il Fatto Quotidiano, 7 settembre 2023
Reportage da Caivano, tra stupri, incesti e bambine vendute o che si vendono
Inviata a Caivano-Afragola. C’è chi si alza all’alba per andare a Roma a lavorare (è più facile arrivare lì che a Napoli, nonostante disti solo 14 chilometri) e si attacca, per combattere l’insonnia, al 112 e al 113, senza risposta. E c’è invece chi a quell’ora si sta ritirando, dopo aver staccato dal turno e attraversato l’Asse mediano e tutti quegli svincoli che si perdono nel nero della campagna. Così vede spuntare, vicino a un capannone che vende cocomeri d’estate, due bimbe di 9-10 anni, anche se bimbe non sembrano esserlo da tempo. “È notte, mamma e papà lo sanno che state qui?”, dice Raffaele, dal finestrino dell’auto. “No”, rispondono. “Ma stu scem’ che vo’…”, ridendo tra loro. “E allora tornatevene a casa che è tardi”, rintuzza Raffaele. Le due scappano. Raffaele le segue con la coda dell’occhio, fino a quando non le vede riapparire sotto un lampione. Lì, due o tre motorini SH 300, senza il quale qui non sei niente, hanno preso a girare loro intorno, come le api col miele.
Le strade che separano i 29 blocchi di cemento armato che è difficile chiamare case, non hanno un nome: tutto è “via Salicelle”. Dal rione Salicelle di Afragola, il Parco Verde di Caivano dista quattro chilometri. Tutti quartieri figli di quella sciagurata legge 219, post sisma 1980, con cui arrivarono miliardi per costruire alloggi “temporanei” per 300mila terremotati che, da Napoli, vennero esiliati in questo squarcio di terra tolto alle campagne. Qui abitano circa 8mila persone. I figli si fanno presto, in genere a 15 anni, in media 3 o 4, in un caso fino a 17. E spesso – come a Caivano – molti sono figli dei nonni, perché “si salta un giro”, nel rispetto della legge dello “ius primae noctis dei padri con le figlie”, come disse tempo fa il parroco, don Ciro Nazzaro.
Tutti sanno, da queste parti. Tutti sanno e fingono di non vedere, a differenza di Raffaele (e di un coraggioso cronista locale, Francesco Celardo, che scrive per missione, visto che non ha un contratto e viene pagato ogni 10 mesi a pezzo). Eppure la voce che si rincorre è sempre la stessa: “Quando c’erano Loro, chist’ cos’ co’i criatur’ non succedevano”. Loro sono i Moccia, non i signori di queste terre ma i “padroni”. Che, da lontano, da veri esponenti di una borghesia criminale più interessata agli appalti milionari e ai palazzi bene di Roma che a sporcarsi le mani con la droga, hanno tenuto l’ordine in questi quartieri-ghetto (e serbatoi di voti), tra Afragola e Caivano. Per anni. Tutto grazie a una regola tramandata ai vari reggenti-manager della loro holding di Stato: i proventi di droga, usura ed estorsioni prima di tutto dovevano andare al sostegno alle famiglie di chi è libero tanto quanto di chi è detenuto, poi si pensa al guadagno. “Questa è la lista che mi ha dato lui…”, diceva in un’intercettazione il reggente di uno dei due sotto-clan delle Salicelle, Mariano Barbato. La lista è quella per la cosiddetta “mesata”, il reddito di cittadinanza dell’altro Stato, ben più consistente di quello cancellato dal governo Meloni, se consideriamo che una sola piazza di spaccio al Parco Verde “fattura” un milione e mezzo di euro l’anno. Ecco perché da queste parti non sono nate famiglie egemoni. Perché la fame e le ambizioni vengono saziate sul nascere.
In questo pezzo di Italia dove non c’è un bus che ti possa portare a Napoli o a Casoria o anche solo a prendere un caffè al bar, c’è una cosa che funziona come fossimo in Svizzera. È la droga. E quando il Parco Verde si “spegne” (per troppa pressione mediatica o per i maxi-blitz), le Salicelle si “accendono”. È sempre stato così. Prima, quando la cocaina era di primissimo taglio e arrivava dagli Amato-Pagano, ora anche con l’eroina e i suoi scarti da fumare, il “cobret” lo chiamano (nella variante napoletana, si mescola con amuchina o urina per aumentare lo sballo). Per lo Stato, basterebbe spostare lo sguardo. Per l’altro Stato, basta mantenere il buio. E spostare il welfare criminale qualche chilometro più in là.
