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 2023  settembre 04 Lunedì calendario

La vita di Paolo, l’apostolo

Paolo, Dio, il Cristianesimo e l’Uomo. È stato il più grande imbroglio della Storia, una sconvolgente e sofisticata manipolazione, o l’insondabile volontà dell’Altissimo, lo straordinario e invisibile affresco del Padreterno per plasmare il nostro destino? Dove ci porta Corrado Augias spingendoci al confronto con questa domanda? Su quale orizzonte ci costringe ad appoggiare lo sguardo? Nella pancia buia di una notte immersa in una oscurità senza rive, o in un pozzo di luce abbagliante, rassicurante e trionfale, in fondo al quale ognuno può ritrovare il senso di sé? O ancora, come spesso accade alle menti lucide, nel cuore di un dilemma del quale è impossibile – e forse è meglio così – conoscere la soluzione?
Intanto il titolo del libro, che è al tempo stesso cinema (perché l’autore usa un linguaggio “visivo"), saggio e romanzo: Paolo, l’uomo che inventò il cristianesimo. Traslocandolo, verrebbe da aggiungere, da Oriente a Occidente.
Come se tutto quello che sappiamo del Dio trascendente, quello conosciuto da bambini, il Padre cattolico-apostolico-romano, l’idea stessa che abbiamo di Lui, di Suo Figlio, del rapporto con lo Spirito, con l’Eterno e persino con l’idea di Amore (la sfilza di maiuscole è quasi inevitabile di fronte alla vertigine prodotta dal racconto) non discendessero da una sensibilità misteriosa, e dunque divina, che pervade ciascuno, dall’impressione inspiegabile di essere parte di un superiore disegno universale, ma piuttosto da una narrativa potente e fondativa, un implicito culturale sedimentatosi nel corso dei secoli, imposto dalla volontà titanica e dalla smisurata ambizione di un unico essere umano. «Senza la storia singolare dell’apostolo Paolo, senza i turbamenti e le tempeste di un tale cervello, di una tale anima, non esisterebbe una cristianità. Avremmo avuto appena notizia di una piccola setta giudaica, il maestro della quale era morto sulla croce».
Lo scrive Friedrich Nietzsche e Augias lo richiama, ricostruendo la vita e le opere dell’"Apostolo delle Genti”, titolo impegnativo per un discepolo più giovane di Cristo di una decina di anni e che con Cristo non ha mai avuto direttamente a che fare. Non lo conosce, ma più di chiunque altro sa chi è colui che è. E la sua parabola – descritta con una prosa chirurgica, viva ed elegante – è tanto più affascinante, spaventosa e decisiva, quanto più destinata a condizionare il senso del sacro e del presente delle generazioni a venire.
Nato a Tarso, nella regione di Cilicia (oggi Turchia), ebreo della tribù di Beniamino, cittadino romano, personaggio misterioso, di temperamento non gradevole e di enorme energia fisica, inquieto, tormentato, “importuno persino a sé stesso”, indisponibile a vivere nella società di farabutti, parassiti e scrocconi che sente di avere attorno, Shaul, in latino Paulus, agisce tra l’anno trenta e l’anno sessanta della nostra era.
Incaricato dal Sommo Sacerdote – probabilmente per conto dei romani – di recarsi da Gerusalemme a Damasco per «arrestare, traducendoli in catene, uomini e donne seguaci della dottrina di Gesù», deciso a togliere di mezzo gli adepti di un credo che minaccia la purezza della Legge (la Torah), Paolo parte celando in cuor suo la voglia di una strage. È un uomo ruvido, capace soltanto di scelte nette, impermeabile alla pietà. Eppure è proprio su di lui che il Signore posa lo sguardo. Lungo la strada una luce abbagliante lo disarciona da cavallo e una voce proveniente dall’alto lo interroga: «Paolo, Paolo, perché mi perseguiti?». È il momento della rivelazione, della trasformazione senza ritorno. L’attimo che cambia la storia.
