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 2023  settembre 07 Giovedì calendario

L’angoscia di non essere nessuno

C’è un fantasma che s’aggira per il mondo e fa una dannata paura a milioni e milioni di persone: è l’angoscia di non essere nessuno, di non essere notati, di essere dimenticati, di non lasciare traccia. «Tutti lì a studiare Leopardi, ancora un paio di secoli dopo, e nessuno si ricorderà di me, salvo gli amici intimi. Tutti a ricordare commuovendosi un corridore automobilistico come Ayrton Senna, ed io, che ho fatto questo e quello, fra un po’ di tempo sarà come non fossi mai esistito».
Molta gente combatte questo sentimento nel modo più ingenuo. Cominciano i ragazzi di dieci anni, che si credono «audaci» mettendo la visiera del berretto sulla nuca. Poi ci sono le ragazze in minigonna, anche se spesso un sentimento di pietà dovrebbe consigliare di coprire quelle gambe; i ragazzi con i capelli rasta rapati a zero; i contestatori di qualunque cosa; i «violenti contro la società ingiusta» (per esempio perché non gli fornisce la droga gratis); quelli che scrivono poesie sgrammaticate; quelli che suonano la chitarra, senza nemmeno sospettare che quello strumento richiede dieci anni di conservatorio; quelli che scrivono canzoni; perfino quelli che scrivono romanzi senza mai averne letto uno e sarebbero in imbarazzo se gli chiedessero che cos’è un futuro anteriore. Tutta una massa di sbandati che si dimenano per essere «uno» speciale e finiscono con l’essere «uno dei tanti». Perché ad ognuna delle categorie descritte si iscrivono in milioni.
Il bello è che la molla di tanta stupidità è tutt’altro che stupida. È quella che nell’Ecclesiaste è definita vanitas vanitatum et omnia vanitas, vanità delle vanità, e tutto è vanità. È il senso dell’angoscia esistenzialista. È il sentirsi orfani di Dio e di un destino metafisico. È scoprire che questa vita non ha un senso, e figurarsi la morte. E queste chiare prese di visione o creano un vero, profondo, nobile sconforto, oppure conducono alla saggia e sorridente accettazione della vita com’è. La disperazione o la saggezza.
Come ha scritto Montaigne (ed ha ridetto in questi giorni Woody Allen a Venezia), dal momento che non c’è modo di evitare la morte, non rimane che vivere, e quando si dovrà morire si morirà. Accettando che questo breve soggiorno non doveva servire a niente e a niente è servito.
La realtà non è finalistica. Il teatro non è stato messo su per recitare un dramma, il teatro si è popolato di esseri viventi per ragioni oggettive: è pieno di uomini ma avrebbe potuto essere pieno, con uguale senso e uguale nobiltà, di scarafaggi. E se non contano mille scarafaggi, figurarsi un singolo scarafaggio.
Ma – direbbe uno che ragiona come Blaise Pascal – sarà pure vero che sono un misero essere insignificante fra un milione di altri esseri insignificanti, nondimeno io sento, sono vivo, ho bisogno di dare amore e di riceverne. Se non ci fossi io, per chi sarebbe tanto bello, il tramonto? Povero illuso.
Per la specie che ci ha creati, la bellezza dei nostri sentimenti e dei nostri pensieri non ha assolutamente nessun valore. Non serve a niente, puramente e semplicemente. Per la natura è inutile che una donna sia intelligente, è meglio se ha provocanti caratteristiche femminili, perché questo assicurerà la sopravvivenza della specie. E infatti i maschi (superficiali, ma in linea con l’istinto) non distinguono le donne fra intelligenti e stupide ma fra belle e brutte. Solo la riproduzione importa, per la natura. Se dopo i cinquanta gli esseri umani cominciano ad avere acciacchi e ad essere sempre più brutti, è perché a quell’età o si sono già riprodotti, e dunque che campano a fare?, o cominciano a non avere più la possibilità di riprodursi, e dunque che campano a fare?
Purtroppo non ci salviamo da queste considerazioni nemmeno con i capelli rasta. E, quanto a Leopardi, anche ad essere ricordato, non è meno morto di qualunque suo contemporaneo. Lottare contro la morte, contro l’insignificanza, contro l’anonimato, contro l’oblio è del tutto vano. L’unica cosa positiva che possiamo fare, è vivere dolcemente, con piccole gioie e piccole distrazioni, se possibile dando e ricevendo amore.
E non importa se poi tutto finisce. Perché nulla importa. Nulla, nulla, nulla.