La Stampa, 8 settembre 2023
Intervista a Dacia Maraini
Una coreografia – letteralmente – sul pelo dell’acqua. Un intreccio di corpi che sfidano la forza di gravità e si fondono, dando vita a una creatura androgina che è anche un sogno di libertà. Pasoliniano: nell’ultimo, incompiuto e coraggioso romanzo, c’è un personaggio che vive una sua spettacolare e misteriosa metamorfosi. Cerca l’innocenza dell’infanzia e l’«infinità del desiderio»: la trova diventando un androgino che intende staccarsi da terra e conquistare una dimensione metafisica. Caro Pier Paolo, lo spettacolo di teatro danza che ha debuttato ieri sera ad Arona, nell’ambito del Festival Teatro sull’Acqua (repliche fino a domenica), è un azzardo visivo voluto da Emiliano Pellisari sulla scorta delle lettere immaginarie indirizzate a PPP da una sua amica speciale, Dacia Maraini. E ieri sera la scrittrice, che sta per tornare in libreria con il romanzo Vita mia (Rizzoli), ha letto i versi inediti che pubblichiamo in questa pagina.
Nella poesia evoca un sogno di libertà sessuale oltre i confini di genere. Ma per quale via si conquista?
«L’erotismo e la sua concezione sono determinati dalla storia, non sono questioni astratte. In una comunità umana che per secoli è stata messa alla prova da malattie, guerre, morti precoci, con un’aspettativa di vita bassissima rispetto a oggi, ogni forma di sessualità non legata alla procreazione veniva considerata un peccato sociale, ancora prima che spirituale. A rimetterci è ovviamente stata la donna, condannata a vedersi negata la dimensione del piacere: le mutilazioni genitali femminili ancora oggi sono legate a un’idea di controllo e di possesso del corpo della donna da parte degli uomini e del piacere femminile come pericolo sociale. L’eros guadagna libertà in uno spazio sociale di tolleranza che si sviluppa anche dove viene meno la preoccupazione per la conservazione della specie. Più in generale, poiché si tratta di qualcosa che non è solo biologia ma appunto anche cultura, l’erotismo e l’idea del piacere sessuale evolvono a seconda di come evolve un contesto sociale, con rapide accelerazioni in termini di apertura e di libertà ma anche altrettanto rapide regressioni e chiusure. Qualunque libertà umana non è mai conquistata una volta per tutte».
E il “viscerale” Pasolini, in tutto questo?
«Il linguaggio astratto della danza, che non è pienamente narrativo, produce una visione. E riesce a cogliere un’idea spesso rincorsa da Pasolini, soprattutto nell’ultimo romanzo, Petrolio. Quella, appunto, di un corpo privo di genere sessuale definito, un androgino ideale che si abbandona al desiderio e al sogno».
Nel libro a cui lo spettacolo è ispirato, Caro Pier Paolo (Neri Pozza), lei parte proprio dalla dimensione del sogno.
«È sognando Pier Paolo che ho capito di potergli parlare ancora. Parlargli, appunto, attraverso il sogno».
Che cosa gli dice?
«In uno dei sogni ricorrenti, che racconto nel libro, lui viene a trovarmi per dirmi che vuole fare un nuovo film. I suoi tecnici lo guardano stupiti, si avvicinano a me: “Dacia, digli che è morto”. E io, imbarazzata, glielo dico».
E lui?
«Lui, con il suo giubbino di pelle, gli occhiali scuri, dice: “Lo so che sono morto, ma voglio fare un film”. In effetti lavorava moltissimo, con ritmi quasi insostenibili. Me ne sono accorta scrivendo con lui una sceneggiatura. Pareva che sentisse che gli mancava il tempo. Ma non ho mai creduto che abbia cercato intenzionalmente di morire. Semmai, nell’ultimo periodo, si sentiva isolato».
Isolato?
«Le faccio un esempio. Una prima al Teatro Quirino di Roma. Quella sera ero con lui. Alla fine del primo atto lo accompagno a prendere qualcosa al bar: la folla si apre, lo lascia passare, restiamo praticamente soli al bancone. Come avessero visto passare un appestato. I giornali di destra lo attaccavano come una specie di mostro. Ricordo un titolo che mi coinvolgeva: “Pasolini e Maraini pornografi"».
Da morto, è diventato un’icona, rappresentata sulle t-shirt e nei murales.
«Per chi oggi lo considera un simbolo della rivolta contro il potere non è facile capire quanta ostilità e sospetto generasse la sua presenza fisica. E la sua protesta carnale. Metteva il suo corpo nelle battaglia delle idee, era fondamentalmente anarcoide, disprezzava ogni forma di potere. Per questo si è tenuto distante dal femminismo e perfino dalle rivendicazioni dei diritti omosessuali».
Aveva una figura pubblica aggressiva. Ma qual è l’altro Pasolini?
«Era duro quando reagiva alle aggressioni e alle denunce. Una volta fu accusato di rapina a mano armata: surreale! Voleva sedurre, ma non era uno stupratore. Non l’ho mai sentito alzare la voce, né pronunciare una cattiveria. Era delicato, sensibilissimo, tanto da affascinare Maria Callas.»
Callas, Pasolini, Moravia, Piera Degli Esposti. Quanto ha contato per lei l’amicizia?
«Ne ho un rispetto sacro. Ho amiche rimaste tali dagli anni di scuola. L’amore, che pure è una potenza bellissima e terribile, è destinato a non durare. Perché è legato alla passione, al sesso, un fuoco che si spegne. Ma un amore autentico si trasforma in amicizia. Così è stato per me con Moravia. Dipende dalla stima. L’amicizia senza stima non esiste; l’amore senza stima sì, e lo vediamo tutti i giorni, storie che si sfasciano, finiscono in odi e rancori, anche esibiti in pubblico».
Come si vive in un paesaggio che si spopola degli amici?
«Il cuore diventa un cimitero. Pezzi di vita che se ne vanno. Ma non sono portata alla nostalgia, faccio progetti e mi faccio nuovi amici e amiche».
Sta per uscire un romanzo a cui lavora da molti anni.
«Racconto nel dettaglio la mia vita di bambina nel campo di concentramento in Giappone. Ne ho parlato in pubblico, ma non ne avevo mai scritto».
Perché?
«È doloroso riaccostarsi a quell’esperienza».
In un altro libro, La nave per Kobe, si era fermata sulla soglia. Annunciando che prima o poi avrebbe scritto quel capitolo.
«Sì, è una promessa che avevo fatto a me stessa. L’ho mantenuta». —