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 2023  settembre 04 Lunedì calendario

Valérie Perrin e l’amore

Parlare d’amore è una scelta rischiosa e Valérie Perrin se ne occupa in modo ostinato, continuato, come se non ci fosse altro tema da declinare. Lo ha fatto nei suoi tre romanzi che stanno per diventare quattro, lo ha fatto in un successo editoriale tradotto in 45 lingue, Cambiare l’acqua ai fiori, lo farà al Festival di Letteratura di Mantova dove è ospite il 9 settembre, lo ha fatto da sceneggiatrice, da scrittrice che non si vergogna affatto di usare questo filtro, l’unico utile se davvero non ci si vuole scordare di vivere: «Le persone innamorate sono belle e hanno più forza».
Mettere l’amore al centro del proprio lavoro è complicato?
«Mi viene naturale. Ci sono molti amori: passionali, affettuosi, familiari, a sostegno, amori contro. Io sono affascinata persino dalla parola amore che crea legami. Ho scelto l’amore come ambizione quando avevo 17 anni e ho lasciato gli studi. La professoressa, accigliata, ha chiesto: che vuoi combinare? Ho risposto: voglio vivere un grande amore».
Lo ha vissuto?
«Sì, travolgente. Totale».
Sposata con Claude Lelouch, noto regista, insieme per 17 anni e nozze lo scorso giugno. Perché dopo tanto?
«Ce lo eravamo promesso. Quando ci siamo fidanzati eravamo d’accordo di aspettare tre anni prima di parlarne, poi eravamo così impegnati, anche a stare insieme, da non ritenere il matrimonio prioritario. A un certo punto è diventato un bisogno di coesione tra noi e i nostri nove figli. Ci vuole della follia a dirsi sì dopo tanta strada in comune. Infatti, è stata una festa spettacolare».
Quale momento le resta negli occhi?
«Anne Gravoin, violinista famosa, ha suonato il repertorio del compositore feticcio di Claude, Francis Lai, morto nel 2018. Un’emozione unica. La musica per me è sempre la memoria dell’amore: io e Claude abbiamo ballato insieme per la prima volta su Un été sur la côte e continuiamo a farlo».
L’ultimo romanzo, Tre, scorre a tempo di musica.
«I Depeche Mode, i Cure gli Indochine, molto popolari in Francia. Volevo gruppi con una storia estesa perché si parla di un’amicizia lungo 30 anni di vita. E uno dei protagonisti assembla una playlist per una notte. Se penso a un regalo prezioso, a una forma di attenzione estrema, è proprio mettere insieme canzoni per altri. L’amore passa per la musica».
Una fissazione. I suoi colleghi parlano di politica, attivismo.
«L’amore è politica se diventa impegno privato o pubblico. Ci vuole amore per essere militanti di Greenpeace».
I suoi libri hanno così tanto successo perché parlano d’amore?
«È un valore rifugio che tra l’altro pretende una qualità splendida, la semplicità. Cambiare l’acqua ai fiori è diventato parte delle persone che lo hanno letto. Parla dell’amore che serve a custodire ciò che resta dopo la morte ed è un bisogno che abbiamo tutti, un compito che a volte sfugge. In Italia e in Portogallo è diventato un titolo culto perché ci sono belle tombe e la protagonista è la guardiana di un cimitero: la voce di Violette resta a romanzo finito. Una sorta di coscienza, una presenza».
In ogni suo romanzo, compreso il primo Il quaderno dell’amore perduto c’è una donna con una professione che la rende quasi invisibile a fare da tramite con il lettore.
«Sorelle, amiche. Ho incontrato donne straordinarie e ne ho cercate di reali per modellare i miei personaggi chiave. Donne per conoscerle meglio, per saperle vicine, per attaccarmici senza remore».
In ogni sua biografia si legge «cresciuta in una famiglia di calciatori», però non se ne parla mai.
«Lo farò nel prossimo libro che sto per concludere, sono nata in campagna, nel centro della Francia perché mio padre giocava lì, un semi professionista nell’Fc Guegnon che ora è un po’ in disarmo, ma è arrivato anche in prima divisione. Per la mia infanzia il calcio è stato importante. Lo racconterò».
Cambiare l’acqua ai fiori diventa una serie tv. Preoccupata?
«La producono gli italiani della Palomar e sono tranquilla, conosco il progetto, mi fido. All’adattamento cinematografico lavora Jeunet, regista sul quale non ho dubbi».
Dopo milioni di lettori e decine di premi come si torna a scrivere?
«Con una pressione folle. Mi chiedo: che cosa possa aggiungere? E capisco che devo continuare a cambiare radicalmente, non mi do scelta, è un atto d’amore per chi mi segue».
Ancora? Tutto questo amore porta occhiatacce dalla critica. Si sente accettata dal pantheon della letteratura contemporanea?
«Gente che non si lascia commuovere da una donna con i fiori nei capelli, vero? Credo che si siano lasciati convincere da Tre che indaga anni collettivi, quelli in cui finiscono le superiori, ci si trasferisce e ci si sente più soli che liberi».
Lei ha lasciato la provincia a 19 anni.
«Dovevo muovermi, partire per vivere. Un imperativo. Sono anche tornata a quella dimensione per lo stesso motivo».
Non per amore?
«Sì, anche se va definito: l’equilibrio tra chi va e chi resta. Ed è in continua evoluzione, non ci si può distrarre dall’amore». —