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 2023  settembre 04 Lunedì calendario

I casinò non sono morti

Situazione di cassa: il Casinò di Sanremo ha superato i 35 milioni di fatturato nei primi otto mesi, in crescita del 28% sul corrispondente periodo del 2022; quello di Venezia ha lucrato 12,5 milioni di euro extra nei primi sette mesi; il Casinò di Saint-Vincent ha incassato un milione e centomila euro in più (riferiti al solo mese di agosto) con mille ingressi supplementari nelle sue sale; e il Casinò di Campione d’Italia nei primi cinque mesi ha registrato oltre 22 milioni di euro di incassi, con più di un milione e mezzo di mance.
Domanda: ma i casinò non dovevano sparire? La storia sembrava già scritta, secondo una logica inesorabile: il gioco d’azzardo, passione umana fin dalla remota antichità (come testimoniato da Omero), nel nostro XXI secolo era destinato a perdere i suoi templi, che fossero sordide bische o lussuosi casinò, per trasferirsi nella virtualità dell’azzardo online, così luccicante e così a portata di mano. Poi sono arrivati il Covid e i cumuli di divieti durante e dopo il lockdown, e per i quattro storici casinò italiani – Sanremo, Venezia, Saint-Vincent e Campione d’Italia – è sembrata scoccare l’ultima ora: botteghe chiuse e incassi azzerati. Fine.
Fine? No, non è andata così. Appena la pandemia ha mollato la presa, i giocatori d’azzardo, stufi di scommesse nel mondo di Internet, sono stati colti con prepotenza dal desiderio di tornare alle esperienze reali, cioè di maneggiare carte, dadi e gettoni. Come spiega a La Stampa la psicoterapeuta Gianna Schelotto, «fra altri effetti, le restrizioni del 2020 e 2021, il lockdown e le mascherine hanno anche minato l’autostima delle persone. La fine di tutto questo ha suscitato nei giocatori la voglia di tornare a mettersi alla prova in modo fisico e non più virtuale. Un desiderio di rivincita».
Nota bene: non si è tornati semplicemente alla situazione pre-Covid, fra il 2022 e il 2023 i quattro casinò italiani hanno recuperato ampie quote di pubblico e di incassi che già nel 2019 sembravano perdute per sempre. Il flusso di cassa è tornato a generare utili, e le due case da gioco che erano una fallita e l’altra finita in procedura concorsuale stanno ripagando i debiti in anticipo sulle scadenze stabilite dai tribunali; hanno anche ricominciato ad assumere e a formare nuovo personale. Il fattore di attrazione dei casinò ha pure beneficiato gli alberghi e i ristoranti annessi alle case da gioco o situati nei dintorni, oltre che l’altro business connesso, cioè i concerti e gli spettacoli legati al “glamour” dei casinò, dando un bel contributo al rilancio complessivo del turismo a cui abbiamo assistito nell’estate italiana del 2023.
Sia chiaro, non a tutti questo piace: si tratta (pur sempre) di soldi che arrivano dal vizio, un problema tutt’altro che indifferente. Secondo l’Istituto di fisiologia clinica del Cnr, «la percentuale dei giocatori problematici è cresciuta negli ultimi anni e le fasce anagrafiche più giovani sono quelle più esposte al rischio di ludopatia»; ma a ben guardare questo si lega soprattutto alla facilità di accesso al gioco online, dove tutto avviene senza alcuna protezione, mentre nei casinò ci sono alcuni “airbag” per attutire i rischi dei giocatori. Racconta a La Stampa un ispettore di sala: «Nessun casinò ha interesse a rovinare i suoi frequentatori o farsi la fama di chi manda le famiglie sul lastrico. Qui abbiamo il compito di guadagnare, è chiaro, ma anche di tener d’occhio chi punta e perde troppo. In quel caso lo chiamiamo da parte, lo invitiamo a bere un bicchiere e a riflettere, gli chiediamo se è sicuro che possa permetterselo». Nei singoli casinò esistono procedure specifiche e limiti di puntate ai vari giochi, divieti di raddoppiare le puntate alla roulette, limiti alla quantità di soldi che si possono cambiare in gettoni, e ovunque c’è l’obbligo di segnalare le transazioni finanziarie sospette, come in banca. E tutti coloro che accedono alle sale vengono registrati. Chi è stato segnalato dai parenti o dall’autorità giudiziaria come affetto da ludopatia viene bloccato all’ingresso.
