il Fatto Quotidiano, 8 settembre 2023
Il conflitto d’interessi delle tv rende il premierato una follia
Il premierato, cioè l’elezione diretta del presidente del Consiglio, è la proposta della destra in tema di riforme elettorali. Renzi è d’accordo, of course. Non altrettanto il resto dell’opposizione, che afferma che una norma simile azzopperebbe il ruolo del capo dello Stato. Be’, non sarebbe il solo motivo per dire no. Forse c’è anche dell’altro a controindicare una terapia del genere per la democrazia italiana: magari un sistema mediatico devastato dal conflitto d’interessi e da un servizio pubblico collocato nelle mani del potere di turno.
Però torniamo all’elezione diretta del premier. C’è o no il problema di un oligopolio dove la metà delle tv generaliste è in mano al leader storico della destra e ora, dopo la sua scomparsa, a un gruppo fortemente legato alla sua eredità politica? Si potrebbe obiettare che adesso che Berlusconi non c’è più, Mediaset potrebbe diventare un network meno politicizzato, più pluralista. Nonostante le scelte di Pier Silvio, noi pensiamo che non sarà così: Mediaset subirà solo un restyling che la renda più presentabile. Del resto resterebbe sempre l’impresa del fondatore di Forza Italia, e le radici non si recidono. Ma anche se ciò accadesse rimane il problema di un’impresa che da sola sarebbe in grado, con la sua potenza di fuoco, di condizionare pesantemente i cittadini, ancor di più in una competizione con voto diretto per la scelta del premier. Un gruppo che per giunta non risponde a nessuna commissione di vigilanza e che ha dimostrato più volte noncuranza per le sanzioni dell’Autorità, spesso solo annunciate e mai erogate come alle Politiche del 2022.
La conferma del lavoro politico di Mediaset a favore della destra e di Forza Italia sono da decenni i rendiconti Agcom sulle esposizioni dei partiti e dei loro esponenti nelle reti, testimonianza inoppugnabile di un legame mai interrotto. Ma senza andare molto indietro nel tempo, qui basti richiamare i dati messi a disposizione dal Garante per il mese di luglio. Ebbene il Tg5, il secondo organo d’informazione del Paese, è quello dove Forza Italia primeggia più che in tutti gli altri tg con il 17% del parlato, dove la Meloni raggiunge la percentuale monstre del 29% del tempo di parola, dove governo e maggioranza arrivano quasi al 70%. Nei programmi, stesso discorso: a Canale 5 Forza Italia è il partito più rappresentato e il 19% di parlato concesso ai suoi esponenti è un record tra le reti. Naturalmente c’è pure la Rai, di cui con le leggi vigenti il governo di turno può controllare una parte importante. Cosa succederebbe se domani dovessimo eleggere il premier con voto diretto dei cittadini? Se al governo ci fosse la destra, potrebbe disporre di almeno due tg pubblici, dei tre tg privati e della maggior parte dei talk pubblici e privati per ‘spingere’ il proprio candidato; se al governo ci fosse la sinistra potrebbe contare al massimo su parte della Rai e forse qualche talk di La7, ma non è detto, perché i giornalisti progressisti, a differenza di quelli di orientamento opposto, hanno sempre fatto le bucce alla loro parte di riferimento. Infine c’è un ultimo scenario: Mediaset passa di mano. Il nuovo proprietario a questo punto potrebbe essere tentato anch’egli di scendere in campo, o magari di scegliersi un candidato da sponsorizzare per l’elezione diretta; o, nella migliore ipotesi, potrebbe disporre di uno strumento micidiale (una ventina di canali tra generalisti, digitali e pay) per condizionare gravemente la politica. Premierato, sindaco d’Italia: ma di cosa parliamo?
P.s.: ci sarebbe piaciuto vedere Schlein e Conte, in occasione delle ultime nomine Rai, evitare il ballo delle sottopoltrone, rifiutandosi, come fece Bersani nel 2012, di sedere al tavolo, magari scegliendo la mobilitazione e la denuncia per stigmatizzare quanto stava accadendo.