la Repubblica, 7 settembre 2023
L’embrione artificiale per studiare da vicino l’inizio della vita
La chiamano la scatola nera della vita: quei primi giorni dopo la fecondazione della cui biologia sappiamo poco o nulla e in cui si perde circa un embrione su due. Osservare cosa accade direttamente nell’utero è impossibile. Per poter mettere degli embrioni umani sotto alla lente di un microscopio gli scienziati li hanno allora creati in laboratorio.
Su Nature ieri un’équipe israeliana dell’Istituto scientifico Weizmann a Rehovot ha pubblicato il suo esperimento: non il primo della serie (i rivali di Cambridge avevano annunciato un risultato simile a giugno) ma pur sempre importante. «La nostra capacità di studiare lo sviluppo umano subito dopo l’impianto nell’utero è molto limitata. Ci sono difficoltà tecniche, ma anche etiche»: così i ricercatori guidati da Jacob Hanna hanno spiegato la ragione dei loro esperimenti.
Più che embrioni, in realtà gli scienziati hanno creato degli avatar di embrione, diversi da quelli naturali in alcuni aspetti cruciali. I puntini grandi mezzo millimetro, per cominciare, non si sono sviluppati da ovulo e spermatozoo, ma partendo da cellule staminali. Sono vissuti due settimane in provetta, lontani dall’utero, nutriti con brodi di coltura ad hoc. Dopo 14 giorni – così impone la legge in quasi tutti i paesi del mondo e così raccomanda la Società per la ricerca sulle cellule staminali – sono stati distrutti dagli stessi ricercatori. Messi a contatto con un test per la gravidanza, però, hanno dato una bella striscia positiva: segno che la produzione degli ormoni caratteristica della gravidanza era iniziata normalmente.
«Non è così che nasceranno i bambini. Continueremo a farli col vecchio metodo, l’unico che funziona» rassicura Giuseppe Novelli, genetista dell’università di Roma Tor Vergata. «Gli avatar sono destinati a perdersi, non hanno possibilità di crescere a lungo. Lo sviluppo di un embrione partito dalle cellule staminali è assai diverso rispetto a quello partito da ovulo e spermatozoo. Ci sono troppi aspetti che in laboratorio ancora non controlliamo». Il tasso di successo degli esperimenti di Rehovot è stato in effetti assai basso: solo un tentativo su cento ha portato a un avatar di embrione con una forma e un’architettura simile a quella naturale.
L’esperimento alla fine è riuscito perché le cellule staminali sono malleabili: mettendole nei giusti terreni di coltura è possibile trasformarle in tutti i diversi tessutidel corpo. Con loro gli scienziati creano da tempo non solo avatar di embrione, ma organoidi – cioè organi in miniatura cresciuti in provetta – di polmone, cuore, reni e perfino cervello. Anche lì, però, la capacità di sviluppo è limitata. «Da noi studiamo organoidi di polmone» spiega Novelli. «Ma quel che otteniamo è solo un abbozzo dell’organo naturale, cui mancano molte strutture importanti».
Gli stessi limiti si incontrano oggi con gli avatar di embrione. «Il gruppo israeliano – ripercorre il genetista – è partito da staminali reperibili in commercio. Poi, con i giusti fattori di crescita, è riuscito a trasformarle in quattro tipi di cellule che formano l’embrione. Le ha messe insieme e loro, ma solo nell’1% dei casi, si sono disposte e organizzate come in un embrione naturale. È come se avessero creato un pantalone, una camicia e un cappello, li avessero mescolati insieme e si siano visti comparire davanti agli occhi un manichino». Il successo dei primi esperimenti ha messo un gran fervore a questo settore della biologia. L’obiettivo di poter sbirciare la scatola nera della vita già spinge gli scienziati a chiedere regole nuove. «La Società internazionale di embriologia auspica di poter studiare gli avatar di embrione anche oltre i 14 giorni» spiega Novelli. Altri gruppi chiedono invece regole più stringenti, ricordando che un avatar di embrione di scimmia in Cina è stato impiantato nell’utero di una madre (la gravidanza è effettivamente terminata con un aborto) e uno di topolino, l’anno scorso, è cresciuto fino ad avere un cuore che batteva in provetta.