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 2023  settembre 04 Lunedì calendario

L’assalto alle miniere d’Italia

C’è una regola che i minatori conoscono: la miniera non si abbandona mai, ha bisogno di continua manutenzione. Così per anni, i lavoratori di Gennas Tres Montis, in Sardegna, non hanno fatto altro con l’obiettivo di tenere in piedi le gallerie e di non far rovinare i macchinari. In questo sito che si trova a circa 50 chilometri da Cagliari si estrae la fluorite, o meglio la si è estratta fino al 2006. Poi tutto si è fermato ed è rimasto il presidio, alimentato negli anni da promesse, progetti e richieste di concessioni minerarie. L’ultima è arrivata negli ultimi mesi e con essa anche l’emersione dei primi problemi di cui, nell’ottica di una annunciata rinascita mineraria per l’Italia, bisognerà iniziare a tener conto.
A luglio, ad esempio, i lavoratori sardi si sono barricati a 600 metri nel sottosuolo per problemi con gli stipendi e con il loro passaggio da una società controllata dalla Regione a una privata. Igea, che gestisce le attività minerarie sopravvissute nell’isola, ha deciso di vendere alla Mineraria Gerrei il sito di Gennas Tres Montis. Nell’operazione però, si sono persi qualche passaggio e alcuni hanno rischiato di dover andare a lavorare a centinaia di chilometri di distanza. Oggi la protesta è rientrata ma restano alcune incognite: la nuova società ne ha assorbiti una decina, gli altri sono rimasti in Igea in attesa della pensione o di sapere se saranno assunti tra il centinaio di lavoratori che pare servirà nei cunicoli sardi tra qualche anno. E a breve la nuova società, spiegano i sindacati, dovrà dire quali saranno le modalità di assunzione e cosa prevederà il piano industriale.
È l’avvento del rinascimento minerario italiano. Qui, per dire, la miniera è vista anche come un modo per rivalutare le zone interne. La nuova concessione, oltre a riportare a galla l’estrazione della flourite, del piombo e di zinco lascia spazio anche alle cosiddette “Terre rare” che, assieme ai materiali critici, sono preziosissimi per la transizione verde e tecnologica e che a quanto pare sono custoditi, in tutta Italia, in milioni di metri cubi di risultanze degli scarti di lavoro che andranno mappati.
Si tratta di un aspetto talmente interessante che a maggio, nella Mineraria Gerrei – fino ad allora facente capo a soli due soci- è subentrato un terzo socio con un capitale di ben 2 milioni di euro: il colosso dell’informatica Aruba spa ha acquisito le quote di maggioranza arrivando al 51 per cento, il resto è stato diviso tra i due soci già esistenti, la “Sma – Sviluppo Miniere Ambiente” e la “Edilmac”.
Ma a parte questo brivido imprenditoriale, poco è avviato nelle altre Regioni. Sulla strada per rendere l’Italia (e l’Europa) il più autonoma possibile sui materiali critici e le terre rare da Paesi come Cina e Turchia non si vedono grosse corsie di accelerazione nonostante il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, abbia assicurato che entro fine anno ci saranno le norme per riaprire le miniere in Italia e che si stanno già aggiornando le mappe. Concetti sfortunatamente tradotti dalla stampa e poi diffusi come “miniere aperte entro fine anno”. Impossibile. Se tutto dovesse andare liscio, si potrebbe arrivare a concludere l’iter autorizzativo e ad avviare le attività non prima di 2-3 anni. Le prospettivesi fanno ancora meno rosee se si pensa che all’avvio di progetti come quello sardo potrebbe non corrispondere una manodopera adeguata. I minatori italiani sono sempre di meno (se ne contano circa 3mila, ma includono anche quelli delle cave) e per scendere nel sottosuolo si inizia a cercare tra i figli di lavoratori che vanno in pensione. Lavorare in miniera, spiega un sindacalista del settore, non è per tutti, “richiede una organizzazione di vita e una propensione non comune. Venire da una famiglia abituata a quello che comporta è considerato un vantaggio prima ancora della conoscenza tecnica”.
Per un giacimento in cui l’infrastruttura esiste già, ce n’è un altro per il quale bisognerebbe partire da zero. È il caso di una distesa di fluidi molto preziosi, ricchi di litio, tra Campania e Lazio. Qui il problema è che non si è ancora capito quale sia il quantitativo e se quindi sia conveniente procedere. A Campagnano, alle porte di Roma, l’Enel sta effettuando i primi test di verifica per una eventuale estrazione, ha ottenuto un permesso di ricerca dalla Regione insieme alla multinazionale australiana Altamin. La prima fase è stata “d’archivio” e si è concentrata sugli ormai trentennali rilievi dell’azienda, ora si procederà sul campo. Ma entro fine anno si capirà solo se valga la pena investire, visto che i costi di produzione sono uno dei problemi maggiori per le miniere italiane. È curioso notare l’interesse estero per le risorse nostrane. La Altamin, che opera con le consociate Energia Minerals Italia e Strategic Minerals Italia, è coinvolta anche nel Progetto Gorno (riavvio di una miniera di piombo e zinco in Lombardia) e di un piano per la ricerca di cobalto a Usseglio in Piemonte. A Gorno, l’investimento di Altamin previsto è di 120 milioni di euro. A marzo ne erano già stati impegnati 17, ne servono almeno 60 all’anno per farla funzionare e per le spese operative. Ma sono progetti in fase embrionale.
In Valsesia invece, si cercheranno nichel, rame, platino, oro e argento. La Ivrea Minerals Pty Ltd, che ha sede legale in Australia, ha avviato le pratiche con la Regione per un piano denominato “Alpe Laghetto”. E ancora, Kec Exploration Pty Ltd, sempre australiana, ha fatto lo stesso per “Castello di Gavala 2019”. Un terzo progetto fa invece capo alla torinese Cresta Minerals Italy srl. Ancora una volta servirà tempo. Avviare una attività di estrazione da zero può richiedere anche decine di anni e per questo motivo la priorità delle imprese è operare su quelle esistenti. Quella del ministro Urso e dell’Ue è di portare questo tempo a due anni. Intanto, molte miniere sono diventate dei veri e propri musei, altre hanno semplicemente bloccato l’estrazione 30 anni fa.
A fare il punto sui giacimenti in Italia, quelli da “approfondire” e quelli su cui insistono già infrastrutture, è stato l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) in una recente audizione al Senato. L’istituto parte dal ricordare che in Italia non c’è neanche una estrazione di minerali metalliferi, poi elenca quelle presenti in Sardegna ancora in fase di Valutazione di impatto ambientale, quelle attive per la fluorite e il feldspato e spiega quanto siano lontani progetti operativi reali per il cobalto, che sarebbe indispensabile per le batterie. La lista è lunga: ci sono, ad esempio, le questioni ambientali legate al giacimento di titanio in Liguria e su cui il governo pare puntare molto, che cade dentro al parco del Beigua, per il quale la legge istitutiva vieta le estrazioni minerarie, e ci sono i permessi di ricerca attivi nell’arco alpino, ma sempre in fase preliminare. Infine, c’è il problema expertise. Quest’ultimo è stato sollevato per lo più dal Cnr, che ha segnalato la carenza di formazione dei lavoratori e dei tecnici, dagli istituti tecnici ai corsi di laurea, alla ricerca di base da finanziare. Nel frattempo, bisogna lavorare all’aggiornamento della Carta mineraria d’Italia e del relativo database – attualmente al ministero di Urso dovrebbero essere attivi i tavoli – e solo dopo si definirà una vera e propria strategia mineraria nazionale. Tutto, aspettando l’approvazione del Critical raw materials act, il regolamento Ue sulle materie prime critiche, che dovrebbe chiudersi entro fine anno. I giochi sono insomma appena aperti: la concorrenza alla Cina dovrà aspettare ancora.