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 2023  settembre 04 Lunedì calendario

Sarkozy e i soldi da Gheddafi per l’elezione a presidente

Il tribunale di Parigi ha chiesto formalmente, lo scorso 24 agosto, il rinvio a giudizio per l’ex presidente della Repubblica, Nicolas Sarkozy, e per altre dodici persone, nel caso dei presunti finanziamenti libici della campagna presidenziale del 2007, dodici anni dopo le rivelazioni di Mediapart. I due magistrati competenti, Aude Buresi e Virgine Tilmont, seguendo le richieste della Procura nazionale finanziaria rese note a maggio, ritengono che ci siano gli elementi sufficienti ora perché l’ex capo dello Stato sia giudicato per quattro reati: corruzione passiva, associazione per delinquere, finanziamento illegale di campagna elettorale e uso illegale di fondi pubblici libici. Sarkozy, già condannato nei casi “Bismuth” e “Bygmalion”, ha sempre negato le accuse e, come tutti gli imputati, gode della presunzione di innocenza.
Fra le altre 12 persone chiamate in tribunale, figurano anche tre suoi ex ministri, Brice Hortefeux, Claude Guéant e Éric Woerth. Mai nella storia politica e giudiziaria francese, così tanti alti funzionari si troveranno sul banco degli imputati in un caso politico-finanziario così delicato: il sospetto che una democrazia (la Francia) sia stata corrotta da una dittatura (la Libia). Sono rinviati a giudizio anche l’imprenditore Thierry Gaubert, un “sarkosista” della prima ora, che collaborò con lui in due ministeri sotto il governo Balladur (1993-95), e due protagonisti chiave dello scandalo, Ziad Takieddine e Alexandre Djouhri, considerati i presunti agenti di corruzione del clan Sarkozy. Il “sarkosismo” è un susseguirsi di scandali. Almeno due futuri imputati del processo libico, Gaubert e Takieddine, sono già stati condannati, in primo grado, nel “caso Karachi”, i cui fatti risalgono alla metà degli anni 90 ma che, a dieci anni di distanza, presentano sorprendenti somiglianze con lo scandalo dei fondi libici. Nei due casi, l’intrigo giuridico riguarda le relazioni internazionali opache che la Francia ha stretto con delle potenze straniere, il Pakistan e l’Arabia Saudita nel primo, la Libia nel secondo, su sfondo di importanti contratti commerciali come, per esempio, la vendita di armi.
Oltre ai protagonisti, molti altri elementi sono comuni: ambizione presidenziale dei leader politici coinvolti, incontri segreti, diplomazia nascosta, pressioni statali, conti offshore in paradisi fiscali, valigie di contanti e favori concessi dalla Francia per affermarsi sulla scena internazionale a Paesi che, nella migliore delle ipotesi, sono delle autocrazie, nella peggiore delle dittature. Nella vicenda dei fondi libici, la storia ha preso degli sviluppi spettacolari: la guerra iniziata da Sarkozy nel 2011 e che porterà alla caduta del regime di Tripoli e alla morte di Gheddafi, appena quattro anni dopo la “luna di miele” (come la definì un ambasciatore Usa) vissuta tra il presidente francese e il leader libico. Dopo dieci anni di indagini, i giudici e i poliziotti dell’Ufficio anticorruzione (Oclciff) sono riusciti a ricostruire nei dettagli il lato oscuro della vicenda franco-libica, al di là delle testimonianze ufficiali. Centinaia di pagine di documenti diplomatici o dei servizi segreti francesi sono state declassificate. Un ex presidente e i suoi più fedeli collaboratori sono potenzialmente implicati nello scandalo più clamoroso della Quinta Repubblica. Nicolas Sarkozy ha smentito ogni comportamento ambiguo con la Libia di Gheddafi e ha moltiplicato i ricorsi, nel tentativo di far cadere la procedura contro di lui.
I giudici ritengono ora di aver individuato due canali di corruzione. Il primo fa capo a Ziad Takieddine, il ponte tra Karachi e Gheddafi. Dai suoi archivi, consultati e autenticati dalla polizia, risulta che è stato lui ad aprire le porte della Libia a Sarkozy. È il 6 ottobre 2005, durante la visita lampo di Sarkozy a Tripoli, all’epoca ministro dell’Interno, che si era delineata la prospettiva di un sostegno finanziario del colonnello Gheddafi al futuro candidato della destra per l’Eliseo. Takieddine si appoggiava in Libia a Abdallah Senoussi, cognato di Gheddafi e capo dell’intelligence militare. Senoussi era stato condannato all’ergastolo nel 1999 dalla giustizia francese per aver organizzato l’attentato contro un aereo di linea della compagnia UTA che provocò 170 morti. Da allora era oggetto di un mandato di arresto internazionale. Malgrado ciò, tra settembre e dicembre 2005, sia Guéant, direttore di gabinetto di Sarkozy, che il ministro Hortefeux (delegato alle politiche territoriali), avevano segretamente incontrato Senoussi a Tripoli, all’insaputa dell’ambasciata francese e in presenza solo di Takieddine. Davanti ai giudici, Senoussi (ora detenuto in Libia) e Takieddine (in fuga in Libano) hanno affermato che questi due incontri clandestini avevano per oggetto il finanziamento della campagna di Sarkozy in vista delle presidenziali del 2007.