Come altri settori economici legati ai vizi (si pensi, in primis, al tabacco) c’è anche da considerare che i quattro casinò italiani, tutti – con una formula o l’altra – di proprietà pubblica, sono stati creati per intercettare una domanda che non si può eliminare e che in assenza di queste strutture verrebbe comunque soddisfatta da altri. E questi “altri” non sono solo concorrenti illegali ma anche legalissimi, però collocati oltrefrontiera. Non è un caso che tutte e quattro le nostre case da gioco siano collocate vicino a un confine di Stato, quasi a presidiarlo; così il Casinò di Sanremo si contrappone a quello di Montecarlo, e il Casinò di Campione d’Italia fronteggia quello di Lugano; nel caso di Saint-Vincent e di Venezia mancano concorrenti identificabili con la stessa immediatezza, ma anche questi due casinò sono stati strategicamente concepiti per trattenere in Italia flussi di giocatori e di denaro che altrimenti attraverserebbero (rispettivamente) le frontiere occidentali e quelle orientali del nostro Paese.
Ma qual è il bacino di utenza delle quattro case da gioco italiane? Ci sono affinità e peculiarità. Per quanto riguarda il Casinò di Sanremo, il presidente e amministratore delegato Gian Carlo Ghinamo dice che «qui arrivano giocatori dalla Liguria, dal Sud del Piemonte e dalla Lombardia occidentale». Tipologia dei clienti? «Alle slot machine giocano, in linea di massima, persone comuni e di reddito medio, mentre ai tavoli vediamo, come regola, clienti più facoltosi». Ma ci sono ancora gentiluomini che si presentano in frac, e donne in abito lungo e nero con lo spacco? «No – Ghinamo ride – non esiste neanche più il codice di vestiario di una volta, che agli uomini imponeva la cravatta. Comunque è proibito presentarsi in bermuda e infradito».
In qualche modo diversa la testimonianza di un responsabile di sala di Campione, la minuscola enclave italiana in territorio svizzero: «Qui arriva gente soprattutto da Milano e dal Nord della Lombardia. Non noto grandi differenze fra slot e tavoli. A occhio, direi che il giocatore fa uscire di tasca una media di 200 euro, cioè gli stessi soldi che spenderebbe in una sera per svagarsi in altro modo. Naturalmente ci sono anche i giocatori “forti”, e ricchi, ma sono pochi, e sempre gli stessi». Una peculiarità: «A Campione abbiamo un flusso significativo di clienti dalla Chinatown milanese. Per i cinesi il gioco è una grande passione», e se vi è mai capitato di entrare in uno degli immensi casinò di Hong Kong e Macao ve ne sarete fatti un’idea.
Ancora differente il punto di vista di Rodolfo Buat, che è amministratore unico del Casinò di Saint-Vincent: «Una volta qui si mescolavano due mondi, i benestanti appassionati e la gente con possibilità più limitate. Invece adesso ho l’impressione che vengano a giocare quasi solo le persone più facoltose, che non hanno risentito della crisi economica e dell’inflazione, mentre le altre possono permettersi sempre meno di divertirsi giocando». Anche per questo Buat è prudente: «Sì, anche a Saint-Vincent gli incassi complessivi sono in crescita, come nelle altre strutture. Ma una rondine non fa primavera, non mi azzardo a dire che le difficoltà dei casinò siano superate per sempre».