Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  settembre 07 Giovedì calendario

Il mondo di Patrizia Cavalli

Nelle Giornate degli autori della Mostra del cinema il docufilm di Céline Sciamma e l’ultima intervista rilasciata a Benini e Piccolo raccontano la grande poetessa
di Chiara Valerio
This Is How a child Becomes a Poet di Céline Sciamma è un breve e bellissimo film di una grande regista sulla casa di Patrizia Cavalli, poeta, morta il giorno del solstizio d’estate dell’anno 2022. Data che, a conoscere l’opera di Cavalli, non stupisce essendo una delle sue più belle traduzioni proprio Sogno di una notte di mezza estate(inShakespeare in scena, nottetempo, 2016). E non deve stupire perché il mestiere del poeta è l’esattezza. La parola è una e solo quella. E una volta trovata, sta lì, a disposizione sua e nostra. È Chiara Civello, cantante, che chiede a Sciamma di filmare la casa di Patrizia Cavalli prima che sia scomposta e svuotata. E questo è l’abbrivo, This is How a Question Becomes a Movie. Ci sarebbero molte cose da dire su come Sciamma ha deciso di rispondere alla richiesta di Civello ma vorrei soffermarmi ancora sull’esattezza. La casa di Patrizia Cavalli può essere considerata, senza sollevare questioni di filologia, nel novero delle opere di Patrizia Cavalli, perché l’esattezza nella parola è stata esercitata giorno per giorno nelle stanze della casa di Via del Biscione. Nei mobili, nei cuscini, nei colori, nelle opere incerte che coprivano parte dei muri della cucina, nelle tazze tutte diverse, nei regali di amici artisti tra cui Luigi Ontani, Ducrot (Giuseppe e Isabella), Titina Maselli, Nunzio, nelle foto di Patrizia e degli amici (si intravede, a un certo punto, Susan Sontag), nelle tavole imbandite e abbandonate, nei marmetti policromi e i fossili che Cavalli raccoglieva, nei piatti, nelle posate, nei candelabri e nelle stoffe, nelle incerate e nei colori spessi dei pavimenti, nella foto di Kim Novak che è stato tema e destinataria della prima poesia di Cavalli cinquenne, nella luce che filtra in una casa arredata in modo tale da mantenere la proporzione nell’eccesso. La proporzione nel vuoto è facile, e se non facile, è immaginabile, ma per la proporzione nel pieno, di più, nell’eccesso, che ci vuole? Così, Celine Sciamma riesce in un miracolo, commovente perché non sentimentale, scandito dal ritmo di Kim Novak che batte le mani mentre scende le scale nel film Picni c (1955). Filmando la fine, la casa nella sua forma ultima mai più modificabile perché Cavalli è morta, Sciamma racconta l’inizio, di Cavalli e oltre Cavalli, di un poeta, le inquadrature sulle stanze durano abbastanza perché gli oggetti diventino percorsi, geometrie e ripetizioni, e dunque gesti, e dunque senso. Il senso è ritmo. Chiara Civello, porta a compimento, con altri versi che reggano la metrica, una canzone della quale Cavalli aveva scritto le prime due strofe e la melodia. Come ne Le metamorfosi,i corpi mutano in nuove
forme.
Le mie poesie non cambieranno il mondo, oltre a essere il titolo della prima raccolta di poesie di Patrizia Cavalli (Einaudi, 1974) è il titolo che Annalena Benini e Francesco Piccolo hanno scelto per il documentario su Patrizia Cavalli. È un documentario in forma di intervista, anzi di interviste, perché a quella di Benini e Piccolo – ultima intervista a Cavalli – se ne intrecciano altre, alcune molto note, altre meno, e letture pubbliche, alcune molto note, altre meno, e da questo caleidoscopio i cui elementi sono tutti e soli Patrizia Cavalli medesima – tranne la breve e bellissima intrusione di Diane Kelder, storica dell’arte statunitense e moglie di Cavalli – nelle varie età che ha abitato, e nelle quali Cavalli è sempre riuscita a somigliarsi, affiora l’immagine di una donna che ha scritto d’amore, parlando d’odio, di quiete componendo versi di fastidi fisiologici, di parole che soccorrono il giudizio, di lacrime per qualcuno o qualcosa conservate per piangere qualcun altro e qualcos’altro, che ha scelto la poesia per pigrizia, e che ha usato le parole per capire il mondo e non per definirsi. Di definizioni Cavalli non aveva bisogno. Attraverso l’intreccio, le domande, i lievi rimbrotti che Cavalli fa a Piccolo e a Benini e che i due hanno avuto la grazia di lasciare, insieme a sospiri e sorrisi, a beneficio di chi guarda, per sottolineare quanto l’intelligenza e la grazia, l’affetto e l’accoglienza possano essere spinosi, si completa il ritratto di una delle più grandi poetesse – valga qui il femminile sovraesteso che Cavalli, va detto, avrebbe odiato – del Novecento italiano.
Che Patrizia Cavalli, per usare lo stesso esempio che Einstein fa per illustrare la relatività, sia stata in vita un oggetto gravitazionale capace di attrarre gli altri corpi a sé – l’esempio di Einstein è il lenzuolo tenuto ai quattro capi e sul quale viene appoggiata un’arancia, il lenzuolo si avvalla così che gli altri mandarini posti sul lenzuolo rotolano verso l’arancia – non c’era dubbio, dietro tutti gli oggetti che vediamo nel film di Sciamma ci sono persone e gesti, ma che lo sia pure in morte, grazie a questi due lavori presentati nelle Giornate degli autori della Mostra internazionale d’arte cinematografica alla sua ottantesima edizione, è la conferma che, in effetti, la massa è energia, e dunque l’attrazione del corpo di Cavalli sia ora nelle sue parole.