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 2023  settembre 04 Lunedì calendario

Il 60% delle estinzioni colpa delle specie invasive

Le specie invasive hanno per l’economia globale un costo di 423 miliardi di dollari all’anno. È uno tra i tanti dati significativi del nuovo importante rapporto pubblicato ieri dalla Piattaforma intergovernativa sulla biodiversità e i servizi ecosistemici (Ipbes), istituita dall’Onu. Approvato sabato a Bonn, in Germania, dai rappresentanti dei 143 Stati membri dell’Ipbes, il “Rapporto di valutazione sulle specie esotiche invasive e il loro controllo” rileva che, oltre ai drammatici danni per la biodiversità e gli ecosistemi, il costo economico globale si è almeno quadruplicato ogni decennio dal 1970. La salute e la sopravvivenza di molte popolazioni sono messe in pericolo da animali, piante, batteri e funghi alieni, la cui diffusione è amplificata dalla globalizzazione. Il rapporto apre però alla speranza, perché ci sono conoscenze e azioni mirate, per ogni contesto e situazione, che funzionano per fare prevenzione attiva.
Tra gli esperti che vi hanno lavorato c’è anche l’italiano Piero Genovesi, responsabile del Servizio per il coordinamento della fauna selvatica dell’Ispra. Spiega Genovesi: «Il rapporto è il compendio di uno studio durato 4 anni e una discussione approfondita tra 86 ricercatori da 49 Paesi, che hanno esaminato oltre 13mila fonti tra articoli e rapporti di comunità locali. È un importante documento che sarà indispensabile anche per la Cop28 di Dubai».
I punti salienti indicano che più di 37mila specie esotiche sono state introdotte da molte attività umane in regioni e biomi di tutto il mondo e questa stima è ora in aumento a tassi senza precedenti. Le specie esotiche invasive rappresentano una grave minaccia globale per la natura, le economie, la sicurezza alimentare e la salute umana e hanno un ruolo chiave nel 60% delle estinzioni globali di piante e animali. L’Ipbes sottolinea poi che una minaccia globale tanto grave è sottovalutata e spesso ignorata e lo dimostra l’inazione della maggior parte dei governi, oltre al perdurare di comportamenti, anche individuali (pensiamo a quanto ciascuno potrebbe fare contro la zanzara tigre), che favoriscono il diffondersi di specie aliene.
«I dati raccolti dagli esperti sono stati oggetto di discussione approfondita – sottolinea Genovesi –Un ampio spazio è stato dato ai rapporti delle comunità locali, valutando informazioni non pubblicate e non tradizionali. Tutto conferma che le specie invasive sono un fenomeno diffuso e pericoloso, una grave minaccia per la biodiversità e la salute e il benessere umani». «Le popolazioni che hanno una maggiore dipendenza diretta dalla natura, come quelle indigene, sono ancora più a rischio – osserva Genovesi – più di 2.300 specie esotiche invasive sono presenti nelle terre sotto la tutela delle popolazioni indigene e minacciano la loro qualità di vita e persino la loro sopravvivenza, perché nel 66% dei casi viene colpita la disponibilità di cibo. Uno tra gli esempi riguarda i fichi d’india, che nelle nostre regioni del Sud sono ormai una presenza costante. In Africa orientale però la loro diffusione ha effetti disastrosi sulle aree dei pascoli, dove soprattutto donne e bambini cercano di estirparli senza utensili adatti, procurandosi gravissime ferite. Il contributo dato dagli indigeni è stato fondamentale: se molte specie aliene hanno alcuni effetti positivi, per queste comunità gli effetti sono negativi al 92%».
Il cambiamento climatico e la globalizzazione aggravano la situazione. «Anche in questo caso c’è un esempio recente: la devastazione degli incendi alle Hawaii è stata acuita dalla presenza di molte erbe esotiche per le isole, facilmente infiammabili – dice l’esperto dell’Ispra – La globalizzazione dell’economia ha poi fatto sì che il fenomeno si ampliasse negli ultimi due secoli, con l’aumento dei trasporti commerciali. I dati indicano che nel 2050 aumenterà ancora di un terzo». «Il rapporto serve proprio a fornire un quadro dettagliato del problema e indicare le politiche necessarie ad arginarlo – dice Genovesi – Se davvero si impiegassero le risorse adatte sarebbe possibile tenerlo sotto controllo. Anche qui basta un esempio: il granchio blu è stato individuato nel Mediterraneo per la prima volta nel 1948 e se almeno negli ultimi dieci anni si fosse fatto qualcosa non ci troveremmo nella situazione attuale. Per quasi tutti i contesti e le situazioni, esistono strumenti di gestione, opzioni di governance e azioni mirate che funzionano davvero. Le misure di prevenzione, come la biosicurezza alle frontiere e i controlli rigorosi sulle importazioni, in molti casi hanno funzionato. I progressi ambiziosi nell’affrontare le specie aliene invasive sono realizzabili con un approccio integrato e specifico per il contesto».