Corriere della Sera, 7 settembre 2023
Processo «storico» ai petrolieri per i crimini di guerra in Sudan
L’unica volta che dei dirigenti d’azienda finirono a processo per crimini di guerra fu a Norimberga. Sul banco degli imputati salirono allora gli uomini che avevano materialmente sostenuto lo sforzo bellico del Terzo Reich, a partire da Alfried Krupp, l’erede della dinastia dell’acciaio che aveva rifornito gli arsenali della Wehrmacht. Ora, a Stoccolma, vanno a processo con la medesima accusa due ex dirigenti di una compagnia petrolifera: Ian Lundin, svedese, e Alex Schneiter, cittadino svizzero.
Nel 1997 la Lundin Oil, a capo di un consorzio, siglò col dittatore sudanese Omar Bashir un contratto per l’esplorazione di un’area (il «Blocco 5A») nella parte meridionale del Paese. Del gruppo di società faceva parte anche la Sudapet Ltd., di proprietà del regime di Khartoum. Due anni dopo, quando nel Blocco fu trovato il petrolio, la Lundin avrebbe stretto un accordo di natura diversa.
L’accusa sostiene che, in cambio del pagamento di alcune «commissioni» e di una fetta dei profitti a Bashir, la multinazionale ottenne la protezione e il supporto logistico delle forze armate e delle milizie ad esse legate. Di fatto, per agevolare l’estrazione del greggio i militari fecero piazza pulita dei civili. I metodi furono brutali: per quattro anni il regime «attaccò sistematica-mente la popolazione». Nelle 80mila pagine di atti prodotte in più di un decennio di indagini – fu un rapporto pubblicato nel 2010 dalla ong olandese PAX a spingere la corte ad avviarle – si parla di «bombardamenti aerei e persone uccise con le mitragliatrici dagli elicotteri»; e ancora, «rapimenti, saccheggi, interi villaggi e campi coltivati bruciati». La Lundin Oil avrebbe anche chiesto la costruzione di strade in un’area devastata da una lunga guerra civile.
Accuse che il miliardario Lundin, allora amministra-tore delegato, ha definito «completamente false» davanti ai giornalisti che martedì hanno seguito la prima delle 220 udienze di quello che si annuncia come il «processo del secolo» in Svezia. Le premesse ci sono tutte. Nei prossimi due anni – la sentenza sarà pronunciata all’inizio del 2026: sarà il più lungo processo nella storia del Paese – saranno chiamate a testimoniare 61 persone tra le quali ex dipendenti della società, inviati dell’Onu e l’ex primo ministro Carl Bildt.
Bildt, che sedette nel consiglio d’amministrazione della Lundin dal 2001 al 2006 e per questo fu interrogato nel 2015, ha espresso le sue perplessità al quotidiano Dagens Nyheter: «Mi sembra piuttosto bizzarro che ci sia voluto un quarto di secolo per arrivare a qualcosa».
La realtà è che il caso è estremamente delicato. L’obiettivo dei procuratori è dimostrare la complicità di Lundin e Schneiter (all’epoca vicepresidente), ovvero «il fatto che essi abbiano fatto queste richieste pur comprendendo, o essendo indifferenti, al fatto che i militari e le milizie portassero avanti quella guerra in un modo vietato dal diritto internazionale». La pena massima per i complici di crimini di guerra è l’ergastolo. L’accusa ha chiesto anche che alla Lundin Oil – diventata nel 2022 Orrön Energy dopo essere stata acquisita da una società norvegese – vengano confiscati 2,4 miliardi di corone (202 milioni di euro): è la cifra che la compagnia ottenne nel 2003 quando vendette le quote dei suoi affari in Sudan.
Nel frattempo, il Blocco 5A è diventato territorio di un nuovo Stato, il Sud Sudan indipendente dal 2011. E Bashir, rovesciato nel 2019 dopo trent’anni al potere, è ricercato dal Tribunale internazionale dell’Aia per crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità.