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 2023  settembre 06 Mercoledì calendario

La seconda vita dell’archivio Basaglia

L’archivio Basaglia trasloca nel cuore di Venezia. Ed è un passaggio non solo geografico ma soprattutto simbolico – dall’isola di San Servolo a campo Santo Stefano, da un ex manicomio a un palazzo storico crocevia di tante attività – come a volere rimettere al centro delle cose uno straordinario patrimonio di idee e di invenzioni, alla vigilia del centenario della nascita di Franco Basaglia.
«È stata la pandemia a indurci a un ripensamento dell’archivio e a ritornare alle radici di una rivoluzione che mostra oggi straordinari aspetti di attualità», dice la figlia Alberta Basaglia. «Negli ultimi anni s’è accentuata la tendenza a inquadrare il disagio sociale dentro la sintomatologia psichiatrica, mentre una delle conquiste fondamentali del movimento è stata mettere al centro la persona, non la malattia. Un modo per sottrarre il malato al destino di emarginazione, restituendogli i diritti negati». Un rovesciamento di prospettiva, sulla sofferenza psichiatrica e su tutte le forme di diversità, che in un’epoca regressiva come la nostra appare sempre più necessario.

Gli ottanta faldoni dell’archivio, che sarà presentato oggi nella sua nuova casa di Palazzo Loredan, sede dell’Istituto veneto di Scienze, Lettere e Arti, documentano sul piano teorico e scientifico una delle poche rivoluzioni culturali realizzate nel nostro Paese, culminata nel 1978 con legge 180 che chiudeva i manicomi dando vita a un nuovo sistema di servizi di salute mentale.
Negli scaffali dell’Istituto troveranno una nuova sistemazione le innumerevoli lettere private (tra gli interlocutori Sartre, Goffman, Ilic, Bellocchio, Laing, Jones), i carteggi istituzionali (dagli ospedali di Gorizia, Parma e Trieste di cui Basaglia fu direttore negli anni Sessanta e Settanta), gli scritti preparatori dei lavori editoriali tra cui L’Istituzione negata, i contributi internazionali, gli atti dei processi intentati contro Basaglia.
Dalle carte affiora l’avventura di un movimento intellettuale dirompente che travalicò i confini della medicina ed anche il ritratto di un Paese che faticava ad aprirsi a una nuova visione della malattia mentale. E al centro di tutto questo ci si imbatte non in uno ma in due protagonisti, Basaglia e la moglie Franca Ongaro, che ebbe un ruolo fondamentale nel dare forma a idee e teorie dibattute all’interno della coppia. «Anche questo sforzo di superamento dei due generi in una scrittura condivisa, né totalmente femminile né totalmente maschile, anticipa una ricerca e una sensibilità che sarebbero maturate nei decenni successivi, dopo la loro scomparsa», fa notare Alberta Basaglia, psicologa, per tanti anni impegnata sul tema dell’adolescenza e della violenza di genere, autrice di un bel libro sulla sua famiglia rivoluzionaria (Le nuvole di Picasso, Feltrinelli).
Ma come trasmettere ai più giovani una storia che rischia di smarrirsi nella successione di generazioni spesso ignare di ciò che sta alle spalle? Problema gigantesco, che riguarda larghissima parte dell’eredità ideale novecentesca. Da qui l’idea di mettere l’archivio dentro una rete associativa aperta a nuovi linguaggi.
Ad occuparsene è la terza generazione dei Basaglia, Silvia Jop – figlia di Alberta – e Franco Basaglia, figlio di Enrico che è mancato due anni fa. «Quello che ci interessa fare», dice Silvia, antropologa e direttrice della rassegna Isola di Edipo, dentro il festival del cinema, «è creare un rapporto vivo tra queste fonti d’archivio e il presente che sembra incapace di reinterpretare sé stesso. Vorremmo contribuire a dare vita a nuovi spazi di incontro tra realtà che lavorano con tenacia alla tutela della salute mentale, messa a dura prova dal ritorno a pratiche repressive». Il primo progetto è il censimento di tutto il materiale audiovisivo sparso in Italia che testimonia il processo di liberazione dai manicomi, in collaborazione con le Teche della Rai, la Cineteca di Bologna e una rete di archivi territoriali legati a questa storia.
«L’idea non è solo quella di conservare questi materiali, ma di rilanciarli attraverso la produzione di nuovi contenuti», interviene Franco Basaglia, una lunga esperienza nel cinema come aiuto regista di Alfonso Cuarón, Gus Van Sant, Clint Eastwood, Spike Lee. «Da Matti da slegare di Bellocchio al documentario Giardini di Abele di Sergio Zavoli, dagli scatti di Berengo Gardin alle foto di Carla Cerati, gli audiovisivi sono stati fondamentali per fare conoscere l’orrore del manicomio e le alternative possibili», aggiunge il regista. Al lavoro di Basaglia ha dedicato un cortometraggio con cui sarà inaugurato l’incontro La libertà necessaria sulla nuova sistemazione dell’archivio, tra Palazzo Loredan, Isola di Edipo e la Mostra del cinema.
Il nuovo progetto coinvolge intellettuali che hanno fatto parte a vario titolo del movimento basagliano, in particolare collaboratori storici come Giovanna del Giudice e Benedetto Saraceno, componenti del comitato dei Garanti in cui figurano anche l’archivista Leonardo Musci e l’antropologo Fabio Mugnaini. E a questa nuova proiezione nel futuro guarda con fiducia anche Dévora Kestel, direttrice del Dipartimento di Salute Mentale presso l’Organizzazione Mondiale della Sanità. «Le idee di Basaglia continuano a influenzare la psichiatria e la salute mentale in tutto il mondo», interviene la studiosa. «Purtroppo ancora oggi molte persone vivono nelle stesse condizioni che lo psichiatra trovò all’inizio della sua carriera». Catene, corpetti di costrizione, elettrochoc. Un enorme letamaio impregnato di un lezzo infernale, sintetizzò il neodirettore appena varcata la porta del manicomio di Gorizia. «Per chi lavora dentro l’Oms», conclude Kestel, «le pratiche derivate dalla sua rivoluzione restano bussole fondamentali».
Tra i tanti insegnamenti chiusi dentro i faldoni ce n’è uno su cui invita a riflettere la nipote Silvia Jop, ovvero il rapporto di prossimità con la realtà viva. «Gran parte delle scritture sono espressioni in presa diretta di un flusso di eventi, situazioni, momenti che accadevano allora per la prima volta. E Franco e Franca Basaglia sono stati capaci di mettersi all’ascolto, di comprendere i problemi e di indicare delle soluzioni». Un’eredità civile-politica, oltre che scientifica, che sarebbe un peccato disperdere.