Tutto si tiene. La camorra, da queste parti, si è mangiata pezzo dopo pezzo i colori delle cose. Preceduta da uno Stato che quarant’anni fa ha deciso che venissero su, al posto dei campi, agglomerati di cemento misto ad amianto. Lo stesso Stato che, oggi, rischia di veder saltare 25 milioni di euro di “Piano di recupero urbano” per la riqualificazione delle Salicelle, perché il Comune di Afragola “ha scoperto” seimila abusi edilizi non dichiarati. È solo grigio, qui intorno. Senza uno scivolo, un’altalena. Così i bambini – maschi o femmine che siano – scendono dal box dell’infanzia direttamente alla strada. E hanno come unico diktat quello di trovare il loro posto nel mondo, possibilmente in formato TikTok (e soldi&pistole&sesso tirano molto, da quelle parti). “Difficile immaginarsi, quando tutto ti sembra precluso”, spiega Luca Blindo, rapper 30enne delle Salicelle. Luca si è salvato grazie alla solidità di un padre che faceva un lavoro onesto, il camionista, e alla passione per la musica “che mi ha dato una speranza”: “Io qui parto da meno 2, e ora posso forse dire che sono a zero” (l’ultimo disco di Luca, Giungla d’asfalto, uscirà a giorni). Per migliaia di ragazzi, l’unico ascensore sociale, come ripete Isaia Sales, è la camorra. E così, mentre a Caivano lo Stato mostra i muscoli perché “la bonifica è iniziata” (cit. Giorgia Meloni), alle Salicelle si diffonde il nuovo “bando di concorso”: cercansi rider della droga, under 14, SH 300-munito, snello e con guida agile, per mille euro a settimana. “È come se ci fosse una tacita spartizione del territorio, tra Stato e camorra, una sorta di ‘lascia campare perché così deve andare’”, dice con un peso nella voce l’ex Garante regionale per l’Infanzia, Cesare Romano. È suo il rapporto del 2016 in cui, su 45 Comuni campani, sono emersi 155 casi di abusi sui minori e 42 incesti: quasi tutti nel rione Salicelle di Afragola, Parco Verde di Caivano e Madonnelle ad Acerra. “Sa quali interventi sono stati programmati dopo quel rapporto? Nessuno. Lo Stato si è semplicemente girato dall’altra parte”.
Sono numeri sottostimati, perché come spiega l’attuale Garante, Giuseppe Scialla, “mancano i dati, pochissime le denunce. E le strategie di contrasto, dalla videosorveglianza alla militarizzazione, sono tutti ‘strumenti del giorno dopo’, mentre noi dobbiamo prevenire il disagio, creando anche dei punti di ascolto sui social, perché pure le due bimbe di Caivano passavano ore e ore sul cellulare…”.
Secondo l’ultima indagine nazionale sul maltrattamento infantile della Fondazione Cesvi, la Campania è la regione con più alta criticità in tutti i fattori di rischio. Gli adulti, nella maggior parte dei casi, qui sono fantasmi. I padri detenuti, o morti. Le madri alcolizzate, o dipendenti dal gioco. E se va bene, e c’è chi lavora, campare è un’enorme fatica. Così si rincorrono le voci su madri che liberano gli appartamenti perché le figlie “hanno appuntamenti”. Per una decina di euro o, per una macchina o un motorino, se l’ospite è importante. “Quando ci servono i soldi ci mandano sotto la scala a giocare con gli zii”: era il 2009 e vennero arrestati alle Salicelle convivente della madre, zio e tre vicini di casa che abusavano di due cuginette di 8 e 10 anni.
Due cuginette, proprio come N. e M., le due bambine stuprate al Parco Verde.
Da questi parti, in quest’epoca solitaria e feroce, crescono veloci pure le bambine. Basta guardare i video che in questi giorni rimbalzano su TikTok da Caivano alle Salicelle, anche quelli con N. e M. E le bambine sono vittime due volte. Perché tutto si può vendere in quartieri così. Anche la vita. Come delle moderne Partenope, sirene con le sembianze di vergini che si suicidano lanciandosi in mare. Nell’insensibilità al loro canto, il loro corpo viene trasportato dalle onde. Ma tanto siete, siamo lontani. In paesi estranei.