il Fatto Quotidiano, 4 settembre 2023
Governatori, i 4 viceré
Da Nord a Sud: Veneto, Emilia-Romagna, Campania e Puglia. Quattro regioni ad personam, a uso e consumo dei presidenti che le governano da lustri: il leghista Luca Zaia, il dem anti-Schlein Stefano Bonaccini, i due dem sui generis, ma molto sui generis Vincenzo De Luca e Michele Emiliano. Vogliono tutti eternare il loro potere alle prossime Regionali e così sono uniti nella caccia legislativa a un nuovo mandato, al di là delle differenze. Anzi, su tanti temi, dalla sanità alla sicurezza, sono parecchio uguali.
Veneto. Luca, L’anti-Salvini che sfrutta le emergenze
Luca Zaia era il leghista che sfotteva i 5stelle: “Siamo meglio di loro, noi il limite dei due mandati l’abbiamo già introdotto”. Dimenticava di dire che la legge regionale del 2012 posticipava il calcolo alla legislatura successiva, il che gli ha consentito di arrivare alla terza rielezione. Adesso vuole restare inchiodato per la quarta volta alla poltrona più alta dello Zaiastan, simbolo di un potere (quasi) assoluto che ha scolpito con il 77 per cento di voti nel 2020, ma che gli fa ignorare il consiglio regionale di cui è componente, visto che ci è andato solo per 6 sedute su 107, un misero 5 per cento.
È la più vistosa differenza con il drappello di governatori sempreverdi, almeno gli altri si fanno vedere in aula nel 75 per cento dei casi. Zaia si vanta di avere la migliore sanità italiana, in realtà è stato scavalcato da Bonaccini, ha aumentato la spesa di 1,3 miliardi negli ultimi due anni e deve fronteggiare liste d’attesa chilometriche, con sempre più veneti costretti a rivolgersi ai privati.
Da sei anni sta perdendo anche quella che definisce “la madre di tutte le battaglie”, l’autonomia, il grande tema che lo divide dai governatori del Sud e in parte da Bonaccini, che si limitò a richiederla (assieme alla Lombardia) con un voto del consiglio regionale. Invece nel 2017 lui chiamò il popolo veneto al referendum della riscossa contro il potere centrale, diventato il suo mantra.
Ha poi costruito buona parte della propria immagine sulle emergenze. Non solo inondazioni, tempesta Vaia e trombe d’aria, ma soprattutto il Covid, con i monologhi delle conferenze stampa quotidiane. Simile, in questo, a De Luca. Non a caso entrambi sono diventati grottesche caricature del comico Maurizio Crozza. La celebrità lo ha fatto trasformato nello scrittore che canta l’ottimismo, ma anche in potenziale contro-potere di Salvini. In realtà non ha mai cercato lo scontro con il segretario. Non lo farà mai, se non il giorno in cui sarà strasicuro di vincere. A giugno, al primo congresso, ha evitato perfino di combattere. Così si è aperto una linea di credito personale con via Bellerio, sperando di andare all’incasso su autonomia e quarto mandato.
Emilia-Romagna. Quanto piace l’autonomia
Il Pd non glielo ha ancora chiesto. Ma ha già ricevuto un endorsement, quello di Pier Ferdinando Casini. “Stefano Bonaccini? Non vedo perché una regola non debba far proseguire un mandato sano. Con tutti i suoi difetti, ha fatto alla grande il presidente della Regione e io lo riconfermerei”. In Emilia-Romagna il possibile terzo mandato del governatore è tema caldo. Lui dice: “Sono a disposizione”. Il partito, invece, osserva che è ancora presto per parlarne. Anche se non pochi pensano che – dopo l’alluvione che ha colpito la Romagna – la ricostruzione richiederebbe continuità. E poi c’è il vincolo dello Statuto regionale, che il terzo mandato non lo prevede. Si può cambiare, sì. Ma c’è sempre la legge nazionale che fissa il numero massimo di mandati per sindaci, presidenti di Province e, appunto, di Regioni e che sposta la questione sul terreno della legislazione concorrente, esponendola alle contrapposizioni tra giuristi e persino a una possibile impugnazione da parte dello Stato.