L’inchiesta ha anche rivelato che Senoussi, a inizio 2006, aveva versato, tramite Takieddine, 440.000 euro su un conto non dichiarato alle Bahamas di Thierry Gaubert. Una parte dell’importo era stata poi ritirata in contanti in Francia. È stato anche dimostrato che il clan Sarkozy aveva tentato in ogni modo di annullare il mandato d’arresto contro Senoussi in Francia. Nel novembre 2005, l’avvocato di Sarkozy, Thierry Herzog, si recò persino a Tripoli per incontrare gli avvocati del terrorista. Oltre ai bonifici bancari ci sono anche i contanti. Takieddine si è auto accusato di aver trasportato 5 milioni di euro in contanti da Tripoli a Parigi per consegnare i fondi a Guéant e a Sarkozy. I due hanno negato. Dalle indagini è emerso che, nel 2006, Takieddine ha ritirato più di un milione di euro in contanti, che erano stati versati dal regime libico, prima di riportare le somme in Francia. Di contanti non dichiarati, gli investigatori ne hanno rinvenuti molti alla fine della campagna vincente di Sarkozy del 2007: almeno 250.000 euro, trovati negli armadi della tesoreria gestita da Woerth. Nell’autunno 2020, il giorno dopo l’incriminazione di Sarkozy per associazione per delinquere, Takieddine, intervenuto su Bfmtv e Paris Match, ritirò a sorpresa le sue accuse contro l’ex presidente. “La verità sta finalmente venendo a galla”, scrisse allora Sarkozy su Twitter, lanciando un’offensiva di rara virulenza contro i giudici. Ma una nuova inchiesta giudiziaria, ancora in corso, ha dimostrato che le ritrattazioni di Takieddine erano state in realtà il risultato di trattative, dietro pagamento di denaro, orchestrate da un’imprenditrice, Michèle Marchand, amica intima di Sarkozy e di sua moglie Carla Bruni. Il secondo canale di corruzione identificato dai giudici era pilotato dall’uomo d’affari Alexandre Djouhri, ex fedele di Jacques Chirac passato a Sarkozy prima delle elezioni del 2007. All’interno del regime libico, il legame di Djouhri era Bachir Saleh, ex direttore di gabinetto di Gheddafi ed ex presidente di uno dei fondi sovrani più potenti del Paese, il Libyan Africa Portfolio (Lap). Dopo aver smentito i fatti, Bachir Saleh ha ammesso alla fine davanti agli investigatori libici che Sarkozy, nell’ottobre 2005, aveva “chiesto a Gheddafi di aiutarlo per la campagna” e che Gheddafi gli aveva risposto: “Se il mio amico Chirac non si presenta, sono pronto ad aiutarti”.
Diversi funzionari libici in carica all’epoca, hanno confermato lo scambio. Bachir Saleh deve anche rendere conto di un versamento di 10,1 milioni di euro, effettuato dopo le presidenziali del 2007, a partire dal fondo statale Lap, da lui presieduto, verso una società offshore basata in Panama e intestata a Djouhri. Il pagamento era stato giustificato con l’acquisto di una villa nel sud della Francia, che però ne costava molti meno. Gli inquirenti sospettano che Djouhri, grazie a questa operazione, abbia versato 500.000 euro a Guéant, quando era segretario generale dell’Eliseo. I fondi, utilizzati per l’acquisto di un appartamento dietro l’Arco di Trionfo a Parigi, sono stati versati nel marzo 2008, tre mesi dopo che Sarkozy aveva steso il tappeto rosso per accogliere Gheddafi all’Eliseo. Una visita di Stato che fu molto criticata in Francia. Le indagini hanno accertato che Djouhri, d’accordo con l’allora capo dei servizi segreti, Bernard Squarcini, aveva pilotato la fuga, dalla Francia verso il Sud Africa, di Bachir Saleh, oggetto di un avviso rosso emesso dall’Interpol.