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 2023  settembre 03 Domenica calendario

Storia della patafisica


pensieri patafisici, ci restate solo voiAnniversari. Milano festeggia i 150 anni (+1) della «scienza delle soluzioni immaginarie». E uno dei suoi principali esponenti ci ricorda che cosa siaUgo NespoloGiduglia.  Un Ubu di Nespolo (patafisico con la carica di Faraone, nominato da Baj) per la manifestazione milanese ugo nespolo Per giocare facile in cerca di effetti sicuri si provi a lasciare cadere nel discorso la parola Patafisica per vedere mutare visi amichevoli in rapprese maschere, sorrisi trattenuti, occhi spalancati, interrogativi danzanti nell’aria.
Che sarà mai? Forse se di qualche metafisica in teste mediamente acculturate riemergono vaghi e lontani echi scolastici, brandelli della nebulosa dottrina filosofica che si propone al vertice della gerarchia dello scibile, della Scienza delle soluzioni immaginare neppure si presume l’esistenza. Nessuna illusione però sul fatto che la Patafisica voglia star nascosta per presentarsi poi come magica pozione capace magari di pacificare le tante lacerazioni dello spirito o sopire i malesseri in chi, proprio come noi, sa che le agognate utopie come liberazione, progresso, produzione di massa, comunicazione globale e tutte le altre sono state realizzate con successi alterni. Scoperta la fine dell’illusione conviene – come dice Baudrillard – essere coscienti di vivere ormai au-delà de la fin.
Nell’aprile del 1893 Alfred Jarry non ancora ventenne pubblica su «L’Écho de Paris» il testo Guignol in cu fa dire a Pére Ubu: «La Patafisica è la scienza che abbiamo inventato perché se ne sentiva generalmente il bisogno». Giovanissimo, tra il 1885 e il 1888 Jarry lavora e produce prose, versi e commedie e, nel liceo di Rennes dove studia, mette mano a una commedia satirica dal titolo I Polacchi in cui si narrano, in un bagno di ironia, le astruse vicende di P.H. divenuto Re di Polonia. Proprio in queste intricate vicende compare, verde faro nella notte, la parola dal grande destino: Patafisica. È l’inconcludente e goffo Pére Hebert, professore di fisica ad essere crudelmente ridicolizzato in una maschera grottesca e detestabile fino a diventare Ubu. Dal 1891 Jarry è a Parigi dove studia con Henri Bergson e segue il Corso di Retorica Superiore al Liceo Henri IV. Con l’amico Léon-Paul Fargue organizza casalinghe rappresentazioni di Ubu Roi e di Ubu cornuto. È proprio lì che P.H. diventa Père Ubu. Quando Jarry muore a trentacinque è considerato autore oscuro ed eccentrico, ma non è difficile scoprire e leggere l’eco dei suoi testi, l’audacia delle sue innovazioni nelle opere di molti autori a lui contemporanei.
Ci son voluti decenni per comprendere appieno la ricchezza delle sue invenzioni letterarie e teatrali, l’elenco vastissimo dei suoi ammiratori include Apollinaire, Artaud, Breton, Calvino, Cortàzar, Debord, Jonesco, Queneau, Tzara e tra gli artisti Picasso, Mirò, Ernst, Picabia e poi filosofi come Deleuze, Baudrillard, Bataille ed una foltissima schiera di nobili ingegni.
La tortuosa strada che ci conduce in media res, lasciata ogni pavida prudenza, si accinge ad affermare che «di fronte alla Patafisica tutto è lo stesso». Nessun peso o valore previsto e imposto in ambito morale o etico, indifferenza per i giudizi di valore, quelli che presto arrivano a sfumare in vani atteggiamenti farciti di ribellismi artificiali e conditi di prediche per presunti riformismi, sadiche previsioni e promesse di orizzonti felici o, a piacere, infelici.
Si sappia in ogni caso che la Patafisica non si accinge a a salvare il mondo. La lotta eterna contro i dogmatismi che ci avviliscono e ci reprimono è tutelata dal povero Ubu che fatica ad essere ubiquo ed è per questo costretto ad invocare l’aiuto dello zio Faustroll. È proprio quest’ultimo a sancire che: «La Patafisica è il campo della conoscenza che si estende al di là della metafisica». Sic et simpliciter si spogliano i disgustosi simulacri di ogni seminatore di fanatismi e poi ancora: «La Patafisica è la scienza che si occupa dell’immaginario e delle eccezioni», per questo proclama: Imagino ergo sum. Prima ancora della creazione dei mondi essa già esisteva pur non avendo terreni da governare, seggi da occupare, potere da esercitare, masse da domare. È per sua natura la Suprema Istanza. Non è, e non contempla, religioni e l’unico marxismo che ammette è la «descrizione e valorizzazione dei fratelli Marx: Harpo, Chico e Groucho». Insomma credere è per la Patafisica ammettere arbitrariamente. Sin dai criptici testi iniziali trapela in Jarry una totale adesione al mondo simbolista.
L’idea di una poesia pura, una ribellione molto vicina ai temi di Baudelaire, gli stessi che saranno di Verlaine, Rimbaud, Mallarmè. In quei testi già comprare il rovesciamento e l’assurdo di Dada a venire e persino il Roi Bombanche di Marinetti che ben conosceva Jarry. Proprio quel pensiero giunge sino a Guy Debord, il più radicale esponente dell’avanguardia artistica e politica novecentesca. L’11 maggio 1948 lo scrittore Maurice Saillette alla libreria Maison des Amis, parlando col dottor Sandomir, pronunciò le parole College de Pataphysique. In un baleno si progettò una sorta di società scientifica minoritaria per vocazione fatta di Statuti per L’Ordine della Grande Giduglia. Prima il Curatore Inamovibile, il Dottor Faustroll, poi il Vice Curatore assistito dalla scimmia Bosse de Nage. Seguono i più alti dignitari del Collegio, i Satrapi Trascendenti tra cui si annoverano Prévert, Max Ernst, Jonesco, Queneau, Mirò, Dubuffet, Duchamp, Clair e così via. Infine i Sommi Reggenti tra cu Arturo Schwarz, Enrico Baj, Lucio Fontana. Per evitare affollamenti burocratici e dirigenziali arbitrari il Collegio adotta L’Occultamento sorta di filosofica epochè che arriva sino al fermo di ogni attività.
Ora siamo alla roboante predilezione milanese plasmata dal giocoliere Duccio Scheggi in “Alingue e Apostrofi” per i 150 anni + 1 dell’Era Patafisica e di altre soluzioni immaginare, concepite almeno per dare senso all’epitaffio sulla tomba di Jacob Bernoulli a Basilea: «Eadem mutata resurgo». Adesso, fuori dall’occultamento e toccati dalla luce verde, seguiremo l’invito che Raymond Queneau porge al Duca D’Auge, che sogna d’essere Citrolin, nient’altro che: «Guardarsi attorno per considerare la situazione storica».