la Repubblica, 4 settembre 2023
Quando la Guerra fredda si spostò nel Mediterraneo
L’intervista di Giuliano Amato sulla strage di Ustica è una testimonianza importante che contiene alcuni elementi di novità. Anzitutto l’appello al presidente Emmanuel Macron affinché il governo francese riveli ciò che sa su quanto avvenuto il 27 giugno 1980 nei cieli italiani.
In secondo luogo, la messa a fuoco di una presunta “ragion di Nato” per spiegare la lunga scia di insabbiamenti e di depistaggi che ha accompagnato questa tragica vicenda nel corso di oltre quarant’anni. A questo proposito occorre ricordare che la Francia era uscita sin dal 1966 dal comando integrato militare del Patto Atlantico e perciò nel 1980 godeva di una autonomia di azione in campo militare. La vicenda di Ustica, quindi, è inevitabilmente condizionata soprattutto dalla tutela della ragion di Stato della Francia, che aveva ingenti interessi militari ed economici in Africa, in particolare nell’ex colonia del Ciad, ricco di giacimenti di uranio, che contrastavano con la politica espansionistica di Gheddafi nella fascia subsahariana, lesiva degli interessi nazionali transalpini. Amato, inoltre, ha affermato che Craxi avvisò Gheddafi del pericolo che stava correndo già nel 1980, ma il figlio del leader socialista Bobo Craxi ha dichiarato che suo padre allertò il rais libico soltanto nel 1986. Il riferimento però non riguarda la strage di Ustica, ma un episodio già noto, ossia il bombardamento di Tripoli dell’aprile 1986, di cui Craxi preavvertì Gheddafi mettendolo in salvo. Ciò non contraddice il fatto che nel giugno 1980 l’ala dei nostri servizi più legata alla Libia e alla tutela degli equilibri sul fronte mediorientale di cui Gheddafi era garante, come Stefano Giovannone e Fulvio Martini, che godevano entrambi della fiducia di Craxi e del mondo socialista, possano avere avvisato il leader libico in anticipo delle cattive intenzioni della Francia nei suoi riguardi. Dell’intervista di Amato colpisce anche il particolare che proprio l’ammiraglio Martini lo mise in guardia, quando era presidente del Consiglio, di quanto fosse inopportuno affidare a una ditta francese, collegata ai servizi segreti transalpini, il recupero del relitto di Ustica come avvenne su discutibile decisione della magistraturaitaliana.
Amato, infine, riprende la testimonianza di Francesco Cossiga secondo la quale un pilota francese si sarebbe suicidato dopo essersi reso conto del tragico errore commesso con l’abbattimento dell’aereo civile italiano. Credo che sarebbe significativo e ancora oggi non impossibile, nonostante la rigida tutela del segreto delle autorità francesi, accertare con una buona inchiesta giornalistica se effettivamente si verificò un suicidio di un militare transalpino in quei giorni.
Per comprendere sul piano storico la strage di Ustica è necessario ricostruire il contesto internazionale in cui è maturata, condizionato dalle conseguenze della Guerra fredda sul caldo fronte mediterraneo a seguito dell’invasione dell’Afghanistan da parte dell’Unione sovietica nel dicembre 1979.
A partire dal febbraio 1980 le relazioni italo-libiche subirono una crisi drammatica culminata con la strage di Bologna del 2 agosto 1980. L’azione offensiva sovietica rese necessaria l’istallazione dei missiliCruise in Sicilia e l’ancoraggio al fronte occidentale dell’isola di Malta, che era stata appena abbandonata dalla tutela britannica, in contrasto con le mire espansionistiche che sull’isola aveva Gheddafi sia per la sua posizione strategica sia per la scoperta di importanti giacimenti di petrolio presso i banchi di Medina che si trovavano in acque territoriali contese.
L’Italia svolse in quei mesi un ruolo diplomatico fondamentale, estendendo la sua influenza su Malta per conto dell’Alleanza atlantica i cui interessi strategici, ancora una volta, stavano coincidendo con quelli nazionali, a detrimento degli interessi che nella stessa area avevano per vocazione storica potenze imperiali ormai decadute come la Francia e la Gran Bretagna. È un dato di fatto che la bomba di Bologna esplose lo stesso giorno in cui il sottosegretario agli Esteri Giuseppe Zamberletti, plenipotenziario del premier Cossiga, si trovava a Malta per firmare gli accordi italo-maltesi (politici, militari ed energetici a favore dell’Eni), che rappresentarono un secondo schiaffo in faccia a Gheddafi, dopo il fallito tentativo di ucciderlo a giugno. Un passaggio cruciale perché se la Libia avesse allungato la sua zampa su Malta, ad esempio installando delle batterie missilistiche, lo avrebbe ormai fatto per conto dell’Unione Sovietica, potendo minare la capacità degli Stati Uniti di intervenire in Medio Oriente in difesa dei campi petroliferi dell’Arabia Saudita, già minacciati dal tentativo di Mosca di conquistare l’Afghanistan.
L’intervista di Amato e l’inchiesta di questo giornale hanno riacceso i riflettori su una tragica vicenda chiedendo una pubblica assunzione di responsabilità alla Francia. L’Italia e la Francia sono due Paesi dall’amicizia così consolidata che potrebbe sopportare il peso liberatorio di questa verità che i parenti delle vittime e l’opinione pubblica italiana attendono da troppo tempo. Ma il governo italiano deve fare la sua parte con richieste di chiarimento ufficiali. Se non ora, quando?