La Stampa, 8 settembre 2023
Biografia di Lucio Battisti
Lucio Battisti è uno di quei rari casi in cui c’è un prima e un dopo: l’uomo che ha cambiato la musica italiana portandola nella modernità. Una rivoluzione dopo la quale qualcosa (o tutto) è cambiato per sempre: da una musica leggera, a volte anche di livello, si è partiti per strade che non erano mai state percorse, e neanche immaginate.
Lucio è stato artista raffinato e popolare allo stesso tempo, e mai come nel suo caso si può affermare che «Battisti è di tutti»: di qualsiasi musicista che è venuto dopo, a cui erano state aperte le porte della fantasia, di qualunque di noi generazione Anni ’’60 e ’70 che siamo cresciuti ascoltandolo sui mangiadischi, sulle autoradio e sui primi hi-fi; e di qualunque ragazzo della GenZ che può scoprirlo su Spotify e capirne la profonda originalità, anche così tanto tempo dopo.
Ma Battisti è anche di persone che lo citano in situazioni insospettabili: per esempio un economista di prestigio come Fabio Panetta che avverte la BCE di non rischiare di «guidare a fari spenti nella notte» o il Sole 24 Ore che cita «le discese ardite e le risalite» a proposito dell’andamento della Borsa. Come le melodie sono rimaste incastonate nel nostro Dna di italiani, anche molte frasi dei testi di Mogol sono diventate lessico quotidiano.
Se Modugno aveva di colpo svecchiato la melodia italiana attingendo alla tradizione popolare, l’arrivo al Festival di Sanremo di Battisti nel 1969, esattamente 10 anni dopo Volare, è simbolicamente l’inizio di un’avventura: il nuovo che avanza, l’asticella settata più alta, il nuovo libro di testo.
Il suo secondo album, Emozioni, 1970, è il singolo album che rappresenta la nascita della canzone italiana. Dentro ci sono quattro 45 giri beatlesianamente a doppia facciata A che trasformano l’iniziale seguito di culto in fama nazionale: Acqua Azzurra Acqua Chiara/Dieci Ragazze, Mi Ritorni In Mente/7 e 40, Fiori Rosa Fiori Di Pesco/Il Tempo di Morire, Emozioni/Anna. Nessuno in Italia ha mai avuto una progressione del genere. E pensare che era solo l’inizio.
Il ragazzo salito a Milano da Poggio Bustone ha due talenti: uno innato per la melodia, la talentuosa capacità di scrivere canzoni che sembrano semplici da quanto sono orecchiabili, ma che spesso semplici non sono affatto: non si eran mai sentite canzoni di neanche tre minuti che cambiano direzione, e mood, una due tre volte. Gode del piacere puro dell’essere autore, per niente (come ben sappiamo) dell’essere divo. Ma ha anche una grande padronanza della chitarra che ne fa uno straordinario arrangiatore delle proprie canzoni. Le due cose combinate, assieme a una curiosità maniacale che lo spinge ad ascoltare a 360° tutto il meglio della musica internazionale e ad essere sempre aggiornatissimo, lo farà evolvere senza sosta per 30 anni di carriera. Inizia con una profonda influenza afroamericana (rythm’n’blues, ma qui e là ci sono tracce di gospel), nel momento di massimo splendore (i primi anni 70: La Collina dei Ciliegi, Il mio Canto Libero) abbandona il suo pop-rock-cantautorale per una digressione in territorio di sperimentazione sonora con una meraviglia assoluta quale Anima Latina: un album atmosferico, quasi prog, new wave ante-litteram, la voce e i testi sepolti nel missaggio a favore di suoni di una originalità sfrenata, quasi troppa per un album italiano del 1974 (e infatti fu accolto con moltissime riserve). Dopodiché passa attraverso album molto patinati come Una Donna Per Amico e Una Giornata Uggiosa, consuma la sua rottura con Mogol–l’eccellente paroliere degli inizi caduto in una spirale di mezza età nostalgica e moralista che non lo rappresentava più e inevitabilmente sentiva di aver lasciato indietro, al di là delle mai nascoste motivazioni economiche–e va per la sua strada, orgogliosamente controcorrente.
Comincia un progetto azzardato ma lucido di de-strutturazione/ri-strutturazione della sua musica con un nuovo autore testi, Pasquale Panella. Incurante delle critiche, degli attacchi, delle perplessità di un mondo vastissimo e trasversale di fan, Lucio si disamora del suo periodo più amato dal pubblico e crea album che non è corretto definire d’avanguardia, perché la vera avanguardia è un’altra, ma che sono roba da marziani in confronto ai suoi competitor sonori. È una via italiana, innovativa e surreale, all’elettronica degli anni 80/90: musica cibernetica e testi surreali di Panella, e al diavolo i ritornelli, le classifiche, l’immancabile milione di copie all’uscita. Per decidere di rinunciare al suo ruolo di primattore ci voleva tanto coraggio, autostima, indipendenza. Ma queste non mancavano, Battisti aveva una convinzione in se stesso, nella sua qualità, nel suo esser Numero Uno (guarda caso, l’Etichetta che aveva creato con Mogol negli Anni ’70) ferrea, quasi sprezzante. Massimo rispetto, e pazienza se le canzoni non si potevano più cantare, quelle ce le aveva già regalate e le cantiamo ancora adesso.
In un percorso tenuto sempre molto privato (l’ultima intervista risale a 25 anni prima della scomparsa) ci sono due episodi rimasti misteriosi: un disco fantasma, o meglio alcuni provini inediti che la vedova Maria Grazia, ormai scomparsa anch’essa, non ha mai tirato fuori dalla cassaforte, ammesso che esistano. E l’idea solleticante di un concerto once in a lifetime, Stadio Olimpico per una notte e poi di nuovo sparire: ma la domanda, altrettanto ipotetica, è se nel caso avrebbe cantato solo il nuovo o anche il vecchio. I pezzi sarebbero certamente stati riarrangiati, ma se non voleva più cantare quei testi, come era chiaro, che sarebbe stato del repertorio per cui la gente sarebbe venuta? Non lo sapremo mai. L’uomo misterioso, il supereroe pop dell’Italia canora se ne sarebbe andato nel 1998, portandosi dietro molti segreti.
Rimane quella figura – quella silhouette di profilo, capelli ricci come corona del re – a sintetizzare trent’anni di impronta, e lascito, indelebili. Troppo italiano per sfondare all’estero – McCartney un interessamento l’aveva manifestato, e con un Lp americano la RCA c’aveva provato, inutilmente – e troppo originale per essere seguito fino in fondo da noi, nonostante il successo. È stato, tutto insieme, il nostro Otis Redding, Beatles, Bowie e Brian Eno. E non fatevi irretire da chi sostiene il contrario: è stato un cantante straordinario. Per dirla alla McLuhan, la voce di Battisti era, e rimane, il messaggio.