Il Post, 7 settembre 2023
Evviva i pisolini
Nella commedia latina Rudens, scritta tra il III e il II secolo a.C. dal commediografo Tito Maccio Plauto, un pescatore chiamato Gripo dà una svolta allo sviluppo della trama quando recupera con la sua rete dal mare un baule prezioso. Benedice quel ritrovamento dicendo di aver «anteposto l’utile al sonno e al riposo», perché «chi volentieri dorme lo fa senza profitto e a suo svantaggio». Da questa commedia si ritiene abbia origine il modo di dire «Chi dorme non piglia pesci», che ha diversi equivalenti anche in altre lingue e sintetizza insieme ad altri proverbi il rapporto ambiguo che le persone hanno in molte culture con il sonno.
Da un lato il sonno è visto come un’alternativa a qualsiasi altra attività utile e quindi un impedimento. Chi dorme non può fare altro che dormire, appunto, e si espone non soltanto ai potenziali pericoli che ha intorno ma anche al giudizio delle persone: ragione per cui le occasioni in cui dormiamo in pubblico sono piuttosto limitate. Dall’altro lato il sonno è visto come una necessità e un beneficio per la salute e per tutte le altre attività che precede, come sintetizzato da altri modi di dire e proverbi (“dormirci sopra”, “la notte porta consiglio”). E questo spiega sia l’interesse scientifico sul sonno, sia le estese attenzioni che il sonno riceve sui media e tra molte persone impensierite dal non dormire bene o dal non dormire abbastanza.
Anche in questa seconda interpretazione tende quindi a prevalere, in molte culture occidentali, un’idea del sonno come inattività provvisoria e comunque funzionale a una successiva attività produttiva di qualche tipo. E questo rende il sonno più ammissibile, in un certo senso, e impedisce che sia visto come un segno di pigrizia e un momento di inattività fine a sé stesso. Ma ci sono regioni del mondo – in Asia, per esempio, ma anche in America centrale, in Sud America e in Europa meridionale – in cui dormire di giorno e in pubblico è parte di abitudini e pratiche collettive codificate, una convenzione generalmente sottratta al controllo e al giudizio di altre persone.
Il pisolino pomeridiano è una pratica storicamente comune in molti paesi – perlopiù quelli con un clima più caldo – del Mediterraneo, dell’America Latina, del Medio Oriente, della Cina continentale e del subcontinente indiano. E occupa una o più ore comprese di solito tra le 14 e le 17, che le persone utilizzano per dormire oppure per altre attività diverse dal lavoro. Diverse ricerche sul sonno e sulla sua storia evolutiva mostrano come la variabilità sia individuale che collettiva del tempo e dei modi in cui dormiamo sia determinata da complessi fattori biologici e genetici e da forti influenze ambientali e culturali. Come un’abitudine “sana” per una certa persona può non esserlo per un’altra, allo stesso modo l’abitudine di dormire in pubblico può essere molto diffusa in un certo paese e per niente in un altro.
Il giornalista statunitense Todd Pitock ha raccontato in un articolo sulla rivista Aeon un aneddoto a lui riferito da due statunitensi che alcuni mesi fa in viaggio di lavoro avevano partecipato a un meeting aziendale nella provincia del Sichuan, nel sud-ovest della Cina. Raggiunta la sede del meeting, un edificio di dieci piani in cui lavoravano centinaia di persone, i due statunitensi appresero che la discussione più importante della giornata sarebbe proseguita fino alle 11 per poi riprendere alle 14, dopo una pausa per il pranzo e per un pisolino.
Dopo aver pranzato in un’enorme sala mensa in un’altra struttura i due statunitensi tornarono nell’edificio in cui avevano trascorso la mattinata, riattraversando un ampio open space in cui avevano visto lavorare centinaia di ingegneri. Quando uscirono dall’ascensore trovarono le tapparelle abbassate, le luci e i computer spenti, e le persone che dormivano dappertutto nella penombra dell’ufficio: mancavano 45 minuti alla ripresa del meeting.
Per raggiungere le loro postazioni dovettero scavalcare alcune persone stese per terra, mentre altre erano sedute e piegate in avanti, con la faccia sulla scrivania, e altre ancora avevano fatto sparire i monitor e tutto il resto dalle scrivanie per usarle come letto. Alle 14 un gong segnalò la fine della pausa, e le persone riaprirono gli occhi, si risistemarono sulle scrivanie e si rimisero al lavoro. Il disagio provato dai due statunitensi in quella circostanza, secondo Pitock, è dovuto a un’interpretazione completamente diversa del sonno nella loro cultura: simile a quella di molti altri paesi occidentali.
Negli Stati Uniti «il sonno è una perdita di tempo, che ti priva della risorsa limitata del tempo cosciente e produttivo», ha scritto Pitock. I riposini sono visti come una roba da asilo nido e case di cura, e «non si va mai a letto con colleghi e colleghe, in nessun senso del termine». Se proprio è necessario dormire di giorno, si fa di nascosto. E quando una persona viene colta a dormire da un collega o una collega costruisce alibi come per difendersi da un’accusa, o chiama quel sonnellino «power nap [un breve pisolino rigenerante da 15-20 minuti], come se fosse davvero una sessione di allenamento in palestra».
In ambito scientifico le opinioni sui benefici del pisolino sono piuttosto eterogenee. In linea generale la maggior parte delle persone adulte ha bisogno di dormire tra le sette e le nove ore al giorno, indipendentemente da come sono distribuite nell’arco della giornata. Un breve pisolino da 15-20 minuti, nel pomeriggio o all’occorrenza, può essere utile a certe persone per migliorare le prestazioni cognitive, ma può interferire con la capacità di altre di dormire più a lungo di notte.
