Corriere della Sera, 7 settembre 2023
Scrittura, regole da imparare e regole da infrangere
Impossibile poter scrivere in maniera adeguata senza conoscere a fondo le norme formali, che regolano ortografia, punteggiatura, analisi logica e quella del periodo. Un magma di pratiche consolidate nei secoli, ma in perenne mutamento, poiché la lingua è un organismo vivido e versatile. Con la determinata volontà di offrire ai lettori di qualsiasi età un ausilio nell’esprimersi meglio per iscritto e uno spirito critico per comprendere appieno il significato di tali consuetudini, esce oggi Grammatica, il secondo volume della nuova collana Lezioni di scrittura, in edicola unitamente al «Corriere della Sera», frutto della collaborazione con la Scuola Holden di Torino.
È un titolo che richiama subito alle difficoltà delle nozioni da mettere in pratica e inevitabilmente racchiude soggezione magari nel ricordo degli anni scolastici passati a studiare fin dai banchi delle elementari. Si assomma inoltre il costante terrore di compiere errori anche adesso nella formulazione di una frase oppure nello sbagliare un congiuntivo. Cosa che può accadere nell’abituale scrivere.
Questo titolo viene però accompagnato da un accattivante motto del tutto innovatore: rompere le regole, imparandole. Un aforisma, se vogliamo, concepito in senso ossimorico, perché lo scopo del volume è soprattutto quello di presentare le norme grammaticali in pillole, rivitalizzandone l’apprendimento tramite un approccio insolito e coinvolgente, proponendo nella seconda parte operativi esercizi da controllare via via alla fine della lettura. Uno studio senza docente in presenza, ma che prevede una serie di lezioni, a cui avvicinarsi con lo spirito dell’autodidatta.
Tuttavia ai tempi dei social e dell’e-taliano digitale ha un senso apprendere la punteggiatura com’era una volta? Numerosi professori (sorretti dai libri di testo) insegnano erroneamente ancora oggi che i segni di interpunzione servirebbero a segnalare esclusivamente la pausa nella lettura ad alta voce. Viceversa la punteggiatura è utilissima a suddividere il testo in gruppi strutturati soltanto nella lettura silenziosa. Dopo una lunga serie di studi la nota linguista Bice Mortara Garavelli (1931-2023) sottolineò l’importanza della «punteggiatura per l’occhio» e certamente non per dare la giusta intonazione alle frasi. La Grammatica della Scuola Holden mette in rilievo come il linguaggio non sia un organismo costituito da grafemi, semmai da suoni che vengono alla luce sulla pagina scritta.
L’analisi del periodo
Nei testi tradizionali procede per gerarchie di potere, anche nella terminologia
Ma in che modo nasce una regola grammaticale? Da una proposta accettata dalla maggioranza e attuata dall’uso quotidiano. Un cristallino esempio: a metà del secolo scorso il celebre linguista Bruno Migliorini (1896-1975) dettò le norme per la formazione del plurale delle parole che terminano in -cia e-gia (acacia, valigia, mancia, spiaggia), stabilendo che la i si mantenesse quando -cia e -gia sono preceduti da una vocale e che si eliminasse quando prima c’è una consonante. Di conseguenza, acacie, valigie, mance e spiagge. Un erroraccio per antonomasia quale «a me mi» può essere accettato? Occorre far bene attenzione, scrivono gli autori, spalancare occhi e orecchi. Ebbene sì – sorpresa!— lo strafalcione non c’è, «a me mi» è soltanto una dislocazione a sinistra, serve ad affermare una differenza, il contrasto tra ciò che ha valore per me e non per gli altri. Come se non bastasse, chi parla continua a usarlo e non erra.
È un reale pregio conoscere dettagliatamente l’analisi grammaticale? Non sempre è consigliabile, resta una questione irresoluta, dipende dalle tesi dei differenti grammatici, è quasi imporre di studiare diritto greco e latino a chi non desidera fare l’avvocato. In ogni caso sembra opportuno essere in grado di distinguere il sostantivo dal verbo, l’aggettivo dal pronome. E l’analisi logica? Intesa in senso classico si tratta di un esercizio privo di utilità o di un preciso scopo, se non quello che deriva dal piacere di farlo. Una verifica che solamente la didattica italiana impone, spesso con test preparati da anni e quindi precotti dal sadismo di alcuni prof. Negli altri Paesi si studia la sintassi, vale a dire distinguere la funzione delle unità minime di una frase (i sintagmi) per poi capire le diverse relazioni che le legano. Arriviamo allora all’analisi del periodo. Nelle grammatiche di impianto tradizionale pure la terminologia della sintassi del periodo (reggente, subordinate di gradi diversi, coordinate), procede per gerarchie e rapporti di potere. Un insito linguaggio patriarcale, che dovrebbe essere interamente demolito.
Esiste l’eventualità di togliere al congiuntivo quel prestigio sociale, di cui ha sempre usufruito? La risposta degli autori della Scuola Holden risulta chiarissima: è sufficiente escogitare frasi alternative che escludano i cosiddetti verba putandi, che nella nostra lingua arrivano direttamente dal latino, come credere, pensare, supporre. E voilà, il gioco è fatto, tanto da far perdere al congiuntivo l’aureola di icona e farlo tornare a semplice modo verbale da utilizzare come gli altri, quando davvero è necessario.