È davvero un’illuminazione a raggiungerlo, un messaggio celeste a trasformarlo in strumento divino, o Paolo, inconsapevolmente tormentato dai suoi demoni e dai suoi sensi di colpa, è vittima di una allucinazione psichica, una crisi epilettica molto simile nelle caratteristiche a quella che – molti secoli dopo – Dostoevskij attribuirà (tale e quale, con la stessa esplosione di luce) al meraviglioso principe Myskin del suo L’Idiota?
Ciascuno può appoggiarsi all’ipotesi che preferisce. Certamente Paolo, a differenza dei discepoli che l’hanno preceduto (spesso analfabeti), non mancherà di raccontare e sostenere attraverso le lettere la sua nuova, acuminata, apocalittica e smisurata visione, spalancando le porte a un nuovo Dio che non abita il mondo come le antiche divinità, ma abita i cieli. Un Dio trascendente, onnipotente ed eterno, che concede il figlio in sacrificio per Amore dell’uomo. Ed è proprio sull’Amore che potrebbe concentrarsi l’opera dell’Apostolo delle Genti, che sceglie invece una strada diversa, più dura e oltranzista. Il suo carattere spigoloso, all’altezza del suo pensiero, contribuisce non poco ad allontanarlo dalla pietà popolare. Non sarà un santo che incute tenerezza, come ad esempio San Francesco d’Assisi, al massimo ispirerà rispetto, persino ammirazione, difficilmente sentimenti affettuosi.
Il perché è semplice: Paolo sente di essere il Prescelto, vuole emendarsi per farsi testimone autentico del Messaggio. Attraversa il deserto fino a sentirsi in contatto con l’assoluto. La sua fede può fermare la marcia del mondo verso la catastrofe, trasformando la croce in simbolo di riscatto. E qui ci risiamo: è solo un uomo intellettualmente incontenibile, ma evidentemente delirante, o il più necessario dei trombettieri celesti? Nella sua mente il dubbio non esiste: temendo una disillusione graduale, lunga e segreta – la peggiore di tutte – salverà questa società destinata a sprofondare nel caos definitivo ed estraneo del futuro. La Torah non basta più. Dio la scavalca, la comprende e la supera. Le differenze spariscono. Sarebbe la perfezione, se il progetto fosse realmente celeste. L’aberrazione, se ci si trovasse di fronte a una egolatrica proiezione umana.
A Gerusalemme, Paolo incontra il sofisticato Giacomo, fratello del Signore, e il semplice ma solido Pietro. Lì, in Concilio, si decide il destino dell’umanità. Giacomo sceglie la predicazione tra i circoncisi, gli ebrei, il popolo eletto. Paolo avoca a sé il proselitismo tra i gentili. Porta il Verbo nel nostro mondo, causando uno sconvolgimento dell’inconscio collettivo che dura da oltre duemila anni e produce rivoluzioni esaltanti e disastri senza fine.
Scrive Augias: «I visionari, gli uomini posseduti da una forza missionaria e profetica sono, come il vetro, molto duri ma anche molto fragili; sanno di essere circondati da nemici, tuttavia procedono nella loro azione, attirano a sé nuovi adepti consapevoli che la loro vita è perennemente sospesa su un baratro».
Paolo viaggia, predica, scardina, affronta le terre e i mari, incontra il tradimento, la fatica, la fame e chiude la sua esistenza a Roma dove, dopo il grande incendio probabilmente voluto da Nerone, viene arrestato – cristiano tra i cristiani – e condannato a morte. Non sarà crocifisso come Pietro (appeso a testa in giù), ma decapitato con la spada in quanto cittadino romano. Il seme, però, è gettato. Ecco, allora, l’ultima ineludibile domanda del libro: è questo il momento in cui tutto finisce? O è quello in cui tutto sta per cominciare? —