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 2023  settembre 09 Sabato calendario

Biografia di Milena Milani

Nell’estate dei miei 14 anni, stesa sulla spiaggia, lessi un romanzo comprato in edicola nei tascabili Newton a sole 2000 lire. Lo aprivo ogni pomeriggio dopo il bagno e ne parlavo a chi veniva al mare con me. Un’amica mi disse che secondo sua madre non avevo ancora l’età per quel libro. Per fortuna i miei non erano grandi lettori: non sapendo, non mi hanno vietato nulla. Ignoravano cheLa ragazza di nome Giulio fosse stato sequestrato nel 1964 per offesa al comune sentimento del pudore e che la sua autrice, Milena Milani, fosse stata processata nel ’66. Del resto anch’io, camminando verso la scuola, ero stata semplicemente attirata dal titolo, da quella ragazza con un nome maschile, e avevo scoperto solo in seguito quanto abietta e subumana fosse stata giudicata dagli editori che avevano rifiutato il testo, e dal Tribunale di Milano, che neppure la testimonianza di Ungaretti aveva dissuaso dall’accusa di oscenità.Ho riletto il libro qualche tempo fa; dal punto di vista formale mi è parso meno interessante della prima volta, ma capisco perché l’incandescenza di quel personaggio femminile mi turbò, e perché, giovane come lei, avvertii miei i suoi interrogativi, su Dio, e sul corpo, lo strumento con cui lei cerca senza sosta una possibile verità. Jules cresce nell’Italia fascista, e la presunta anomalia del suo corpo, del suo desiderio, somiglia a una ribellione, a un tentativo di libertà, in un Paese al quale lei non sente di appartenere: «L’Italia, che parola grossa, che mai significava?» Il potere totalitario si esercita sempre sui corpi, c’è una dialettica ineludibile, spesso dolorosa, fra corpo e società. Forse è perché rievoca questa dialettica che La ragazza di nome Giulio è diventato uno dei libri della mia vita. Quasimodo disse che nelle sue pagine l’amore «è una forza tragica, una frattura- simbolo che se appare legata a un’angoscia esistenziale ha un valore “presente” nella civiltà che viviamo».Domandarsi quanto ci sia di autobiografico in quell’adolescente dal nome straniero, «ridicolo», il nome di suo padre, un nome che ne segnala la differenza, l’originalità, l’infrazione alla regola, la difficoltà di essere accettata, conta poco. Milena Milani, nata a Savona nel ’ 17, ebbe anche lei una giovinezza fascista, e proprio ai Littoriali di Sanremo rivelò il suo talento poetico ( avrebbe esordito con la silloge Ignoti furono i cielinel ’ 44). Studentessa alla Sapienza, dovette lasciare la capitale invasa dai nazisti per aver partecipato, con altri intellettuali che si riunivano al caffè Aragno, all’occupazione di un giornale fascista. Si trasferì a Venezia e lì s’innamorò del gallerista Carlo Cardazzo, che sarebbe stato il suo compagno di vita, il «T. H.» cui la sua intera opera è dedicata. Milani fece parte dello Spazialismo di Lucio Fontana e fu anche pittricee ceramista fino alla morte, avvenuta dieci anni fa. La condizione di Jules, che si sente sbagliata perché non arriva all’orgasmo con il coito, che ha imparato il piacere in una relazione saffica e che lo raggiunge soltanto in maniera autarchica, possedendo se stessa come fosse Lorenzo, o Amerigo, o qualunque altro dei maschi che frequenta («che ragazza sono io se divento uomo?»), allude a un percorso comune a diverse donne, anticipando la decostruzione del modello sessuale patriarcale che Carla Lonzi farà pochi anni dopo nel suo celebre saggio La donna clitoridea e la donna vaginale. E rivela – senza ideologia, ma con la forza misteriosa della letteratura – cosa implica, nella sua e nella nostra società, crescere da donna, considerare gli uomini attrazione e minaccia. Non è casuale che, una volta tornato in commercio dopo l’assoluzione dell’autrice nel ’ 67 e tradotto, fra le altre lingue, in francese, il romanzo abbia colpito Simone De Beauvoir. «Credo che non sarà mai possibile che i due sessi si capiscano totalmente», disse Milani in un’intervista( e come non pensare a Marguerite Duras, quando scrive: «Nell’eterosessualità non vi è soluzione. L’uomo e la donna sono inconciliabili»?).Jules ricorda altri personaggi femminili di Milani, la rossa di via Tadino, che dà il titolo al romanzo omonimo del ’ 79, o Anna Drei, protagonista del suo debutto narrativo, apprezzato da Cardarelli: «Chi ti scoprirà? Il tempo, sta’ certa. Tu avrai un nome», scrisse il poeta all’amica.Vincitore nel ’ 48 del Premio Mondadori, Storia di Anna Drei fu considerato in Francia un esempio di esistenzialismo italiano. «In quel dopoguerra», dichiarò Milani, «fu il simbolo di una ragazza senza radici, come tutti».E le radici di Jules? Sembrano recise, assenti come il padre, come ogni veto sul suo corpo. La scena in cui Amerigo lecca il sangue mestruale della ragazza è l’esatto istante in cui l’infanzia finisce: quella di Jules, e forse anche la mia. Ne L’animale morente di Philip Roth avrei trovato, anni dopo, una scena analoga, ma sarebbe stata pubblicata da un uomo americano nel XXI secolo, non da una donna italiana negli anni ’60. La scena che ha destato scandalo è stata per me una lezione di scrittura: di come alla scrittura si debba dare tutto, senza riserve, di come si debba rischiare tutto, senza curarsi dei pregiudizi, delle restrizioni tacitamente imposte alle donne.Ho amato questo romanzo per la sua incoscienza, per il suo ardimento, perché Jules indaga Dio e lo colpevolizza, perché è impudica e innocente, perché – come ogni donna, secondo Milani – è un «mondo murato», un enigma impenetrabile, una persona che ha «l’invincibile spavento» di poter essere vista, davvero, fino in fondo. Chi non ha mai provato quello spavento? Forse è un residuo di adolescenza, ma io mi sento ancora così.