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 2023  settembre 05 Martedì calendario

A tavola con Wiseman

«Gli isterismi e i melodrammi in cucina delle serie tv? Stupidaggini, tra i fornelli regnano il silenzio e gli sguardi, la realtà è lontana dagli stereotipi». A novantatré anni portati col sorriso e una camicia gialla, Frederick Wiseman non perde il sarcasmo e neanche il talento di farci entrare nei suoi mondi. Il maestro dei documentari porta fuori concorsoMenus Plaisirs, quatto ore per raccontare la famiglia Troisgros e i suoi tre ristoranti in tre paesi vicini nel centro della Francia. Il Troisgros, ristorante coetaneo del regista, fondato 93 anni fa, da 55 detiene tre stelle Michelin, ora anche quella verde per le esemplari pratiche sostenibili.
Il film mostra le operazioni quotidiane: la spesa di verdura frescaal mercato, le visite a un caseificio, a un vigneto, a un allevamento di bestiame, a un agricoltore biologico. Si punta alla biodiversità nel menu che cerca di ridurre gli sprechi alimentari. La genesi del film è casuale: «Nel 2020 – dice Wiseman, sono stato da un amico in Borgogna, per ringraziarlo ho scelto un ristorante, mi ha colpito questo. Pranzo magnifico, poi César Troisros si è fermato per due chiacchiere. D’impulso gli chiedo se gli interessa che giri un documentario lì, mi dice che deve parlarne col padre Michel, poi scopro che è andato a cercare su Wikipedia il mio nome. Torna e mi dice “perché no?”. Per il set ho aspettato la primavera del 2022, dopo l’ondata di Covid». Wiseman sorride, racconta di aver cenato per nove settimane, spesso con gli chef, piatto preferito il rognone: «Realizzare un film così è sempre stato uno dei miei sogni. Ho trovato l’arte dei Troisgros legata al lavoro creativo che ho esplorato in film come La Comédie-Française ou L’amour joué e La Danse – Le Ballet de l’Opéra de Paris, oltre ad avere collegamenti con gli altri film istituzionali». Non è stato facile immergersi per giorni nei segreti e nei riti della famiglia, «dovevo evitare di infastidirli durante la preparazione dei piatti, la loro è una veracoreografia, in certi momenti devi adeguarti alla loro velocità, e quei piatti sono opere d’arte».
A novantatré anni e quasi cinquanta film, il regista guarda avanti, a parte qualche acciacco, «niente di grave, ma mi toglie un po’ di energia. È dal ‘67 che faccio questi documentari, non saprei cambiare lo schema della mia vita. Non penso di avere eredi e non vorrei apprendisti, il mio è un lavoro personale, soprattutto lo è il montaggio, un rapporto costante con me stesso, che stia sotto la doccia o che metta in pratica le connessioni, spesso istintive, che mi sono venute in mente». Ama Venezia, «la Mostra che rispetta e apprezza i documentari, ormai i miei film li sottopongo direttamente qui, senza cercare altri festival».