Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  settembre 04 Lunedì calendario

Cina, la realpolitik di Biden

Il viaggio dell’influente segretario al Commercio Gina Raimondo in Cina, la settimana scorsa, ha affermato con chiarezza la politica del doppio binario nelle relazioni fra Washington e Pechino.
Non ci sarà decoupling, le questioni politiche e militari su cui Washington e Pechino sono in disaccordo saranno tenute ben separate dal commercio, dalle relazioni economiche e dagli investimenti reciproci in settori non nevralgici per la sicurezza nazionale di entrambi i Paesi.
L’approccio più morbido sia della Cina che degli Stati Uniti dopo le salve reciproche anche delle ultime settimane è un ottimo sviluppo, una risposta direalpolitik alla Kissinger per proteggere un interscambio bilaterale che vale oggi circa 700 miliardi di dollari. Diventa un punto di riferimento per la delicata missione a Pechino del nostro ministro degli Esteri Antonio Tajani, iniziata ieri, con un dossier che comincerà a preparare l’uscita dell’Italia dagli accordi sulla Via della Seta.
Potrebbe essere il preambolo per una distensione su fronti difficili come quello russo ucraino se Xi Jinping, pur saltando il G20 indiano, accetterà di partecipare agli incontri dell’Apec ospitati quest’anno dagli Usa a San Francisco tra il 12 e il 18 novembre e di avere un bilaterale a tu per tu con il presidente Biden meno teso di quello dell’anno scorso a Bali. Soprattutto mette a tacere chi negli Stati Uniti, come il sinologo Jonathan Ward nel suo libroThe Decisive Decade: American Grand Strategy for Triumph Over China,
chiede che l’America interrompa ogni relazione economica con la Cina, addirittura minando alla base e in modo attivo lo sviluppo cinese.
Questa posizione è condivisa ancora oggi in ambienti della destra repubblicana ed è prevalente in alcuni Stati dell’Unione che vorrebbero persino chiudere Disneyland a Shanghai (che Raimondo ha visitato!) e boicottare qualunque rapporto anche finanziario con la Cina, usando persino l’extraterritorialità.
Dopo il viaggio di Raimondo questa posizione oltranzista viene, almeno sul piano federale, superata. E una volta di più l’amministrazione Biden dimostra di essere in grado di gestire situazioni internazionali difficili sul piano della politica interna e in vista delle presidenziali dell’anno prossimo.
Del resto lo stesso presidente era il primo a tenere una linea dura. L’annuncio di alcune settimane fa del blocco di investimenti diventure capital o
private equity americani in tecnologie avanzate centrali per applicazioni militari, come la produzione di semiconduttori avanzati e di altre soluzioni microelettroniche, in computer quantistici e in certe forme di intelligenza artificiale, è stato preso malissimo a Pechino. Ma allo stesso tempo era già in moto la macchina della diplomazia. Janet Yellen, segretario al Tesoro ed ex capo della Fed, una delle voci più sagge e collaudate dell’amministrazione, aprì per prima uno spiraglio per il doppio binario in un discorso già lo scorso 20 aprile, quando le relazioni bilaterali avevano raggiunto il punto più basso.
La Cina in effetti non faceva nulla per smentire chi in America temeva l’accerchiamento del totalitarismo. La lista di “provocazioni” cinesi cresceva invece di diminuire: l’alleanza con la Russia in funzione anti-Ucraina con l’ingresso a gamba tesa in Europa, un teatro da cui si era fino ad allora tenuta prudentemente distante sul pianopolitico militare, l’aumento della tensione con Taiwan, con minacce di invasione, e più recentemente l’allargamento dei Brics, il rischio di esportare una crisi immobiliare e finanziaria fino alla diffusione per bocca dello stesso Xi Jinping di una nuova ideologia economica statalista e anti-occidentale appena una decina di giorni fa.
Joe Biden non è stato da meno. Si lasciava “scappare” affermazioni persino offensive nei confronti di Pechino, distanti dalle posizioni ufficiali dell’amministrazione.
Ma quella prima apertura di Yellen nel discorso alla John Hopkins University è stata seguita da un viaggio del segretario di Stato Antony Blinken, della stessa Yellen, di John Kerry, vicinissimo a Biden e Zar dell’ambiente e infine di Raimondo, da sempre voce inflessibile, uno dei falchi per la protezione delle aziende americane in Cina. Ex governatore del Rhode Island, Raimondo è da tenere sotto osservazione perché potrebbe diventare uno dei punti di riferimento per il futuro del Partito democratico. La sua missione, la quarta americana in Cina, è stata quella più operativa e ora dovremo vedere se, come tutti si augurano, alle parole seguiranno, da ambo le parti, i fatti.
Si diceva che questa missione farà da punto di riferimento per quella del ministro Tajani. L’Italia si trova in effetti in una situazione delicata. Per volontà di Giuseppe Conte, fu l’unico Paeseeuropeo a firmare nel 2019 un accordo sulla Via della Seta con la Cina che aveva anche una forte connotazione politica. Molti accusarono Conte di miopia.
E in effetti dal 2019 ad oggi troppe cose sono cambiate. Appoggiando l’attacco russo all’Ucraina la Cina ha fatto una scelta anti-europea che rende politicamente impossibile per l’Italia considerare un rinnovo dell’accordo. A questo si aggiunga che l’accordo non ha portato gli aumenti di esportazioni promessi. Le porte dell’import o dell’allargamento in Cina per le nostre aziende sono rimaste troppo spesso chiuse mentre Paesi fuori dall’accordo come la Germania o la Francia hanno fatto meglio di noi: rispetto ai nostri 16,4 miliardi di esportazione, la Francia ha esportato 23,7 miliardi e la Germania 107 miliardi idem per gli investimenti diretti, 112 miliardi per la Germania, 7,5 volte i 15 miliardi italiani e due volte e mezzo per la Francia con 38 miliardi di dollari.
Anche per l’Italia si pone dunque l’approccio del doppio binario, da una parte non rinnovare l’accordo sulla Via della Seta, rispettato peraltro fino all’ultimo, ma dall’altra rafforzare i rapporti economici e commerciali con la Cina recuperando il terreno perduto. Ne abbiamo bisogno. Ma ne ha bisogno anche la Cina relazionandosi con un nuovo governo italiano decisionista anche in Europa e destinato a durare nel tempo.