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 2023  settembre 06 Mercoledì calendario

Intervista a David Sedaris, l’umorista capace di ridere anche della morte di suo padre

Quando c’è di mezzo David Sedaris, autore americano campione di humor nero e freddure, bisogna respirare prima di offendersi. Gioca sul paradosso Sedaris, un’arte che sta passando di moda. Sessantasei anni, una vita divisa tra la campagna inglese e New York (quando non è in tour), arriva a Mantova tra gli ospiti più attesi e apre oggi il Festivaletteratura con quello che è diventato il più insidioso dei temi: la risata. Fino a che punto ci si può spingere? Per Sedaris molto in là: nei suoi libri, dove spesso ripercorre per sketch eventi della sua vita dissacrando tutto ciò che tocca con un’eleganza velenosa, non risparmia nessuno, neppure il padre moribondo. A poche ore dall’exploit mantovano lo abbiamo intervistato, anche perché è di recente uscito per Mondadori Cuor contento il ciel l’aiuta, raccolta di racconti dispettosissimi – mai disumani però – usciti sulle più importanti riviste americane, a cominciare dal New Yorker.
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Che cosa ha pensato di fronte alla foto segnaletica di Trump?

«Beh, era ora. Detto questo, non avrà alcun effetto sulla sua base elettorale. Per loro è tutta una caccia alle streghe, lui è un uomo innocente perseguitato dallo Stato profondo. I suoi sostenitori crederanno a qualsiasi cosa dica loro. È piuttosto incredibile».
Come vede l’America di oggi?
«Bill Maher, un comico maestro di satira politica che mi piace molto, nel 2015 aveva previsto che se Trump fosse stato eletto, il simbolo dell’America sarebbe passato da un’aquila a una tartaruga».
Una tartaruga?
«Una tartaruga che fa sesso con una scarpa (dunque così confusa da scambiare una scarpa per un’altra tartaruga, ndr).

Ora però Biden è presidente.
«Naturalmente, ma Trump ha cambiato radicalmente la natura del discorso politico in America, l’ha insozzato, l’ha reso più stupido e ha aumentato la violenza».
In una delle storielle familiari del libro si fa convincere da sua sorella ad andare al poligono di tiro. Siete nel North Carolina, il suo paese d’origine.
«Nella casa in cui sono cresciuto non ci sono mai state pistole, e nessuno della mia famiglia ne possiede una anche adesso. Non ho mai capito perché una persona comune possa aver bisogno di un’arma da guerra. Vediamo chi riderà quando arriverà l’apocalisse degli zombie».
In Inghilterra le armi non hanno lo stesso successo. Si sente più inglese o americano?
«Mah se la mettiamo da questa angolazione, allora sono nella squadra Inghilterra. Qui i genitori non devono preoccuparsi che i loro figli vengano uccisi a scuola, ma solo accoltellati».
Armi, razzismo, nuove ondate omofobiche. Che sta succedendo?
«Ho 66 anni, quindi l’omofobia di oggi non mi colpisce più di tanto. Sono cresciuto in un’epoca e in un luogo in cui non ci si sentiva sicuri nemmeno entrando in un ristorante con un altro uomo. Non c’erano persone apertamente gay in televisione, in politica, nei libri delle biblioteche. Rispetto al mondo in cui sono nato, persino l’attuale Arabia Saudita sembra illuminata».
Dunque oggi si sente tranquillo?
«Normale. Ordinario. Niente di particolare».
Da giovane ha raccontato e scritto di aver fatto uso di droghe, ora che stile di vita ha?
«Ho dovuto smettere di bere e di assumere droghe. Facevo entrambe le cose troppo spesso e stavano interferendo con la mia vita. Sono passati più di vent’anni e sono ancora felice e grato di svegliarmi sereno».
Il successo è una droga?
«Non so se sia una droga, quanto piuttosto un balsamo. Ci si abitua a essere trattati bene senza una vera ragione».
E quando finirà?
«Mi trasferirò in Giappone, dove nessuno saprà mai chi sono, e sarò trattato bene solo perché sono vecchio».
Il politicamente corretto le va stretto?
«Nonostante il termine sia superato, la pratica è in pieno vigore. L’ho sempre trovata fastidiosa. Si tratta di offendersi per conto di qualcun altro, a cui probabilmente non frega nulla».
Non ha paura di fare il gioco della destra anti-woke?
«Sono assurde le cose che oggi ti fanno licenziare da un lavoro. È una faccenda che ha superato il limite del ridicolo e credo che la destra sia astuta nel trarne vantaggio, o almeno nel farsene gioco».
Si può ridere di tutto?
«Non vedo perché no. Il trucco sta nell’aspettare abbastanza a lungo».
Nel libro ride anche della morte di suo padre.
«Ecco, nel suo caso il periodo di gestazione è stato di circa venti minuti».
Descrive un padre poco affettuoso nei suoi confronti e pure piuttosto tirchio.
«Sono molto onesto quando scrivo di mio padre. La sua anaffettività non è in fondo una questione importante: era un tratto della sua generazione. E l’avarizia è un bersaglio lecito».
Niente che la imbarazzi?
«La mia ordinarietà, ma credo sia anche la mia forza».
E il pudore?
«Meglio se solo un po’…»
Una battuta scorretta che non rifarebbe.
«Ripetevo sempre una battuta su Monica Lewinsky. Poi qualcuno mi ha fatto notare che non è lei a dover essere derisa. È vero!».
E una battuta che farà?
«Sul primo giorno di prigione di Donald Trump, non vedo l’ora».
Il suo ideale di felicità?
«Un bagno prima di un reading».
Così poco?
«Naturalmente aiuta se l’albergo è grande e la vasca è profonda».
Una frase da scrivere sulla bandiera americana?
«Anche le tartarughe hanno bisogno d’amore».