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 2023  settembre 04 Lunedì calendario

Biografia di Alessandra De Bellis

Aveva poche migliaia di lire in tasca Alessandra De Bellis. E una immensa voglia di libertà. Era l’estate del 1975, il referendum sul divorzio di un anno prima le aveva definitivamente tolto un cappio insopportabile. La sua, più che una vacanza, era una fuga. Sceglie le spiagge della Sardegna per lasciarsi alle spalle la cappa plumbea di quella specie di cordone sanitario che le avevano costruito attorno. Alle spalle non aveva non solo un matrimonio divenuto un incubo, il mondo del marito era quanto di più crudele potesse esistere. Augusto Cauchi, già segretario del Movimento sociale italiano ad Arezzo, legato a doppio filo con Licio Gelli, informatore dei servizi militari, uomo di assoluta fiducia di Stefano Delle Chiaie, da qualche mese era latitante in Argentina. E lei finalmente poteva dimenticare quegli occhi color azzurro ghiaccio, quell’uomo che subito dopo le nozze aveva iniziato a legarla, a picchiarla.
La sua fuga dura poco. In una spiaggia le rubano i pochi soldi che aveva portato con sé; il 9 agosto del 1975, si presenta davanti ai peggior nemici del suo mondo, la federazione del Pci. I funzionari del partito capiscono subito che quello che voleva raccontare aveva un peso immenso. La portano davanti agli ufficiali della Digos di Cagliari e lei inizia a raccontare: «Preciso che mio marito è un noto attivista, estremista di destra. È amico del noto Mario Tuti, anch’egli extraparlamentare di destra, catturato per l’uccisione di due agenti di polizia di Empoli» mette a verbale. «In relazione all’attentato al treno Italicus posso, in particolare, dirvi che mio marito me ne parlò come qualcosa che si sarebbe dovuto fare in futuro. Mio marito non mi ha parlato di un attentato generico ad un treno ma mi ha confidato proprio il nome del treno, cioè l’Italicus. Mi precisò pure che si sarebbe verificata una strage di un centinaio di persone». Poteva essere la testimonianza decisiva per trovare gli esecutori, e probabilmente anche i mandanti, della strage che costò 12 morti e 48 feriti, la bomba al treno Italicus del 4 agosto 1974. L’unica strage rimasta ancora oggi senza condannati, con una lunga sequenza di processi terminati con assoluzioni.
Alessandra De Bellis è morta il 2 agosto 2006 e oggi è sepolta in un piccolo cimitero vicino Perugia, con qualche fiore di plastica davanti alla sua tomba e l’unica foto nota sul marmo bianco. Quella sua testimonianza del 1975 venne letteralmente annichilita, distrutta pezzo per pezzo. Finì in manicomio, sottoposta ad elettroshock fino a perdere la memoria. Stritolata dal “cordone sanitario” della loggia P2, grazie a magistrati e familiari vicinissimi a Licio Gelli, l’occulto finanziatore dei neofascisti toscani che formavano le organizzazioni di Cauchi e Tuti, come ha dimostrato la commissione guidata da Tina Anselmi. È un pezzo di storia dimenticato dalle cronache quello di Alessandra De Bellis, che termina con un arcano ancora oggi senza soluzione. Un codice che, come vedremo, potrebbe aprire porte fondamentali per raccontare il mondo occulto di Gelli, dei neofascisti, dei servizi militari, delle bombe che arriveranno fino agli 85 morti della strage del 2 agosto.
Alessandra De Bellis si sentiva leggera dopo aver raccontato tutto alla Digos di Cagliari. Siamo a metà agosto, quando le ferie svuotavano le città e gli uffici. I funzionari di polizia la mettono su un aereo, spedendola ad Arezzo, il giorno dopo la sua deposizione. Attenzione, non a Bologna dove la Procura indagava sull’attentato all’Italicus, ma nella città del venerando maestro Gelli, dove l’intero sistema giudiziario ed investigativo era nelle sue mani o lo stava per diventare. Nella stessa provincia dove era nato e vissuto il marito aguzzino, Augusto Cauchi. I nomi degli uomini vicini alla loggia P2 verranno elencati in una interrogazione parlamentare, presentata il 21 gennaio del 1982 alla Camera dei deputati, quando gli elenchi di Castiglion Fibocchi erano diventati ormai pubblici: “C’è l’esigenza di rimuovere dai loro incarichi – scriveva un gruppo di deputati del Pci – i pubblici funzionari” della città di Arezzo; seguiva un elenco lungo e dettagliato di alti dirigenti della Questura e del Tribunale della città toscana. Tra questi un nome sugli altri spiccava, quello del pubblico ministero Mario Marsili, genero di Gelli ed iscritto alla Loggia P2. Bene. Sarà proprio lui a verbalizzare la testimonianza di Alessandra De Bellis, poche ore dopo il suo arrivo ad Arezzo. Finirà indagata per calunnia nei confronti dell’ex marito Cauchi e del gruppo dei neofascisti toscani vicini al suo gruppo. Cinque giorni dopo la sua testimonianza, con l’aiuto discreto del padre, la donna viene ricoverata nell’ospedale psichiatrico di Siena e nel settembre successivo finisce in una clinica romana, specializzata in elettroshock. Nel giro di pochi mesi perde quasi completamente la memoria e la sua testimonianza svanirà completamente. Solo nel 1984, quando il suo fascicolo viene ripreso dal giudice istruttore del procedimento Italicus bis Leonardo Grassi, una perizia ha rivalutato la sua storia clinica, dimostrando che la donna non era affetta da disturbi tali da rendere inattendibile la sua testimonianza. Anzi, il suo racconto era assolutamente credibile: “Si può sostenere che la capacità di intendere fosse nell’agosto 1975 (la data della sua fuga in Sardegna e della sua prima deposizione, ndr) in Alessandra De Bellis assolutamente integra”, scrissero i periti nominati dal Tribunale di Bologna.
Nella scelta del percorso psichiatrico fu determinante il padre della donna, l’ex ufficiale di Pubblica sicurezza Arturo De Bellis. E anche qui si annidava la P2: il suo nome fu ritrovato nella rubrica telefonica sequestrata a Castiglion Fibocchi il 17 marzo 1981 dai magistrati milanesi Turone e Colombo. Non risultava nell’elenco degli iscritti alla loggia riservata, ma quell’annotazione nelle carte di Gelli è un vero mistero. Accanto al nome del padre di Alessandra De Bellis c’è un numero, con il prefisso di Bologna, 051 30574. La Digos fece degli accertamenti, quell’utenza non è mai esistita. Dunque, non era un telefono, ma probabilmente un codice utilizzato da Gelli. Per indicare cosa? La risposta non è mai stata trovata, nonostante le attente indagini guidate dal giudice istruttore Grassi. Non risulta essere uno dei conti correnti noti del mondo pidduista, non corrisponde a nessun riferimento presente nella copiosa documentazione sequestrata al capo della loggia riservata. L’unico link di un certo interesse è probabilmente la città, Bologna, il vero obiettivo della bomba sull’Italicus. Esattamente sei anni dopo, due giorni prima della chiusura dell’istruttoria sull’attentato del 1974, nella sala d’aspetto della stazione della capitale emiliana scoppiava un’altra bomba, con 85 morti. Ancora una volta tornava l’ombra di Gelli. —