La Stampa, 7 settembre 2023
Tuffarsi a Parigi
«Il vero parigino non ama Parigi, ma non può vivere altrove», scriveva nel 19imo secolo Alphonse Karr, mostrando con il solito umorismo di conoscere alla perfezione i suoi concittadini. Chissà se anche oggi lo scrittore riuscirebbe a cogliere con la stessa lucidità l’animo degli abitanti della Ville Lumière. Più difficile di questi tempi, in una città sempre più multietnica e globalizzata, dove i ritmi metropolitani si sono fatti ormai sfrenati e di spazio per le interazioni sociale ce n’è sempre di meno.
A mancare sono soprattutto quelli che una volta erano i punti di riferimento. I tipici bistrot del centro la maggior parte delle volte sono rifugi per turisti, per non parlare dei lungosenna, invaso dagli amanti del jogging e, quando il tempo lo permette, dai giovani studenti che si ritrovano per un picnic.
Ma allora, dove è possibile trovare gli ultimi scampoli della pariginità utili a capire meglio gli spiriti transalpini? Secondo il New York Times, i luoghi ideali dove scoprire la “psiche francese” sono le piscine comunali. Veri e propri palcoscenici, che offrono allo spettatore i migliori esempi del vivere à la française, spesso in cornici suggestive. Come la piscina galleggiante Josephine Baker, attraccata sulle rive della Senna all’altezza del 13imo arrondissement, non troppo lontana da quella nel quartiere della Buttes-aux-Cailles, installata dentro un edificio realizzato in Art nouveau un secolo fa.
Il quotidiano newyorchese per il suo safari alla ricerca del francese perduto ne ha provata qualcuna, tra cui la Piscine des Amiraux, a nord della città, in uno dei quartieri più multietnici. A colpire gli attenti occhi anglosassoni, forse troppo puritani per i modi parigini, sono state soprattutto le docce miste, aperte a uomini e donne in base ad una legge del 2006. Un esempio, però, di come il mix sociale, insieme a quello di età e genere, si possa trovare a Parigi quando si vanno a fare quattro bracciate, nel modo più informale possibile. Ma anche in vasca, dove regna l’anarchia visto il sovraffollamento delle corsie. Raramente si rispettano le indicazioni che suddividono le piste in base ai più o meno veloci.
«I francesi portano la loro devozione alla libertà in acqua con loro», scrive il giornale statunitese, che nota il paradosso in un Paese «conosciuto per la burocrazia e le regole». Quello dei Lumi razionalisti, ma anche della Rivoluzione che portò all’abolizione della monarchia con tutti i suoi privilegi. Così, complici soprattutto i costi ridotti, oggi il broker si ritrova a nuotare accanto all’operaio, che cerca di non passare sopra i figli della casalinga immigrata di terza o quarta generazione. Un mèlange che si ritrova anche nelle competenze, tra chi va come un razzo e chi, invece, preferisce godersi il momento, rilassandosi in acqua.
Una sorta di mondo parallelo, all’interno di un universo dove i limiti sociali sono ben definiti e le disuguaglianze tra classi covano tensioni esplose più volte negli ultimi anni, tra proteste dei gilet gialli e rivolte in banlieue. «Siamo un mix di contraddizioni», riassume la giornalista Marine Schneck, un’artista che insieme alla sorella scrittrice Colombe ha realizzato il libro “Parigi a nuoto”. Una sorta di guida alle 50 piscine municipali presenti nella capitale. Le cause, però, sono anche storiche, visto che le prime piscine furono costruite alla fine del 19esimo secolo più come centri di relax e benessere che per fare sport. Un’eredità apparentemente rimasta, nonostante qualche primatista della domenica, che scambia la nuotata con una competizione olimpica mettendo i pericolo i “colleghi”. Poco importa: il fattore che più conta è assistere a un momento quasi intimo, dove le barriere si allentano e ognuno cerca di rilassarsi a modo proprio.
I limiti a questo mix non mancano, come dimostra la polemica sul burkini, il costume da bagno femminile, usato da alcune donne musulmane e al centro di polemiche. Certo è che l’incontro tra diverse monadi sociali difficilmente sfocia nell’interazione o, ancora più improbabile, nell’approfondimento. Un Bonjour nel migliore dei casi, anche se la norma si limita a sguardi e qualche sorriso accennato. Del resto, si parla pur sempre di parigini. —