Certamente una terza legislatura permetterebbe a Bonaccini di consolidare anche un forte ruolo politico, quello di figura di garanzia per i suoi sostenitori dopo la sconfitta alle primarie del Pd, vinte da Elly Schlein. I riflettori per adesso li tiene accesi in altri modi. Per esempio con la proposta di legge di iniziativa popolare – la raccolta delle firme è in corso – per portare la spesa sanitaria al 7,5% del Pil, quattro miliardi in più all’anno. L’autonomia differenziata per ora l’ha messa in un cassetto. Troppo diversi la proposta del ministro agli Affari regionali Roberto Calderoli e il suo progetto, che prevedeva anche i Lep, i livelli essenziali di prestazione per assicurare equità tra tutte le Regioni. Così si batte per la difesa della sanità pubblica, difende il welfare, batte il pugno sul tavolo per sicurezza e legalità. Poi affina gli ottimi rapporti con Luca Zaia. I due non nascondono di stimarsi. Perché nelle diversità condividono alcuni tratti. A partire da pragmatismo e concretezza.
Campania. L’ossessione del potere familista
Vincenzo De Luca lo sceriffo. “Caivano è un inferno in terra, bisogna istituire un vero e proprio stato d’assedio, come quando mandiamo i reparti militari nelle zone di guerra”. Ecco l’ultima perla di una concezione law and order della politica del governatore Pd della Campania. Che di fronte alle violenze sessuali di gruppo contro due bambine, pensa prima ai “lanciafiamme” di memoria emergenza Covid, e soltanto dopo a come recuperare palestre e servizi per un territorio abbandonato a se stesso. Offrendosi di finanziare il recupero del centro sportivo “Delphinia”, il cumulo di macerie dove si sarebbero consumati alcuni episodi.
Altra ossessione di De Luca è il terzo mandato. A dispetto di prassi e dell’odore di incostituzionalità balenato da illustri docenti come Massimo Villone. “De Luca farà quello che vuole, mica aspetta il permesso di qualcuno”, disse durante la canicola di luglio parlando di se in terza persona. A Taranto, Puglia, dove Emiliano più o meno la pensa come lui per se stesso. La lunga corsa alle elezioni regionali del 2026 è appena cominciata.
E mica è un problema se il Pd di Elly Schlein viaggia verso il no al terzo mandato. De Luca è sempre stato “indipendente” al partito di riferimento, per usare un eufemismo. Ha vinto quattro elezioni a sindaco di Salerno senza mai usarne il simbolo. Guarda con sofferenza al commissariamento del Pd campano, che vive come una punizione personale. Ed è pronto, come sempre, a guardarsi intorno. In estate ha incontrato riservatamente a Palazzo Santa Lucia Carlo Calenda e se Azione lo aiutasse al via libera al terzo mandato, non ci penserebbe un attimo a spostare la sua caterva di voti sul partitino dell’ex ministro. Del resto, la spregiudicatezza in materia di alleanze non gli è mancata: nel 2015 vinse le elezioni grazie e soprattutto agli accordi con gli uomini di Nicola Cosentino e Ciriaco De Mita. “Impresentabili” per tutti. Ma non per lui.
Puglia. Controllo ferreo e pugno duro su tutto
Michele Emiliano, il pubblico ministero in aspettativa. Il magistrato prestato alla politica. Uno dei presidenti di Regione grazie ai quali il termine di “governatore” è entrato prepotentemente nel linguaggio politico: controllo ferreo della sanità, pugno duro e piglio deciso come principali tratti distintivi di questa nuova stirpe presidenziale. Con una concezione securitaria della politica, ma senza gli eccessi del suo collega campano Vincenzo De Luca. Col quale condivide la segreta speranza di strappare un terzo mandato. Anche se lui minimizza, smussa, nega. Nei giorni scorsi alla kermesse di Affari italiani a Ceglie Messapica ha fatto capire altro: “Non c’è nessuna mia esigenza personale (per candidarsi al terzo mandato da governatore della Puglia, ndr). Ho 64 anni e nella mia vita istituzionale ho avuto 100 volte quello che potevo immaginare. Però una cosa che farei volentieri è candidarmi a sindaco di Foggia perché vedo che a Foggia c’è una difficoltà a trovare candidati a sindaco”. Parole che vanno soppesate con attenzione, perché Foggia ha avuto uno scioglimento per mafia, e perché Emiliano ha parlato proprio il giorno dell’omicidio a coltellate della titolare della tabaccheria di via Marchese de Rosa. Un delitto per il quale è stato poi fermato un uomo di origini marocchine.
Con De Luca, Emiliano condivide anche un rapporto quantomeno problematico col Pd, nel quale vive da battitore libero, la disponibilità a stringere alleanze con chiunque e ad accogliere transfughi del centrodestra (come dimostrano gli ingressi in giunta e in maggioranza di Rocco Palese e Stefano Lacatena), e una decisa opposizione al progetto di autonomia differenziata disegnato dal ministro Calderoli: “Non passerà”, ha tuonato, dicendone peste e corna. In questo pronto a fare asse con tutti i governatori del Sud.