La Stampa, 8 settembre 2023
Battisti e la destra
Nell’elenco dei fascisti immaginari Lucio Battisti è ai primissimi posti, non soltanto per una questione alfabetica, e nessuno sa dire con esattezza se ci sia finito per puro caso oppure no. Paolo Limiti collegò la faccenda a una foto che lo ritraeva col braccio alzato in una specie di saluto romano durante la registrazione di uno speciale tv: stava dando l’attacco ai violini per I Giardini di marzo ma l’immagine circolò altrimenti e altrimenti fu interpretata sia a destra sia a sinistra. E dunque, con il senno del poi, viene il dubbio che «Battisti fascista» sia stata soprattutto una suggestione dei tempi, tempi in cui i palchi dovevano essere engagé per forza, e il solo fatto di sottrarsi all’impegno musical-politico coltivando l’anima latina della musica piuttosto che i contenuti rivoluzionari era sintomo sospetto. Vai a vedere che è fascista?
Sia come sia, la destra dei ’70 ebbe con Battisti la sua star di riferimento, che rispondeva benissimo al canone dell’anticonformismo underdog. Uno che non si mostrava, sfuggiva, rifiutava le copertine e dedicava il suo canto libero a una ragazza «in un mondo che / non ci vuole più», cogliendo con esattezza la situazione esistenziale di chi da sempre si sentiva esule in patria. Riviste assai serie come L’Italiano, diretta dal fondatore del MSI Pino Romualdi e generalmente sospettosa verso il pop, già nel ’73 ne scrivevano l’elogio: un cantante che «non concede nulla alla moda corrente, non ostenta impegni social-populisti, non va in cerca di giornalisti … Non si è lasciato intruppare fra gli pseudo-artisti di sinistra che si appoggiano alla macchina propagandistica del Pci». E il paradosso è che questo tipo di recensione artistico-politica convinse non solo la destra ma pure la sinistra, raro caso di egemonia culturale al contrario. Persuasi della fascisteria di Lucio, insomma, a sinistra furono costretti a sentire Battisti di nascosto e a litigare tra loro per passarlo in radio persino nei momenti del suo più folgorante successo. Lidia Ravera: «Era il mio unico elemento di trasgressione alle indicazioni della sinistra extraparlamentare. Ero ligia su ogni cosa, ma non su Battisti». Gino e Michele: «A Radio Popolare, era il 1976, faticammo non poco a imporre qualche suo pezzo nelle nostre trasmissioni».
L’aneddotica sull’ascolto clandestino di Battisti «dall’altra parte» è infinita. E arriva al top quando il 1° ottobre 1978 durante l’irruzione nel covo delle Brigate Rosse in via Monte Nevoso a Milano, i carabinieri scoprono insieme a preziosi e controversi documenti, fra cui i memoriali di Aldo Moro assassinato pochi mesi prima, tutti i dischi di Battisti allineati con cura su uno scaffale. La notizia fa titolo. Ma come, pure loro? E dunque, l’inevitabile sessione di autocoscienza raccontata da tanti critici musicali del tempo: con che atteggiamento dobbiamo porci rispetto a questo artista?
Oggi fa un po’ ridere ma i tempi dell’impegno suscitavano questo tipo di interrogativi. Francesco De Gregori, in un’intervista di qualche anno fa a Malcom Pagani, racconta che se avesse scritto lui Emozioni con il suo verso più poetico – «E ricoprir di terra una piantina verde sperando possa / nascere un giorno una rosa rossa» – probabilmente lo avrebbero lapidato. «Però mi piacerebbe averla scritta», dice. Là dentro, spiega, c’è una nettezza di significato rara e «nessuna traccia di quell’arroganza, di quella pretesa pedagogica che i cantautori, me compreso, portarono dentro le canzoni».
Sì, erano anni in cui i più erano convinti che la canzone dovesse non soltanto costruire suggestioni, ma dare una dritta politica, indirizzare il pensiero, normare le emozioni. Sono durati fino all’altro ieri, nonostante in mille occasioni Mogol, l’alter-ego di Lucio, abbia smentito una sua specifica collocazione sull’asse destra/sinistra («Battisti non aveva ideologie in testa e credo che, come me, votasse per quello che gli sembrava il meno peggio»). Ancora nel ‘94 al concertone elettorale dei Progressisti in piazza San Giovanni, le prime note de La Canzone del Sole intonate da Luca Barbarossa si persero nei fischi di protesta.
Per la destra andò benissimo: tenersi Battisti tutto per se’ è stata una medaglia al valore e continua ad esserlo ora, a 25 anni dalla sua scomparsa. Per di più il veto della famiglia a ogni uso commerciale delle sue canzoni ha reso la memoria di Lucio iconica e perfettamente aderente con l’idea di coerenza che è l’epicentro di ogni racconto di fedeltà a se stessi. In un mondo dove anche le super-star della trasgressione hanno venduto le loro hit alla pubblicità e pure Dylan, pure Blowing in The Wind, è diventato spot per una catena di supermercati, Lucio, il sognatore di «gente giusta che rifiuti di esser preda / di facili entusiasmi e di ideologie alla moda», resterà incontaminato là dove la leggenda lo ha posto. In un cimitero di campagna, all’ombra di un ciliegio in fiore / senza età, e tutto il resto, ogni polemica, critica, litigata sulle appartenenze, è da un pezzo silenzio.