarsela fino alla fine. Soprattutto, sa che la fortuna non guarda mai le sue partite. Infatti.
Il pareggio della Macedonia è annunciato da una vibrazione negativa. Quel genere di cose che si avvertono dentro uno stadio. L’altra cosa che si avverte, nei lunghi minuti che seguono, è un senso di cupa ansia calcistica. Anzi, no: è qualcosa – come scritto all’inizio del pezzo – che lambisce la rassegnazione.