Alcuni studi nell’ambito della medicina del sonno suggeriscono inoltre che la necessità di un pisolino pomeridiano possa in determinati casi indicare una cattiva qualità del sonno notturno, dovuta a un possibile problema di salute. Le apnee notturne, per esempio, sono brevi interruzioni della respirazione di cui di solito non si ha coscienza né ricordo al mattino. Ma le persone che ne soffrono tendono a sentirsi affaticate da sveglie, pur avendo dormito più di sei ore la notte, e a sentire più spesso delle altre il bisogno di dormire durante il giorno.
Questa ambiguità del valore del sonnellino sul piano medico emerse, per esempio, in un ampio studio pubblicato nel 2019 sulla rivista European Heart Journal e condotto su 116.632 persone provenienti da 21 paesi. I risultati mostrarono che un sonnellino pomeridiano è correlato a un aumento del rischio di eventi cardiovascolari maggiori (infarto del miocardio, ictus e altre cause di morte per patologie cardiovascolari) nelle persone che dormono più di sei ore notturne. Ma non lo è in quelle che dormono meno di sei ore a notte e per le quali, presumibilmente, il sonnellino pomeridiano è un’integrazione alle ore notturne e non un segno di cattiva qualità del sonno.
Il pisolino pomeridiano assume un valore diverso anche a seconda del contesto culturale e sociale. Secondo le ricerche condotte fin dagli anni Duemila dall’antropologa statunitense Carol M. Worthman, del dipartimento di scienze sociali e comportamentali della Emory University ad Atlanta, i fattori culturali strutturano fortemente il sonno e spiegano in parte sia le variazioni che subisce nel corso della vita che il modo in cui si è evoluto in ambienti diversi.
In generale, secondo Worthman, il sonno è qualcosa di molto più elastico e sociale di quanto si tende a credere nelle moderne culture occidentali. E si è evoluto negli esseri umani in ambienti che presentavano una certa quantità di pericoli e hanno favorito diverse regolazioni del sonno e della vigilanza in funzione delle circostanze, variabili da luogo a luogo. In diverse ricerche da lei condotte in alcune comunità agropastorali provenienti dal Sud America, dall’Africa, dall’Asia centrale e sud-orientale e dal Pacifico, Worthman individuò nel bisogno di sicurezza durante il sonno un fattore comune.
Quando, dove, come e con chi le persone dormivano in quelle comunità era oggetto di una considerazione molto più radicata rispetto al giudizio di valore sul sonno, prevalente invece nelle culture occidentali. In tutti quei gruppi dormire insieme rifletteva il bisogno di condividere condizioni di sicurezza e calore. Negli ambienti destinati al sonno c’era sempre qualcuno sveglio, o che poteva svegliarsi facilmente in caso di pericolo, e spesso anche animali domestici e attività notturne di altre persone nei paraggi. Materassi, biancheria e cuscini erano pressoché inesistenti perché considerati un possibile veicolo di malattie e parassiti.
Nelle culture occidentali, secondo Worthman, la logica del «tempo è denaro» è un fattore più potente rispetto alla necessità di sicurezza costante e condivisa. E si adatta a un sistema di valori in cui la singola persona ha più indipendenza e più responsabilità della propria sicurezza individuale, e in cui è maggiore la tendenza ad attribuire un giudizio di valore al sonno – buono o cattivo, troppo o troppo poco – più o meno come succede per molti altri aspetti della vita quotidiana, dall’alimentazione al sesso all’esercizio fisico.
Alcune ipotesi suggeriscono che anche le variazioni individuali – il fatto che gli esseri umani abbiano un diverso cronotipo, e cioè un’inclinazione a dormire in momenti differenti della giornata – potrebbero essere il risultato dell’evoluzione dei modi in cui dormiamo. Negli studi sul sonno le persone adulte che hanno bisogno di andare a letto molto presto e di alzarsi altrettanto presto sono definite «allodole», e quelle che vanno a letto tardi e fanno fatica a risvegliarsi «civette». Secondo una stima citata da Matthew Walker, direttore del Center for Human Sleep Science alla University of California Berkeley, circa il 40 per cento della popolazione è composto da allodole e circa il 30 da civette, e il resto sta da qualche parte nel mezzo.
Secondo un’ipotesi formulata nel 1966 dallo psicologo statunitense Frederick Snyder, nota come ipotesi della sentinella, il sonno sfalsato tra i diversi tipi di persone sarebbe il risultato di un adattamento evolutivo. In contesti in cui le persone erano esposte ai pericoli ambientali e vulnerabili agli attacchi degli animali e di altre persone avere cronotipi diversi permetteva che ci fosse sempre qualcuno vigile e pronto a dare l’allarme se necessario. Uno studio di antropologia condotto nel 2017 sugli Hadza, un gruppo etnico di cacciatori-raccoglitori della Tanzania, mostrò che nel corso di 20 notti le persone del gruppo seguito e monitorato dai ricercatori avevano dormito tutte nello stesso momento soltanto per un periodo complessivo di 18 minuti.
Che il sonno sia diventato nelle culture occidentali un ambito in cui le persone esprimono giudizi morali è abbastanza evidente, ha scritto Pitock, anche se le origini di questa attitudine sono meno chiare. È piuttosto facile far vergognare qualcuno per le sue abitudini nel sonno, e può darsi che questo nostro atteggiamento sia il retaggio di un’epoca in cui dormire era un momento di particolare vulnerabilità e chiunque si discostasse dalle aspettative comuni metteva in pericolo tutta la comunità. Oppure il bisogno di essere vigili «ha lasciato il posto a un diverso tipo di vigilanza – la preoccupazione per la produttività – e una forma di ansia ne ha sostituito un’altra».